Risarcimenti statali a Gb e Olanda Islanda chiamata al referendum
LONDRA
Urne aperte in Islanda per il referendum sui rimborsi a
Londra e L’Aja delle perdite causate ai risparmiatori di Gran Bretagna
e Olanda dal fallimento della banca islandese Icesave. A indire la
consultazione popolare è stato, lo scorso gennaio, il presidente della
Repubblica, Olafur Ragnar Grimsson, in seguito alle proteste con cui la
popolazione ha accolto il varo, da parte del Parlamento di Reykjavik,
della legge con la quale l’Islanda si impegnava a restituire, da qui al
2014, 3,9 miliardi di euro anticipati dalle autorità inglesi e olandesi
ai circa 300.000 loro cittadini clienti della Icesave.
Le
previsioni danno il “no” in netto vantaggio. Davanti a questa
prospettiva il governo sta facendo di tutto per disinnescare una
potenziale bomba a orologeria. Evidenziando, da un lato, che il
referendum non ha senso, poichè inglesi e olandesi sono già disposti a
trovare un accordo meno oneroso per l’Islanda. E dall’altro
assicurando, come ha ribadito ieri il ministro delle Finanze,
Steingrimur Sigfusson, che il Paese «onorerà comunque i suoi impegni».
Ma i rapporti tra Islanda, Ue e Fmi rischiano comunque di subire un
brutto colpo. La contrarietà degli islandesi all’accordo oggetto di
referendum nasce, come ha avuto occasione di spiegare a Bruxelles lo
scorso mese la premier Johanna Sigurdardottir, dalla convinzione di
essere vittime di una legge europea – quella che garantisce i depositi
bancari – fondamentalmente sbagliata.
Le autorità inglesi e
olandesi, rimaste per ora con nulla in mano, lamentano il fatto che
Reykjavik fino alla vigilia del crack – avvenuto nell’ottobre del 2008
– abbia mentito assicurando
fino all’ultimo che la Icesave, sbarcata
nel territorio Ue per rastrellare risparmi, non presentava problemi di
sorta. E quando hanno visto, invece, il presidente islandese bloccare
di fatto l’applicazone della legge che prevedeva il rimborso di quanto
anticipato ai clienti della banca islandese fallita, Londra e l’Aja
hanno reagito duramente e con preoccupazione. In termini pratici,
l’eventuale vittoria del “no” al referendum rischia di incidere
negativamente non solo sul processo di adesione dell’Islanda all’Ue, ma
soprattutto sull’erogazione degli aiuti finanziari dell’Fmi e di altri
Paesi nordici di cui il Paese ha estremamente bisogno per uscire dalla
peggiore crisi della sua storia (nel 2009 il Pil è diminuito del 6,5%).
«Noi
comunque non ci dimetteremo», ha detto ieri la premier. «In questi
tempi di crisi è nostro dovere restare uniti», ha aggiunto. E nel
tentativo di far capire agli islandesi la posta in gioco, il ministro
dell’Economia, Gylfi Magnusson, ha aggiunto:«Un eventuale ritardo
nell’erogazione
del prestito dell’Fmi potrebbe costarci fino al 5%
del Pil». La parola passa ora alle urne: le operazioni di voto sono
iniziate alle 9 e si concluderanno alle 22. Nel pomeriggio sono in
programma manifestazioni nella capitale, il principale appuntamento
alle 14 davanti al Parlamento.