Ricorsi seriali contro le sigarette light, giudici sott’inchiesta
In prima battuta hanno dichiarato il falso: sostenendo di essere
residenti a Barra, quartiere della periferia Est; poi hanno proposto
ricorso in serie, contro una multinazionale del tabacco, un colosso nel
campo della vendita di sigarette. Ricorsi «seriali», accolti in modo
seriale da parte dei giudici di pace di Barra. Ce n’è abbastanza per
far scattare una doppia inchiesta: una penale, in queste ore condotta
dalla Procura di Roma, titolare dei fascicoli che coinvolgono
magistrati del distretto napoletano; e una di natura disciplinare, che
ha messo in moto gli 007 del ministero, guidati dal capo dell’ufficio
ispettorato Arcibaldo Miller. Inchiesta su più livelli dunque che punta
ad esaminare la correttezza di centinaia di sentenze dei giudici di
pace di Barra. A sollevare il caso, è stato il presidente del tribunale
Carlo Alemi che chiede chiarezza, attende risposte. Tutto nasce dalla
parola «light» posta in bella mostra sui pacchetti di sigarette
acquistati da milioni di consumatori in tutto il mondo e che qui a
Napoli ha provocato una sorta di mobilitazione. Una specie di «class
action» silenziosa, passata sotto traccia e tutt’altro che spontanea,
che sembra frutto di una regìa ben organizzata, magari messa in piedi
da avvocati esperti in materia di risarcimento danni: da qui sono
piovuti centinaia di ricorsi, finiti sulla scrivania degli stessi
giudici. Che hanno sistematicamente accolto le istanze, consentendo
risarcimenti di diverse migliaia di euro. Le sigarette – stando alle
sentenze di Napoli est – non erano «light», producevano gli stessi
danni delle «bionde» tradizionali. Di qui i ricorsi, che troppo spesso
venivano accolti: con la stessa formula, grazie sempre all’intervento
dello stesso giudice. Tre, quattro anche cinquemila euro presi
singolarmente, in un giro di affari che avrebbe provocato un danno
milionario alla multinazionale del tabacco. Soldi sbloccati, in alcuni
casi congelati dopo l’accoglimento delle istanze della Multinazionale,
i cui avvocati si erano rivolti in Cassazione per bloccare l’esecuzione
del risarcimenti. Ricorsi seriali, dunque, tutti provenienti da Barra,
tutti firmati dagli stessi giudici di pace. Tanto che da un primissimo
screening è infatti risultata sistematica l’astensione di alcuni
giudici di pace penale, a cui ha fatto seguito l’intervento sempre
degli stessi magistrati. Insomma, la domanda di fondo è questa: che sta
succedendo a Barra? È questo l’obiettivo degli inquirenti, l’oggetto
della mission napoletana messa in moto dall’ufficio ispettorato di via
Arenula, che punta ad acquisire atti, a confrontare sentenze, ad
ascoltare potenziali testimoni. Facile intuire la strategia degli
inquirenti, in una vicenda destinata a un inevitabile accertamento
penale: il primo step riguarda i certificati di residenza, che è poi il
principale requisito per poter inoltrare un ricorso a quella sezione
distrettuale dei giudici di pace penali. Possibile una intestazione
fittizia della residenza, possibile (anche se tutt’altro che scontato)
che i ricorsi fossero preconfezionati. L’obiettivo ora è evitare
processi sommari e distinguere le singole posizioni, nel tentativo di
trovare elementi concreti nel corso dell’ispezione e rispettare il
lavoro di magistrati onesti. Un’inchiesta che prende le mosse da un
esposto firmato dai legali della multinazionale del tabacco, che ha
attirato l’attenzione dei vertici del tribunale di Napoli. Tanto che
nel corso degli ultimi giorni, sono andati addirittura a vuoto alcuni
tentativi di contattare telefonicamente uno dei giudici della sezione
di Napoli est. Tentativi andati a vuoto, mentre da Napoli è partita la
richiesta di accertamento penale e disciplinare.