Risparmia solo una famiglia su tre
È un numero da minimo storico (da quando sono partite le statistiche) quello del risparmio italiano alle prese con la crisi: soltanto il 38,7% delle famiglie riesce ormai a mettere da parte qualcosa, contro il 47,2% di appena un anno fa. E quasi la metà degli italiani (46,2%) ha iniziato a intaccare il proprio patrimonio. Il resto, evidentemente, è rappresentato da chi spende esattamente quanto guadagna. È la fotografia scattata dall’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2012, realizzata da Intesa Sanpaolo e dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi. Un sondaggio Doxa ha intervistato 1.053 capifamiglia tra gennaio e febbraio di quest’anno: due mesi, tra l’altro, in cui le aste di lungo termine della Bce sembravano aver ridato un po’ di fiducia ai mercati. Prima, però, della nuova ondata primaverile di vendite.
Secondo lo studio, il 24,3% degli intervistati si è messo alla ricerca di un nuovo lavoro o di una seconda fonte di entrate, e i più colpiti dalla crisi sono i ventenni, le donne, gli esercenti e gli artigiani. Inoltre, il 55% di intervistati dice di avere sfiducia nelle istituzioni per quanto riguarda la loro capacità di difendere il risparmio.
Cambiano poi anche le motivazioni del risparmio. Scende l’acquisto della casa: valeva il 25,7% nel 2004, il 16,2% nel 2007, il 12,7% nel 2011 e cala ulteriormente ad appena il 5,5% nel 2012 (il mattone resta comunque l’investimento che si guadagna il maggior numero di risparmiatori soddisfatti). Toccano invece il massimo le motivazioni ereditarie o di trasferimento di parte della ricchezza ai figli: il 19,5 per cento risparmia per aiutarli, pagar loro gli studi o lasciare un’eredità. Quanto alle pensioni, la riforma previdenziale è in parte accettata (il 49,5% pensa che sia giusto lavorare più a lungo) ma il 48,9% dichiara che è sbagliato cambiare le regole troppo spesso. E i giudizi positivi sono più frequenti tra i giovani. Che comunque sono pessimisti (o realisti, a seconda del punto di vista): il 43,1% si aspetta una pensione pari o inferiore a 1.000 euro al mese e solo il 9,6% ritiene che sarà superiore a 1.500 euro.
Il saldo tra i giudizi di sufficienza e insufficienza del proprio reddito, che aveva toccato il picco (71,7%) nel 2002—l’anno dell’arrivo dell’euro nelle nostre tasche— scende ora al minimo storico (45,7%). Nel 2011, inoltre, raggiunge il picco (12,5%, vale a dire uno su otto) la quota di chi guadagna un reddito del tutto insufficiente al mantenimento del proprio tenore di vita. Mentre solo il 15,2% degli intervistati dichiara di non avere avuto alcun impatto dalla crisi.
BTP
PERCHE’ SI’
La quota di sicurezza (15%) e i rendimenti interessanti
Perché, nonostante tutto, i titoli di Stato italiani mantengono un rapporto rischio/rendimento interessante a cui si accompagna l’ipotesi di un guadagno in conto capitale se passasse la bufera. Secondo la maggioranza degli operatori le scadenze su cui vale la pena mantenere delle posizioni sono quelle medio-brevi. I portafogli destinati alla clientela retail dichiarano di non superare una quota investita in titoli italiani superiore al 20-25%. Ma per chi vuol rischiare il minimo indispensabile è meglio rimanere sotto il 15%. Molti si sono ritirati su titoli che scadono alla fine del 2013, offrendo un rendimento superiore al 4% lordo. «Ma i Btp fino a tre-cinque anni sono quelli più appetibili perché offrono molto senza impegnare per un tempo eccessivamente lungo», spiega Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz. L’impiego a venti-trent’anni offre rendimenti in proporzione non molto più elevati (poco più del 6% lordo) ed espone ad una dose molto maggiore di incertezza. Se è difficile prevedere gli umori del mercato nel giro di ventiquattrore o anche solo di mezza giornata, l’orizzonte trentennale sembra un’inconcepibile eternità.
PERCHE’ NO
L’incertezza non passa diversificare è d’obbligo
Perché purtroppo la via per uscire dalla crisi dell’euro sembra lunghissima e per nulla facile. «Ieri il mercato, nonostante il buon esito delle elezioni greche, chiedeva alla Spagna un premio di rischio sul titolo decennale superiore a quello pagato dall’Irlanda, che da un paio d’anni, di fatto, non ha più accesso al mercato», spiegano sconsolati alcuni operatori. L’Italia non è la Spagna e non è l’Irlanda ma l’ipoteca sui nostri titoli di Stato c’è ed è pesante. Non si può ignorare e non si può sottovalutare il pericolo del contagio finanziario se la situazione dovesse peggiorare ancora invece di evolversi in meglio. Ecco perché nessuno deve prendere sotto gamba la necessità di diversificare il portafoglio tra più asset possibili, spaziando dalle altre valute ai corporate bond fino a piccole quote di azioni. Per quanto riguarda i Btp, dunque, ognuno deve mettere sul piatto della bilancia la sua fiducia in un eventuale miglioramento delle prospettive dell’azienda Italia e decidere. Il «perché no», a seconda delle possibilità di ciascuno, si può declinare in un «perché non troppo» che permetta di cogliere l’opportunità dell’alto rendimento offerta dal nostro Tesoro senza superare il limite di sicurezza.
BUND
PERCHE’ SI’
Quel porto tranquillo senza rischio di cambio
Perché i titoli della Germania, grande vincitrice (per ora) della crisi, sono ancora il porto sicuro degli investimenti euro: negli ultimi giorni hanno avuto qualche smottamento di prezzo e qualche rialzo di rendimento, ma sembrano ben lontani dal cedere il primato. Basta guardare la tabella per vedere l’abissale differenza tra i nostri rendimenti e quelli pagati dal governo di Angela Merkel: per avere il 2% lordo in Germania bisogna comprare il titolo trentennale, se si resta sulle scadenze brevi, quelle che con un Btp offrono tra il 4 e il 5% lordo, bisogna accontentarsi di un interesse pari a zero. Con i Bot trimestrali alla tedesca gli interessi sono addirittura negativi. Con il quinquennale si porta a casa lo 0,46%. «In genere la ricerca di un porto sicuro comporta l’assunzione di un rischio valutario perché si lascia un’area in difficoltà per buttarsi su un’altra— dice Antonio Mauceri, amministratore delegato di Augustum Opus sim —. Ma la paradossale situazione che si è creata in Europa consente invece agli investitori locali di fare incetta di qualità senza uscire dal recinto valutario dell’euro».
PERCHE’ NO
Il premio troppo avaro segue il timore della bolla
Perché da più parti si comincia a dire che questi rendimenti non sono sostenibili. Se per i Paesi in difficoltà, Italia compresa, la non sostenibilità è una questione di eccessivi conti da pagare al mercato per finanziarsi, per i bund c’è chi parla di bolla delle quotazioni. E c’è chi ricorda che, se le cose dovessero migliorare pian piano, avremmo Btp&company in grado di tirare il fiato, mentre i Bund e gli altri titoli supersicuri precipiterebbero dalle vette di prezzo dove si sono arrampicati durante la crisi. Ma anche se l’euro dovesse rompersi, qualcuno non crede che la Germania possa salvarsi da sola. Le emissioni tedesche quotano quasi tutte sopra la pari e rendono meno dell’inflazione nazionale e casalinga. Per i tedeschi, che hanno un costo della vita intorno al 2%, l’investimento nel proprio decennale comporta una parziale rinuncia alla conservazione del capitale, visto che il titolo rende l’1,4% e che dopo aver pagato le tasse ne resta ancora di meno. Per gli italiani, dove l’inflazione marcia al 3,2%, la rinuncia è ancora più evidente. Negli ultimi giorni sono circolati diversi sondaggi tra operatori che esprimono il loro scetticismo sul fatto di tenere i portafogli troppo pieni di bund. Nei fatti, però, gli assetti del mercato non sembrano molto diversi da qualche settimana fa.
T-BOND
PERCHE’ SI’
Il viaggio fuori dall’euro con un salvagente valutario
Perché i titoli Usa sono ritenuti sicuri dal mercato — un po’ come i bund — e in più offrono il plus della diversificazione valutaria. Avere una parte del portafoglio denominata in dollari è un’idea forte sempre e a maggior ragione in questo momento. Perché i dollari sono la principale riserva valutaria di tutte le economie del mondo e gli scambi internazionali sono denominati in biglietti verdi. Certo i rendimenti, un p0’ come avviene per i titoli tedeschi, sono molto bassi. Chi scommette sul dollaro però —acquistando obbligazioni o titoli azionari oppure «coprendo» una parte del portafoglio con un’opzione in dollari — non punta al premio. Lo fa sapendo che in caso di rottura scomposta della moneta unica europea la valuta americana potrebbe apprezzarsi, offrendo quindi una sorta di salvagente alla quota di risparmi messi sotto il cappello dello zio Sam. In questo momento di crisi e di debolezza generale nessuno vuole una moneta troppo forte e gli americani non fanno eccezione: il dollaro un po’ anemico è una delle loro strategie economiche. La grande crisi dell’euro, però, si è fatta sentire sul cambio: in un anno la valuta europea è passata da 1,45 a 1,25, con una perdita del 15% rispetto al dollaro.
Il biglietto verde non è più il primo della classe
Perché, un po’ come accade per i titoli di Stato della Germania, dopo un anno di grande incertezza e di ricerca spasmodica di sicurezza, le quotazioni dei bond sono piuttosto care. Uno sguardo alla tabella rivela che non siamo ai livelli dei bund, ma la differenza è minima. Gli stessi operatori che esprimono dubbi sulla sostenibilità del finanziamento a tasso zero del governo tedesco dicono le medesime cose anche nei riguardi degli Stati Uniti che, tra parentesi, hanno perso ben prima della Francia la tripla A (cioè il massimo dei voti) da parte di tutte le maggiori agenzie di rating. Se l’obiettivo del portafoglio è quindi una diversificazione valutaria e il patrimonio è abbastanza grande da giustificare una pluralità di investimenti, si può pensare di affiancare al dollaro americano anche quello canadese e australiano. Oppure, per non uscire dall’Europa abbandonando però le incertezze dell’euro, si possono prendere in considerazione le corone scandinave. O addirittura lo zloty polacco e la lira turca, ex aspiranti membri dell’euro che si sono trovati la strada sbarrata dalla crisi. E che adesso, con un ulteriore paradosso del momento, raccolgono l’interesse di chi cerca alternative.