Rappresentazione e sostituzione testamentaria
La rappresentazione è l’istituto giuridico in
virtù del quale una persona chiamata a succedere, per legge o per
testamento, non ha la capacità di subentrare al de cuius:
– o perché deceduta al momento in cui si apre la successione
– o perché indegna,
ossia impossibilitata a succedere perché resasi responsabile di taluno
dei fatti, indicati dalla legge, sintomatici di particolare bassezza
d’animo o ingratitudine nei confronti del de cuius, e quindi tali da escluderla dalla successione (art. 467 e seguenti del codice civile).
La rappresentazione trova applicazione anche nei casi in cui la persona designata dalla legge o dal testamento abbia rinunciato all’eredità.
Scopo della rappresentazione è evitare che a fare le spese dell’indegnità o della rinuncia all’eredità della persona designata siano i suoi discendenti; pertanto, la persona premorta, indegna o che abbia rinunciato all’eredità, come dicevano i giuristi romani, potest capere sed non ritinere (ossia può prendere ma non trattenere) l’eredità, che passa quindi ai suoi discendenti legittimi o naturali.
La rappresentazione ha luogo:
– in linea retta a favore dei discendenti dei figli legittimi, legittimati e adottivi, nonché dei discendenti dei figli naturali del defunto,
– in linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto.
Così,
se un genitore lascia eredi, in parti uguali, i suoi due figli, e uno
di questi è indegno o rinuncia all’eredità, la sua quota passerà ai
suoi figli, con l’altro fratello che riceverà comunque la sua quota.
Se
poi non vi sono i presupposti affinché possa applicarsi la
rappresentazione (nell’esempio: se il figlio che non può o non vuole
ereditare non ha discendenti), scatta il cosiddetto accrescimento,
in virtù del quale la quota di chi non ha voluto o potuto accettare
verrà divisa fra gli altri eredi (sempre nell’esempio, andrà tutto
all’altro fratello). Può però accadere che il testatore abbia previsto
questa eventualità, facendo luogo alla sostituzione testamentaria.
Sostituzione testamentaria
La sostituzione testamentaria (art. 688 e segg. c.c.) può essere ordinaria e fedecommissaria.
Con la sostituzione ordinaria,
come appena detto, il testatore dispone che, qualora la persona
designata nel testamento come erede o legatario non possa o non voglia
accettare, i beni vadano ad altra persona indicata nello stesso
testamento.
Con la sostituzione fedecommissaria (dal latino fidei committere,
che significa affidare alla fiducia), invece, ciascuno dei genitori o
degli altri ascendenti in linea retta, o il coniuge dell’interdetto,
possono istituire erede o legatario, rispettivamente, il figlio, il
discendente o il coniuge, con l’obbligo, per il soggetto designato, di
conservare e restituire alla sua morte i beni, anche costituenti la
legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza
del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo, cui spetta,
finché è in vita, il godimento dei beni.
Scopo della sostituzione fedecommissaria è dare
al testatore la possibilità di favorire quelle persone o quegli enti
che si siano prodigati nell’assistenza del congiunto interdetto,
tanto che essa non produce effetti nei confronti della persona o
dell’ente che abbia violato gli obblighi di assistenza; nel qual caso i
beni, alla morte della persona istituita, verranno assegnati ai suoi
successori legittimi (lo stesso dicasi se la persona o l’ente che ha
avuto cura dell’incapace, rispettivamente, premuore o si scioglie prima
della morte di questi).
Analogo alla sostituzione fedecommissaria era il fedecommesso de residuo
(parliamo al passato perché questo istituto è stato abrogato), col
quale il testatore disponeva non che la persona istituita dovesse
conservare i beni affinché alla sua morte andassero al sostituto (essa
poteva quindi disporne liberamente, ma solo per atto tra vivi), ma che
trasferisse alla persona designata dallo stesso testatore quelli che
residuavano (da ciò il termine) alla sua morte.