Risparmio obbligato al rischio se vuole rincorrere i rendimenti
In fondo è la regola più antica dell’investimento, e spesso anche la
più dimenticata: vuoi migliorare il rendimento del tuo portafogli? E
allora devi anche assumerti qualche rischio in più. A volte, poi,
bisogna anche sapersi accontentare, o quantomeno commisurare i
rendimenti alla fase di mercato che si vive. Adesso, per esempio, a
parcheggiare il denaro su titoli di Stato a breve termine come gli
amatissimi BoT si rischia addirittura di vedere ridotto il proprio
gruzzolo. E anche puntando sui BTp a 3-5 anni non si riesce a spuntare
molto di più del 2% netto.
È anche vero però che i tassi a cui ci
si indebita, e soprattutto l’inflazione, sono prossimi allo zero. Un
interesse netto del 4%, che fino a un anno fa (con costo del denaro e
carovita ben più elevato) poteva essere considerato avvicinabile senza
eccessive difficoltà e pericoli nel reddito fisso, oggi è quindi un
«signor» rendimento (reale, e non più soltanto nominale come nel 2008)
e ottenerlo senza rischio è impossibile.
Certo, le opportunità a
guardarsi attorno non mancano, come si può leggere anche negli articoli
della pagina a fianco. Per esempio si può allungare la scadenza dei
titoli in portafoglio e puntare su un BTp ventennale, che garantisce
appunto (al netto dell’imposizione fiscale) un rendimento del 4%. Si
può anche scegliere un’obbligazione societaria (le cosiddette
corporate, l’asset class preferita dai gestori da un anno a questa
parte), oppure dar retta a quanto viene in genere offerto allo
sportello bancario e acquistare un’emissione di un istituto
finanziario, magari subordinata.
In tutti questi casi il 4% netto
lo si può raggiungere e anche superare, ma qualcosa bisogna pur
concedere sul piano della sicurezza. E in particolare, quando si parla
di obbligazioni, i rischi ai quali il risparmiatore può andare incontro
possono essere raggruppati in tre grandi categorie. Allungando la
scadenza media dei titoli presenti in portafoglio (la cosiddetta
duration, come si dice in gergo tecnico) ci si espone al pericolo di un
rialzo generalizzato dei tassi di interesse, che oggi viaggiano ai
minimi storici. I prezzi di un’obbligazione, che si muovono in
direzione opposta rispetto ai tassi, subirebbero infatti un calo e
l’investitore che ha la necessità di vendere il bond prima della
naturale scadenza rischierebbe una dolorosa perdita in conto capitale,
mentre il classico «cassettista» conserverebbe in mano un titolo
mediamente meno redditizio rispetto a quelli di nuova emissione.
Cercando
fortuna al di fuori dei governativi dell’area euro ci si può invece
imbattere nella classica mela marcia: l’emittente (sia esso una società
o uno stato sovrano) che non è in grado di ripagare il debito ai
sottoscrittori. Senza voler scomodare gli ormai classici casi
Argentina, Cirio, Parmalat o, tanto per giungere fino ai giorni nostri,
Lehman Brothers, il cosiddetto «rischio emittente» è in grado di pesare
sull’investitore non soltanto in caso di vero e proprio fallimento, ma
anche nel momento in cui sul mercato si fanno particolarmente
insistenti i timori di insolvenza, siano essi legati al singolo
emittente o addirittura sistemici, come avveniva un anno fa proprio di
questi tempi.
Per tutte le categorie di obbligazioni (e per gli
strumenti di investimento in generale) è bene inoltre fare attenzione
alle difficoltà che si incontrano in caso di necessità di vendita
anticipata. Molti titoli sono infatti poco liquidi, perché si tratta di
emissioni di ammontare limitato, oppure perché sono scambiati su
mercati non regolamentati o addirittura non sono quotati affatto. Il
rischio, se ci si trova in questa situazione, è che il prezzo di
vendita risulti estremamente penalizzante per l’investitore perché
magari lo sceglie lo stesso emittente (che fa il mercato) o addirittura
che l’investimento non sia liquidabile del tutto.
Tasso, emittente e
liquidità sono dunque i tre fattori fondamentali che il risparmiatore
deve saper gestire e monitorare. A maggior ragione in una fase, come
quella attuale, in cui chi rischia non lo fa tanto per scelta, ma
perché non ha alternative valide.