Riforma della scuola, al Nord test di dialetto per i prof (in pratica se non sei del Nord vai a casa!)
Non ha dubbi Marcello D’Orta, il maestro
napoletano autore del libro «Io speriamo che me la cavo», oltre un
milione di volumi venduti: l’ultima uscita della Lega in Commissione
Cultura, inserire nella riforma della scuola un test per gli insegnanti
dal quale emerga la loro conoscenza della storia, delle tradizioni e
del dialetto della regione in cui intendono insegnare «è una boutade,
ma anche l’ennesima offesa a tutti i meridionali».
«Bossi – spiega il maestro – si muove in una specie di nostalgia
autarchica. Il fine ultimo è chiaro: lui vuole che a Milano insegnino i
milanesi, a Torino i torinesi e a Verona i veronesi. Sa che molti degli
insegnanti del Nord arrivano dal Sud e vorrebbe che rimanessero al Sud
mal digerendo che un ragazzo di Padova possa essere ammaestrato da un
insegnante siciliano. È una teoria senza capo nè coda».
Si dice indignato D’Orta: «È clamoroso pensare che un siciliano debba
saper parlare il bergamasco. Ma queste uscite Bossi le fa per far
parlare, sa che non troverà sponda neanche tra i suoi alleati, forse
neanche in tutta la Lega. Ma restano le offese che lui fa al Sud
cercando di buttare fuori gli insegnanti meridionali: mi sembra,
peraltro, che il figlio abbia avuto un insegnante del Sud e che sia
stato anche bocciato».
Di qui il paradosso: «Estendendo il ragionamento bossiano – spiega
D’Orta – si potrebbe stabilire che gli scrittori del Sud debbano
scrivere solo per le case editrici del Sud. Ma io, De Crescenzo e
Saviano, tre che abbiamo venduto oltre un milione di copie con i propri
libri, abbiamo fatto la fortuna di case editrici del Nord. E non
ricordo scrittori settentrionali capaci di vendere tanto. Ecco perchè
di questo passo a essere penalizzato sarebbe proprio il Nord. Ma se di
provocazione si tratta – prosegue il maestro – ne lancio una pure io.
Se c’è una lingua che gli insegnanti, del Nord e del Sud, dovrebbero
imparare è il napoletano. Tutti ne conoscono le canzoni. È la lingua
del teatro di Eduardo e dei film di Totò e Peppino. È molto più
accreditata nel mondo come lingua rispetto al bergamasco o al dialetto
veronese».
«Bossi – ammonisce lo scrittore partenopeo – impari la storia: quando
nella Magna Grecia si innalzavano i templi di Agrigento e Paestum in
Padania si stava sulle palafitte e quando da noi già si poetava in
Padania si parlava col linguaggio dei sordomuti».