Respiriamo Diossina, Pisani: “Il cancro della malapolitica e della camorra ci ha devastati e il Nord ci ha sfruttati. I responsabili paghino. Il Governo si svegli!”
Il Presidente dell’associazione Noi Consumatori avv. Angelo Pisani: “Ecco cosa hanno causato la
malapolitica e i falsi tecnici incompetenti. Amministratori, politici criminali
e senza scrupoli hanno mangiato sulla pelle dei cittadini, hanno devastato la
nostra salute, i nostri territori – divenuti ricettacolo di rifiuti pericolosi provenienti da tutto il Paese -, hanno
contaminato l’aria che respiriamo, i cibi che mangiamo, hanno costruito il
marchio Gomorra sulla nostra dignità, hanno distrutto la nostra immagine agli
occhi del mondo. La nostra regione si è ammalata di un grave cancro che ha le
sue radici più profonde nella commistione tra politici e camorra. Quand’è che
le istituzioni agiranno seriamente senza restare a guardare? Il mostro delle ecomafie va combattuto a
partire da punizioni e condanne certe, da controlli costanti e presenza del
Governo. Anche il Nord ci ha sfruttati a causa della politica del malaffare, a
causa di quella vergognosa politica di alcuni amministratori che non hanno
guardato l’interesse del cittadino ma fini personali, scendendo a compromessi
con la malavita e violentando ed avvelenando le vite ed i diritti degli
abitanti. Le istituzioni sono intervenute con inammissibile ed ingiustificata
lentezza ed inefficienza. Assurdo e vergognoso. Apriamo gli occhi!!!!!!!
Paghino tutti i responsabili di questo disastro!!!!!”
Racconto choc: «Rifiuti tossici dal Nord, così è nata Gomorra»
di Rosaria Capacchione
NAPOLI – La differenza l’ha fatta il Fattore C. Ma
l’origine è la stessa. Coincide, la genesi dell’emergenza, con la crisi
dell’apparato industriale che aveva assicurato lo smaltimento dei rifiuti
organici e industriali. In Lombardia e in Toscana il corto circuito fu
provocato dalla diossina e dalla progressiva, ma velocissima, chiusura delle
grandi discariche che erano state al servizio delle fabbriche e delle concerie.
In Campania, dieci anni dopo, dal riempimento dei grandi fossi comunali che
avrebbero dovuto assicurare una discreta autonomia per un altro ventennio ma
che invece furono colmati prima del tempo proprio dalle scorie che arrivavano
dal Nord.
La differenza, dicevamo, l’ha fatta la camorra, che in Campania ha rallentato e
poi bloccato la soluzione strutturale del problema che altrove è stato, invece,
governato e irregimentato in appena cinque anni: dal 1985 al 1990. Cinque anni
che hanno segnato irreparabilmente il destino ambientale delle province di
Napoli e Caserta, raccontati da un imprenditore napoletano, Pietro Colucci,
parte offesa e testimone in un processo – che va sotto il nome di «Operazione
Artemide» – che si è chiuso con la condanna di tutti gli imputati.
Il racconto, marginale nell’economia del procedimento,
è contenuto nelle motivazioni della sentenza. E ricostruisce, in maniera
originale rispetto al punto di vista dei collaboratori di giustizia, la nascita
delle ecomafie. Lui, che aveva ereditato dal padre l’azienda che raccoglieva i
rifiuti tra Mondragone e Sessa Aurunca, nel 1984 aveva subito un’estorsione dal
capozona mondragonese. Rinunciò
all’appalto in quel comune, conservò Sessa Aurunca ma poi, dieci anni dopo,
lasciò anche quella zona. Al suo posto entrarono altri due imprenditori,
Sarnataro e Barbieri, imposti dal capoclan Augusto La Torre. E furono questi
ultimi a fare da apripista, qualche tempo dopo, alla Ecoquattro dei fratelli
Michele e Sergio Orsi.
La storia di Pietro Colucci, dunque, è il prequel
dello scandalo dei consorzi e dell’affare che ha travolto l’ex sottosegretario
Nicola Cosentino, l’ex ministro Mario Landolfi e uno stuolo di amministratori
locali che avevano trasformato il consorzio di bacino Ce4 in un carrozzone
dispensatore di soldi e di assunzioni, a beneficio della camorra e della
politica. E vi compare un personaggio, Giacomo Diana (morto durante il
dibattimento), che ha fatto da sponda necessaria e indispensabile ai
trafficanti di veleni della prima ora. Gestiva, Diana, la discarica Bortolotto,
a Castelvolturno: una montagna di spazzatura en plein air, naturalmente
abusiva, che nelle sue viscere ha nascosto tonnellate di bidoni pieni di scarti
di lavorazione delle concerie toscane.
È l’epoca in cui i Casalesi – Francesco Schiavone,
Antonio Iovine, Francesco Bidognetti – entravano nell’affare in prima persona.
La loro società, con sede in Toscana, si chiamava Ecologia 89. E in cui Nunzio
Perrella, camorrista della zona flegrea, scopriva che il traffico di rifiuti
era più redditizio del traffico di droga, stringendo un patto d’affari con
Cipriano Chianese, avvocato con le entrature giuste in Regione e dei Servizi.
Colucci racconta il passaggio dalla fase artigianale a
quella industriale della raccolta e dello smaltimento, transizione segnata da
contenziosi amministrativi e proteste di piazze: perché in quei mesi erano
iniziate anche le lunghe code di camion che arrivavano da mezza Italia e che
lasciavano cadere immondizia e percolato in strada. Proteste che in tempi più
recenti – l’emergenza del 2007/2008 – i Casalesi hanno addomesticato per
proprio tornaconto, assicurando la pax sociale in cambio del monopolio dei
trasporti e dello stoccaggio delle ecoballe.
«Per un lungo periodo c’è stata una discarica a Sessa
che non mi ricordo da chi fosse gestita, ma era una discarica della città,
quindi i camion sversavano in città. Questa discarica fu chiusa, perché nella
fase di emergenza nazionale di Lombardia e Toscana, quando cominciarono a
chiudere tutti gli inceneritori perché producevano diossina e quelle regioni
non erano organizzate per ricevere i propri rifiuti, cominciarono a portare i
rifiuti al sud. Cominciò in quella fase l’area della criminalità organizzata
legata al trasporto di rifiuti, trasporto talvolta lecito, talvolta illecito,
che ha fatto storia, purtroppo. E quella discarica fu chiusa non perché avesse
smaltito illecitamente, ma perché accettava rifiuti da fuori regione». Quindi,
lo sversamento necessario nell’impianto di Diana. Aggiunge Colucci:
«L’emergenza nazionale che ha riguardato tutto il comparto, dalla Lombardia alla
Toscana comincia nell’85/86 e dura fino al 1990, quando poi quelle regioni si
organizzarono in proprio con impianti». E commenta: «Fu uno scandalo nazionale
perché prima invasero il Lazio, poi la Campania, poi andarono in Puglia lecitamente. In Calabria, invece, ci sono andati sempre,
anche illecitamente. Lo ricordo perché come associazione (Assoambiente, che
riunisce le imprese private aderenti a Confindustria che si occupano
dell’igiene urbana, ndr) abbiamo studiato il fenomeno, ormai agli atti
parlamentari della commissione di inchiesta sull’ecomafia. Questa vicenda ha
coinvolto la Campania dall’86 al 1990, dal punto di vista ufficiale. Ufficioso,
i rifiuti sono sempre arrivati, purtroppo, e le autorità hanno fatto di tutto
per bloccarli, ma non sempre ci sono riusciti con celerità».
Fonte: Il Mattino