RIMBORSI PER CHI HA PAGATO L’IVA SULLA TASSA RIFIUTI – ECCO CHI PUO’ CHIEDERLI
Non è lecito applicare anche l’IVA sulla tariffa di igiene ambientale. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione pronunciandosi sulla controversa questione dell’imposta sul valore aggiunto caricata alla TIA, dichiarandone l’illegittimità con la sentenza n. 5078/2016. La tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (prevista dall’articolo 49, d.lgs. n. 22/1997), non può essere assoggettata ad IVA – scrivono i giudici della Suprema Corte – perché tale tariffa ha natura tributaria, mentre l’imposta sul valore aggiunto mira a colpire la capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione ex art. 3 d.p.r. n. 633/1972, non quando si paga un’imposta, anche se destinata a finanziare un servizio da cui trae benefici lo stesso contribuente.
Nel caso specifico, gli Ermellini hanno respinto il ricorso della società Veritas Spa avverso la sentenza che disponeva il rimborso a un cittadino della somma di euro 67,36 per l’IVA applicata alla TIA. Così rafforzando un principio già da tempo consolidato all’interno delle sezioni tributarie. Ora, dopo la pubblicazione di questa sentenza “angolare”, non solo la società Veritas deve restituire l’IVA ingiustamente pagata ai cittadini, ma anche le altre sigle di gestione ambientale dovranno obbligatoriamente regolarsi nello stesso modo. Perché la TIA è una tassa e sulle tasse non si applica l’IVA.
«I rimborsi dovrebbero avvenire automaticamente – avverte il presidente di noiconsumatori.it Angelo Pisani – ma come sempre le società ed i comuni che ad esse si erano affidate proveranno a fare orecchie da mercante. Per questo abbiamo già avviato le richieste di rimborso per conto di numerosi contribuenti».
Il Movimento noiconsumatori.it ricorda che in diversi Comuni della Campania le società di igiene ambientale avevano applicato l’IVA sulla TIA, in particolare nei Comuni di Capri, Procida e San Giorgio a Cremano.
Il rimborso previsto dalla sentenza delle Sezioni Unite è di per sé modesto, pari a soli 67 euro, ma se si sommano tutti quelli dovuti in Italia, si arriva a somme assai consistenti. Senza contare gli interessi maturati «che – conclude l’avvocato Pisani – dovranno anch’essi essere restituiti fino all’ultimo euro alla collettività, affinché non finiscano nelle casse delle banche, dando vita all’illecito nell’illecito».