Restituiti gli assegni se la società che ha venduto merce sequestrata era in buona fede
La società che ha venduto merce acquistata da
un’altra azienda e sottoposta a sequestro penale in relazione al reato
di truffa era in buona fede: le vanno restituiti gli assegni. Perché la
Srl non avrebbe potuto rendersi conto della provenienza illecita dei
monitor al momento del loro acquisto. È quanto emerge dalla sentenza
26400/09 della Cassazione.
Una società vendeva a due
imprese (una Srl e una Sas) 245 monitor, per il cui pagamento la Srl
emetteva due assegni per un importo complessivo di circa 68 milioni di
lire. Successivamente, però, queste apparecchiature venivano sottoposte
a sequestro penale in relazione al reato di truffa contestato
all’amministratore dell’azienda dalla quale la società venditrice le
aveva acquistate. Le imprese che avevano acquistato i monitor si erano
rivolte al Tribunale per chiedere il sequestro giudiziario degli
assegni, sia per la declaratoria di risoluzione del contratto di
compravendita oltre che per il risarcimento dei danni subiti. Nel corso
del giudizio a seguito del fallimento della Srl venditrice la causa
veniva prima dichiarata interrotta e poi riassunta con ricorso
notificato al curatore. Il giudice, poi, non avendo ravvisato
responsabilità penali disponeva la restituzione dei due assegni al
fallimento. Il curatore in seguito chiedeva ed otteneva dal Tribunale
un decreto ingiuntivo sulla base dei due titoli che non aveva potuto
riscuotere. Un provvedimento contro il quale le due società acquirenti
si erano opposte. Risultato? Opposizione respinta. La Corte di merito –
osserva il “Palazzaccio” – considerati i principi posti dagli articoli
1153 e 1147 del codice civile si è soffermata sugli “elementi
distonici” della vicenda in esame, interpretandone il significato come
conferma della buona fede della società: quali l’inesistenza di alcun
addebito di natura penale in capo agli amministratori; il fatto che la
Srl avesse acquistato i beni con un’operazione in linea con le
ordinarie prassi commerciali; l’immagazzinaggio dei monitor in luogo
che non appariva intrinsecamente anomalo e la prassi di consegnare
assegni a terzi anche se con clausola “non trasferibile”. In caso di
acquisto “a non domino” di cosa mobile non registrata – ricordano gli
“ermellini” – dalla presunzione, derivante dal principio posto
dall’articolo 1147 Cc, che l’acquirente sia stato in buona fede, deriva
per chi intenda contrastarla, l’onere di fornire elementi idonei alla
formulazione non del mero sospetto di una situazione illegittima, ma di
un dubbio derivante da circostanze serie, concrete e non ipotetiche.