Revoca della procura alle liti anche con una semplice telefonata
La revoca della procura generale alle liti può avvenire anche per telefono da parte del coniuge in luogo dell’assistito.
Con questo principio la Cassazione ha confermato l’impostazione del
Consiglio Nazionale Forense in ordine al comportamento dei propri
iscritti, vincolati ai principi deontologici di lealtà e correttezza nei
confronti del cliente. Al riguardo, le sezioni unite civili si sono
espresse con fermezza nella sentenza 2 dicembre 2011, n. 25763,
ricordando l’importanza del comportamento dell’avvocato che
necessariamente deve essere improntato alla correttezza ed al rispetto
dei criteri deontologici della professione.
Nel caso di specie, un avvocato si vede infliggere dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati la sanzione disciplinare della sospensione
dell’attività professionale per la durata di quattro mesi, in quanto
ritenuto colpevole di aver agito, sebbene gli fosse stata revocata la
procura generale già conferitagli dal cliente e trattenendo, inoltre,
parte della somma riscossa nell’esecuzione del mandato revocato.
Il Consiglio Nazionale Forense aveva poi ridotto della metà la
sospensione, confermando tuttavia l’illegittimità del comportamento
dell’avvocato. In particolare, viene contestata l’illecita prosecuzione
dell’attività dello stesso avvocato nonostante la volontà del cliente di
ottenere la restituzione dei documenti e di revocargli la procura
generale, per la cui manifestazione non occorre atto scritto.
Infatti, a prescindere dalla forma – avvenuta con una semplice
telefonata – e dalla legittimazione – effettuata dal coniuge – alla
revoca , l’avvocato finiva per violare i principi di lealtà e
correttezza fissati dagli artt. 41 e 44 del Codice deontologico.
Poco efficace risulta in proposito l’argomentazione svolta
dall’avvocato, in sede di ricorso per cassazione, fondata sulla
negazione che la telefonata effettuata dal coniuge del cliente
riguardasse anche la richiesta per conto del marito di restituzione
della documentazione e, quindi, della revoca dell’incarico.
Secondo gli Ermellini ciò che conta non è tanto la forma, quanto
la sostanza della questione che si focalizza sul modus operandi
dell’avvocato, a conoscenza della volontà del cliente di revocargli il
mandato. Il punto nodale, infatti, non è il dato contrattuale, ma il
comportamento del professionista, ritenuto non improntato alla lealtà e
correttezza pretesi dal Codice deontologico.
Provvedimenti disciplinari nei confronti degli avvocati La sentenza in esame focalizza un punto che, a nostro avviso, andrebbe maggiormente evidenziato a beneficio dei consumatori. Un comportamento simile a quello qui in esame sarebbe ritenuto assai grave in altre professioni o mestieri; nella specie, il causidico ha posto in essere delle azioni in assenza di una procura e, circostanza che oramai non ci sorprende, ha trattenuto una somma di denaro appartenente all’assistito. Il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto di sanzionare un simile comportamento con la mera sospensione dall’attività professionale per la durata di soli due mesi. La sentenza costituisce un ulteriore motivo di riflessione per i potenziali clienti degli azzeccagarbugli; i primi dovrebbero adottare le cautele preventive disponibili ed usufruire di tutte quelle norme che li tutelano, prima di indirizzarsi verso un avvocato. Responsabilità Avvocati