Riabilitazione in Campania, pochi fondi Scatta la serrata dei Centri: è caos
L’assessorato regionale alla Sanità
stanzia 10 milioni di euro «per garantire il proseguimento delle
attività assistenziali per l’anno in corso», ma i centri riabilitativi
privati convenzionati con le Asl campane restano sul piede di guerra e
rilanciano la minaccia della serrata.
«Servono
almeno il doppio dei soldi stanziati dalla Regione per coprire i costi
dei servizi ambulatoriali, domiciliari e semiconvittuali di
riabilitazione dell’handicap – chiarisce il professore Nando
Mariniello, vicepresidente nazionale dell’Anisap, associazione che
riunisce i centri privati accreditati dalla sanità pubblica e titolare
del centro riabilitativo «Studio Cieffemme sas» – è una misura che non
ci soddisfa e da martedì prossimo bloccheremo tutte le attività, in
base ad un calendario definito con tutti i centri privati».
Secondo il calendario stilato dall’Anisap, il 17 novembre stop alle
attività riabilitative nel territorio dell’Asl Napoli 2 Nord, il giorno
dopo si fermerà la riabilitazione all’Asl di Avellino ed il 19 all’Asl
di Caserta. Un effetto domino, quello del blocco delle prestazioni, che
si estenderà in poche settimane all’intero territorio regionale,
coinvolgendo 170 centri accreditati in tutta la Campania che erogano le
proprie prestazioni per circa 300mila pazienti diversamente abili.
Fisiokinesiterapia, idrokinesiterapia, logopedia, psicomotricità,
riabilitazione neuromotoria: solo alcune delle prestazioni a rischio in
caso di mancato accordo.
«Siamo pronti a fare le barricate per difendere il diritto alla salute
dei nostri pazienti, ma anche per tutelare la dignità dei nostri
dipendenti – sottolinea ancora Mariniello – abbiamo chiesto una
convocazione urgente al prefetto di Napoli per trovare con i
rappresentanti regionali una proposta alternativa, prima che si arrivi
al blocco delle attività. Noi siamo pronti ad autotassarci, ma Regione
ed Asl facciano la loro parte e trovino gli altri 10 milioni che
eviteranno la paralisi assistenziale».
Uno spettro che comporterebbe la cassa integrazione per centinaia di
operatori sanitari e, soprattutto, la necessità per le famiglie dei
pazienti di provvedere in proprio alla copertura delle costosissime
spese mediche.