Risarcito l’automobilista per ingiustificata rimozione del veicolo dalla strada
La Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il risarcimento del danno subito dall’automobilista e causato dallo stress accumulato a seguito della ingiustificata rimozione della propria vettura dalla strada.
La Suprema Corte condanna severamente il comportamento tenuto dagli ausiliari del traffico deputati esclusivamente ad accertare e nell’ipotesi di violazione, a sanzionare la sosta sulle strisce blu di veicoli privi delle apposite schede parcheggio.
Come si legge nella sentenza n. 1246 del 24 febbraio 2011 pronunciata dalla 3° sez. del Tribunale di Torino, il legislatore ha conferito agli ausiliari del traffico il potere di prevenire ed accertare infrazioni al Codice della Strada da esercitarsi nelle situazioni codicisticamente disciplinate, ovvero: “una prima ipotesi è costituita dalle infrazioni concernenti la sosta di autoveicoli nelle aree soggette a concessione di parcheggio, in ordine alla quale le funzioni di prevenzione ed accertamento possono essersi svolte dagli stessi dipendenti della società concessionaria; una seconda concernente la sosta nell’ambito del territorio del Comune, nella quale le funzioni di prevenzione ed accertamento delle relative infrazioni sono attribuite ai dipendenti comunali; una terza, si riferisce agli ispettori delle aziende di trasporto pubblico urbano, ai quali è conferito il controllo della sosta non solo sulle corsie riservate ai mezzi pubblici, ma anche nell’intero territorio comunale” e non il diritto di disporre la rimozione ingiustificata dell’automezzo.
Il Tribunale di Torino ha richiamato la sentenza n. 22679/09 della Corte di Cassazione che all’art. 17 della Legge n. 127/97 ai commi 132 e 133 riprendeva la volontà del legislatore di riconoscere agli ispettori della società esercente il trasporto pubblico urbano (e non agli ausiliari del traffico), la legittimità di elevare contravvenzioni relative alla sosta in ogni zona del territorio comunale così come previsto dal Codice della Strada, contrariamente a quanto negativamente affermato nelle sentenze nn. 551/2009 e 1565/2005.
Per non perdere di vista il caso di specie per cui si è fatto appello alla sentenza n. 6712/2011, semmai l’ausiliario del traffico oltre alla ingiustificata rimozione dovesse redigere un verbale, l’atto risulterebbe viziato e dunque annullato per difetto di delega e l’ausiliario incorrerebbe in responsabilità per eccesso di potere.
Ai sensi del 2° co. dell’art. 68 della Legge n. 488/99, l’atto di delega, conferito dal sindaco, in favore di “personale nominativamente designato” è un provvedimento amministrativo e non un semplice atto normativo tale da non giustificare il comportamento forse troppo zelante nonchè eccessivo dell’ausiliario del traffico.
Cassazione, sez. II, 23 marzo 2011, n. 6712
Svolgimento del processo
La sig.ra M.S.D.C. propose, nei confronti del Comune di Palermo e dell’AMAT – Azienda speciale per la mobilità (ora AMAT s.p.a.), ricorso ai sensi dell’art. 22 l. 24 novembre 1981, n. 689 avverso il verbale di accertamento della violazione degli artt. 158, 159 e 140 codice della strada (sosta su attraversamento pedonale) elevato il 13 maggio 2004 da un ausiliare del traffico dipendente dell’AMAT. Sostenne che l’ausiliare del traffico autore del verbale era privo di delega del Sindaco e chiese anche il rimborso di quanto versato per ottenere la restituzione della propria autovettura, rimossa a seguito dell’accertamento, nonché il risarcimento dei danno.
Il Comune rimase contumace e resistette in giudizio la sola AMAT.
L’adito Giudice di pace di Palermo accolse il ricorso osservando: a) che il verbale non recava i “precisi motivi” dell’omissione della contestazione immediata dell’illecito, giustificata con il solo riferimento all’assenza del trasgressore; b) che l’ausiliare del traffico procedente era privo di delega; c) che il verbale non era stato notificato in originale o copia autentica. Annullato, quindi, il verbale, condannò gli enti convenuti, in solido, al rimborso delle spese di svincolo dell’autovettura e al pagamento di Euro 200,00 “a causa dello stress subito” dalla opponente, all’epoca incinta, nella ricerca del veicolo illegittimamente rimosso.
L’AMAT s.p.a. ha quindi proposto ricorso per cassazione per sette motivi, cui la sig.ra S.D.C. ha resistito con controricorso. Il Comune di Palermo, nei confronti del quale questa Corte aveva disposto l’integrazione del contraddittorio, tempestivamente eseguita dalla ricorrente, non ha svolto difese.
Il P.M. ha concluso per iscritto, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., in via principale per la declaratoria d’ufficio della radicale carenza di legittimazione passiva dell’AMAT, con condanna della opponente alle spese di entrambi i gradi del giudizio, e in via subordinata per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. – Va preliminarmente disattesa l’eccezione di tardività del ricorso formulata dalla controricorrente sul rilievo che la notifica di esso è stata eseguita il 15 novembre 2005, sessantunesimo giorno successivo alla notifica della sentenza impugnata.
Quella che rileva, infatti, è la data della richiesta della notificazione (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 458/2005), che nella specie risale all’8 novembre 2005, ampiamente rientrante nel termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c..
2. – Va altresì disattesa la richiesta, formulata dal P.M. in via principale, di definire il giudizio con declaratoria d’ufficio del difetto di legittimazione passiva dell’AMAI essendo il Comune l’unico legittimato a resistere all’opposizione avverso il verbale.
Se è vero, infatti, che legittimato a resistere all’opposizione al verbale era soltanto il Comune, quale amministrazione cui l’atto era riferibile, è pur vero che questi era stato convenuto nel giudizio di primo grado e che la legittimazione passiva dell’AMAT sussiteva quanto alle domande di rimborso delle spese di svincolo dell’autovettura e di risarcimento del danno, dato che la relativa condanna veniva richiesta anche nei suoi confronti.
Il difetto di legittimazione passiva dell’AMAT quanto all’opposizione al verbale, d’altra parte, non è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità: non si tratta, infatti, di rilevare una carenza di contraddittorio, dato che il soggetto passivamente legittimato – il Comune – è stato convenuto sin dal primo grado di giudizio.
3. – Vanno quindi esaminati con priorità il terzo e quarto motivo di ricorso, tra loro connessi.
3.1. – Con il terzo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, si censura la statuizione secondo cui “l’ausiliare del traffico, non essendo delegato dal Sindaco se non per l’accertamento delle violazioni relative all’uso delle schede parcheggio (…) e, quindi, con carenza di delega per la rimozione dei veicoli, non avrebbe potuto e dovuto procedere alla rimozione”. Si sostiene che il verbalizzante era in realtà titolare di delega anche a disporre la rimozione dei veicoli in divieto di sosta, delega rilasciata con ordinanza sindacale 14 aprile 2003, n. 90 agli ausiliari del traffico dipendenti dell’AMAT, la quale ben può essere presa in considerazione in sede di legittimità trattandosi di “atto pubblico equiparabile alla legge”.
3.2. – Con il quarto motivo si denuncia l’inadeguatezza della motivazione addotta sul punto nella sentenza impugnata.
3.3. – Detti motivi sono infondati.
Per un verso, infatti, la delega, essendo uno specifico provvedimento amministrativo (da emettere in favore di “personale nominativamente designato”, come prevede l’art. 68, comma 2, l. 23 dicembre 1999, n. 488) e non un atto normativo, doveva essere prodotta in giudizio dall’amministrazione interessata (il che, secondo la sentenza impugnata, non è avvenuto) e non poteva essere acquisita d’ufficio dal. giudice di merito, né può essere prodotta o esaminata per la prima volta in sede di legittimità. Per altro verso, l’evidenziata mancanza di delega costituisce ragione sufficiente a giustificare la statuizione di cui trattasi.
4. – Vanno quindi esaminati il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso.
4.1. – Con il primo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, si censura l’affermazione dell’illegittimità del verbale per la mancanza di indicazione delle ragioni giustificative dell’omissione della contestazione immediata dell’illecito nonostante l’espressa menzione dell’assenza del trasgressore.
4.2. – Con il secondo motivo si ripropone, in sostanza, la stessa questione sotto il profilo del vizio di motivazione.
4.3. – Con il quinto motivo si denuncia l’extrapetizione con riguardo all’ulteriore ragione di illegittimità del verbale ritenuta dal giudice, consistente nella nullità della sua notificazione non eseguita mediante consegna di originale o copia conforme.
4.4. – Tutte le predette censure sono inammissibili.
Il Giudice di pace, invero, ha annullato il verbale anche per il difetto di delega del verbalizzante ad eseguire l’accertamento della violazione di cui trattasi. Tanto risulta dall’affermazione contenuta nella prima parte del passo della sentenza sopra testualmente riportato, secondo cui l’ausiliare non era “delegato dal Sindaco se non per l’accertamento della violazioni relative all’uso delle schede parcheggio” (e dunque non per l’accertamento di altre violazioni, come la sosta su attraversamento pedonale), ed è confermato (ad onta di qualche possibile incertezza derivante dal riferimento, nel medesimo passo della sentenza, alla carenza di delega per la rimozione) dal collegamento del passaggio finale della motivazione, in cui il giudice chiarisce di dovere accogliere il ricorso “in ogni sua parte”, con il contenuto del ricorso stesso così come riferito nella narrativa della medesima sentenza, in base al quale l’unico motivo di opposizione consisteva appunto nella denuncia del difetto di legittimazione dell’ausiliario per difetto di delega “ad elevare contravvenzioni”, oltre che a disporre la rimozione del mezzo.
Poiché la statuizione del difetto di delega, sufficiente da sola a giustificare la decisione di annullamento dei verbale, è stata – come si è visto – malamente censurata dalla ricorrente solo con il primo e secondo motivo e, dunque, è rimasta in piedi, perde di interesse l’esame delle censure, svolte con i motivi ora in questione, relativi ad ulteriori, autonome ragioni di illegittimità del verbale affermate nella sentenza impugnata.
5. – Anche il sesto ed il settimo motivo di ricorso sono connessi e vanno perciò esaminati congiuntamente.
5.1. – Con il sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 115 c.p.c., la ricorrente deduce (dopo aver dichiarato di prescindere dal difetto di qualsiasi riscontro dell’affermazione del. giudice che la opponente all’epoca dell’accertamento era incinta e perciò era stata costretta ad abbandonare la sua autovettura) il difetto di prova dell’asserito stress subito dalla opponente nella ricerca del veicolo rimosso e del conseguente danno, di cui non v’era alcuna traccia fattuale o documentazione sanitaria.
5.2. – Con il settimo motivo si denuncia nuovamente, questa volta sotto la rubrica del vizio di motivazione, l’apoditticità della statuizione di risarcimento del danno basata sulla mera, non riscontrata affermazione dello stress subite dalla opponente nella ricerca dell’autovettura rimossa.
5.3. – I motivi sono inammissibili.
La ricorrente non pone la questione di diritto della risarcibilità del danno da stress accertato dal Giudice di pace; pone, invece, una questione di fatto, quella dell’insussistenza, in concreto, di uno stress cagionato alla opponente dalla rimozione e conseguente ricerca della propria autovettura. Quindi deduce, nella sostanza, una censura di vizio di motivazione.
Sennonché l’affermazione che la ricerca del proprio veicolo rimosso provochi stress non può affatto dirsi, del tutto ingiustificata. – e in quanto tale censurabile in sede di legittimità per vizio di motivazione – alla luce della comune esperienza.
6. – Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 800,00, di cui 600,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.