Responsabilità amministrativa degli enti: si applica anche a studi professionali
Lo studio professionale costituito in forma di società è soggetto
all’interdizione dall’esercizio dell’attività nel caso in cui
dall’affare illecito abbia guadagnato un profitto elevato oppure nella
ipotesi in cui la condotta criminale sia reiterata nel tempo.
Così la Corte
di Cassazione, sezione seconda penale, con la sentenza 7 febbraio 2012,
n. 4703, dando ragione al tribunale del riesame che aveva convalidato
la misura cautelare a carico dello studio.
L’articolo 13 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231,
afferma la stessa Corte nella decisione in oggetto, condiziona
l’applicabilità delle sanzioni interdittive alla circostanza che la
società abbia tratto dal reato un profitto di entità considerevole
oppure, in alternativa, che la società abbia reiterato nel tempo gli
illeciti.
Elemento che, da solo, è stato considerato determinante al fine di infliggere la misura.
La Corte,
con la decisione in commento, ha respinto il ricorso della difesa che
sollevava la violazione dell’articolo 606 c.p.p., in relazione agli
articoli 9 e 46 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231
e 125 c.p.p., in quanto la misura interdittiva era stata giustificata
solamente dalla reiterazione delle condotte illecite e non anche dal
profitto.
Ciò poiché non era stata acquisita, prima dello scadere del termine
relativo alle indagini, la prova del profitto conseguito dalla società.
La sentenza de qua acquista più valore anche alla luce della
legge di stabilità che a partire dal mese di giugno 2012 autorizza la
costituzione di società tra professionisti anche per l’esercizio di più
attività professionali e con la partecipazione di soci non
professionisti per prestazioni tecniche, oppure per finalità di
investimento.