Risarcimento per i danni alla reputazione su Facebook
Deve risarcire l’altrui danno morale chi lede la reputazione, l’onore o il decoro di una persona attraverso l’invio di un messaggio tramite Facebook.
È questa la sintesi della decisione emessa qualche tempo fa dal Tribunale di Monza, la prima in Italia ad aver trattato il delicato argomento dei social network.
Tutti conoscono la potenzialità lesiva della piattaforma di Zuckerberg, capace di diffondere contenuti e messaggi indipendentemente dal consenso del destinatario, anche a più persone nello stesso istante, attraverso lo strumento del tag.
Un ragazzo aveva inviato ad una conoscente un messaggio altamente offensivo, scrivendolo sulla pagina personale Facebook di quest’ultima; il messaggio era rivolto a deriderne pubblicamente i difetti fisici (il testo imputava peraltro alla giovane discutibili gusti sessuali).
Il Tribunale di Monza, chiamato a decidere sulla vicenda dopo l’azione legale intentata dalla giovane, ha evidenziato i rischi derivanti dalle “potenziali esondazioni dei contenuti che si inseriscono” su Facebook.
L’originalità della sentenza in questione è l’aver riconosciuto il risarcimento del danno morale al soggetto leso per una condotta posta su un social network.
Il danno morale, identificabile nelle sofferenze psichiche, nei turbamenti e nelle ansie patite a causa dell’illecito, è stato a lungo riconosciuto dalla giurisprudenza solo al compimento di fatti che costituiscono reato.
Con una recente sentenza, tuttavia, la Corte Costituzionale ne ha ampliato l’ambito di applicazione. La Corte, in particolare, ha affermato il principio secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere concesso in caso di lesione di qualsiasi “valore” di rilievo costituzionale.
Dunque, attualmente, il danno morale viene liquidato in due casi:
a) quando il fatto illecito da cui deriva il danno è considerato dalla legge come un reato;
b) quando, il fatto illecito, anche se non è un reato, lede comunque uno dei diritti della persona tutelati dalla nostra Costituzione.
Tale risarcimento non è legato necessariamente alla esistenza di un danno specifico, ma solo alla sofferenza soggettiva cagionata dalla condotta del colpevole.
Pertanto, nel caso di specie, indipendentemente dalla rilevanza penalistica del fatto, il Tribunale di Monza ha riconosciuto alla ragazza lesa nell’onore il risarcimento del danno morale proprio per via del “turbamento dello stato d’animo della vittima” derivante dall’illecito e del carattere pubblico del contesto che aveva ospitato il messaggio offensivo.
La sentenza in commento costituisce un’interessante apertura verso una tutela risarcitoria più ampia nei confronti di condotte spesso avventate (e fonte di rilevantissimi danni alla persona) che, attraverso la facilità di comunicazione offerta da Facebook (e grazie anche all’incoscienza dei giovani), si possono compiere.
Sui social network siamo tutti un po’ indifesi, anche al di là dei diversi livelli di condivisione prescelti dalla privacy dell’utente. È necessario quindi che anche la giurisprudenza adotti il massimo rigore nel censurare le lesioni che da ciò possono scaturire.