Responsabilità del medico e della struttura ospedaliera Tribunale Varese, sentenza 16.02.2010 n° 16
Medici e struttura ospedaliera (pubblica o privata poco rileva) rispondono verso il paziente a titolo contrattuale.
E’
il debitore della prestazione ad avere l’onere della prova che non vi è
stato inadempimento, o che lo stesso sia dipeso da fatto a lui non
imputabile, o, ancora, che lo stesso non sia stato causa del danno.
Così
ha deciso il Tribunale di Varese nella recente sentenza 16 febbraio
2010, n. 16 che, nella stesura della decisione in commento, ha avuto
modo di esaminare tre punti cardine, ossia la c.d. causa ignota e
responsabilità del medico, la responsabilità del primario e la
autonomia ontologica del danno morale (dopo le SS.UU. del 2008).
Come
si legge testualmente nella sentenza, in merito alla responsabilità
della struttura e come la stessa precedente giurisprudenza rileva, è
possibile riscontrare una “equiparazione della struttura privata a
quella pubblica per quanto concerne il regime della responsabilità
civile, considerando, altresì, che trattasi di violazioni che incidono
sul bene della salute, diritto fondamentale tutelato dalla Carta
Costituzionale, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o
differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o
privata, della struttura sanitaria (cfr. Cass. 25.2.2005, n. 4058)”.
Per
quanto, altresì, concerne la responsabilità professionale del
medico-chirurgo, la stessa ha natura negoziale, sussistendo un rapporto
contrattuale, anche se fondato sul solo contatto sociale.
Nella sentenza si legge testualmente che “La
contrattualizzazione della responsabilità medica ha delle ricadute
dirette sul riparto degli oneri probatori: in applicazione, infatti,
della normativa sui rapporti contrattuali e dei principi elaborati in
tema di adempimento del credito, il paziente, quale creditore della
prestazione sanitaria, è tenuto a dimostrare l’esistenza del rapporto
contrattuale e può limitarsi a dedurre l’inadempimento del debitore;
inadempimento che deve essere astrattamente efficiente alla produzione
del danno. ……..….”.
Anche la recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 1524/2010) ha avuto modo di intervenire sull’argomento dell’onere probatorio stabilendo che “In
caso di danni connessi alle prestazioni di medici operanti all’interno
della struttura sanitaria, incombe sulla vittima che agisce in giudizio
l’onere di provare la stipulazione del contratto e l’inadempimento del
professionista, mentre incombe sulla struttura l’onere di provare che
la prestazione sia stata eseguita in modo idoneo e che gli esiti
letali/infausti siano dipesi da evento imprevisto ed imprevedibile”.
Le condotte colpose nell’ambito delle attività medico-chirurgiche
Nel nostro ordinamento due sono i requisiti essenziali che connotano la condotta colposa:
- uno di carattere negativo la non volontà dell’evento (assenza di dolo);
- l’altro
di carattere positivo, che ricollega la verificazione dell’evento ad
una condotta colposa in quanto negligente, imprudente o imperita (colpa
generica) ovvero posta in essere non osservando leggi, regolamenti,
ordini e discipline (colpa specifica).
La tipicità della colpa si connota come realizzazione di un fatto che, alla luce delle regole cautelari, doveva essere evitato.
L’attività
medico-chirurgica è caratterizzata dalla presenza, oltre che di regole
di comune diligenza e prudenza, di regole tecniche in prevalenza non
scritte, la cui violazione è fonte di imperizia e per la cui
individuazione la giurisprudenza e la dottrina utilizzano i criteri
della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, a loro volta rapportati
al parametro dell’agente modello (il c.d. homo eiusdem professionis et condicionis).
In
dottrina e in giurisprudenza prevale un atteggiamento piuttosto
equilibrato affermandosi che, tenuto conto delle peculiarità del caso
singolo e delle differenti caratteristiche di ogni paziente, le linee
guida, per quanto specifiche e dettagliate, non possono essere
considerate del tutto esaustive con la conseguenza della
irrinunciabilità al paradigma dell’agente modello. Naturalmente ai fini
del rimprovero colposo non è sufficiente la violazione della regola
cautelare ma occorre accertare che l’agente avesse la possibilità e la
capacità di osservarla: occorre quindi la rappresentabilità ed
evitabilità dell’evento da accertare in concreto alla luce del
parametro dell’ homo eiusdem professionis et condicionis.
Nel
testo della sentenza oggetto di commento, per quanto concerne la
responsabilità del primario (chiamato in causa) per eventi dannosi che
si siano verificati all’interno del reparto a lui affidato, si legge
che “Il primario ospedaliero ha la responsabilità dei malati della
divisione (per i quali ha l’obbligo di definire i criteri diagnostici e
terapeutici, che gli aiuti e gli assistenti devono seguire) e deve,
conseguentemente, avere puntuale conoscenza delle situazioni cliniche
che riguardano tutti i degenti, a prescindere dalle modalità di
acquisizione di tale conoscenza.
Ciò nondimeno, costui
non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si
verifichi in sua assenza nel reparto affidato alla sua responsabilità
non essendo esigibile un controllo continuo ed analitico di tutte le
attività terapeutiche che vi si compiono.
La sua
responsabilità deve quindi fondarsi su indici fattuali o altri elementi
circostanziati puntualmente allegati o almeno dedotti dal danneggiato”.
Altro
interessante punto sul quale la decisione in commento si sofferma, con
l’analisi della più recente normativa e giurisprudenza in materia, è
quello del danno morale e della sua autonomia ontologia in seguito alle
decisioni delle Sezioni Unite del 2008.
Dopo l’analisi del D.P.R. 181/2009, D.P.R. 37/2009 e il “ricordo delle sentenze del
risarcibile la lesione all’integrità morale, in quanto danno
ontologicamente distinto dal danno biologico e da questo non
assorbito…….utilizzando quale strumento di quantificazione del danno
non patrimoniale le nuove tabelle elaborate dall’Osservatorio per
civile del Tribunale di Milano, …….le quali riscrivono i criteri
liquidatori del danno, consolidati nella prassi, “fondendo” i vecchi
danno biologico e danno morale nella neofita figura del “danno non
patrimoniale onnicomprensivo”.