Risarcimento negato se si sottoscrive la clausola ”nulla a pretendere”
Il proprietario-locatore che all’atto della riconsegna dell’immobile sottoscrive una transazione in cui dichiara di non avere nulla a pretendere non ha diritto ad alcun risarcimento anche in presenza di asportazione di beni di proprietà. E’ questo l’asciutto principio a cui ha dato origine la sentenza della Cassazione, sezione III civile, 29 settembre 2011, n. 19786.
Nel caso in questione, la proprietaria di un appartamento, alla morte del padre, aveva intentato una causa nei confronti degli inquilini dell’immobile per la risoluzione contrattuale e il risarcimento dei arrecati allo stesso. La causa si era conclusa con una conciliazione in base alla quale i convenuti si erano impegnati a rilasciare l’immobile. Tuttavia, la proprietaria rientrata nell’appartamento aveva avuto modo di verificare che dall’immobile erano stati asportati caldaia, termosifoni, porte, scuretti ed altro, subendo danni per un importo di 49.000 €. Da qui l’ulteriore causa, che veniva decisa in favore dei convenuti i quali deducevano in giudizio di aver asportato esclusivamente beni di loro proprietà e che in ogni caso all’atto della riconsegna dell’immobile la proprietaria aveva sottoscritto una transazione in cui dichiarava di non aver nulla pretendere.
L’impugnazione contro la decisione del giudice di primo grado veniva rigettata dalla Corte di Appello di Bologna e lo stesso esito si registra davanti ai giudici del Palazzaccio che hanno rigettato il ricorso per cassazione.
Nel respingere le doglianze della ricorrente – articolate in nove motivi – la Cassazione si sofferma su quella relativa ad una presunta contraddittorietà della motivazione della Corte di Appello in merito alla affermata natura di clausola di stile del “nulla a pretendere” sottoscritta dalla proprietaria dell’immobile. In definitiva, si ritiene da parte della ricorrente che la suddetta dichiarazione costituiva una dichiarazione di scienza priva di efficacia negoziale concretando una semplice manifestazione del convincimento dell’interessata di essere soddisfatta di tutti i suoi diritti. La Corte di appello, in particolare, avrebbe motivato in maniera contraddittoria descrivendo come preciso e circostanziato l’oggetto della quietanza benché essa si limitasse a far riferimento alla locazione intervenuta senza alcun accenno ai danni riguardo ai quali era destinata ad operare.
La Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze. Infatti, le clausole di stile sono espressioni generiche frequente mente contenute nei contratti o negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminazione rivelano la funzione di semplice completamento formale mentre non può considerarsi tale la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti (Cass. n. 5203/83, Cass.1950/09). Nel caso di specie, la clausola non poteva essere intesa quale mera clausola di stile, così come affermato dalla stessa corte di appello in quanto “la detta rinuncia è precisa e circostanziata e comprende qualunque titolo o spesa passati o futuri relativi al rapporto locatizio oggetto della transazione”. Pertanto, concludono i giudici di Piazza Cavour, la Corte territoriale ha argomentato adeguatamente sul merito con motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa applicabile, evidenziando la specificità e la funzionalità della clausola a testimonianza della sicura consapevolezza e volontà dei contraenti.