Risponde di estorsione il creditore che minaccia di morte il proprio debitore per essere pagato
Rischia una condanna per tentata estorsione chi
presta del denaro e, al fine di ottenerne la restituzione, minaccia di
morte il debitore. In tal caso, infatti, siamo al di fuori dell’area di
configurabilità dell’articolo 393 del Codice penale (“Esercizio
arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone”) perché,
per questo reato, la condotta violenta o minacciosa è strettamente
legata alla finalità dell’agente di far valere il preteso diritto,
rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale.
Insomma, per integrare il delitto di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, la condotta minacciosa non può consistere in una
manifestazione sproporzionata e gratuita di violenza. In questo caso
si configura, invece, il più grave delitto di estorsione in quanto la
coartazione dell’altrui volontà è finalizzata a conseguire un profitto
ingiusto.
Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza
44029/09 con cui ha confermato la condanna per tentata estorsione nei
confronti di un uomo che, per ottenere indietro la somma che aveva
prestato ad una negoziante, aveva minacciato la donna di morte e di
farle saltare in alto il negozio. Per la seconda sezione penale del
Palazzaccio, infatti, non è configurabile l’esercizio arbitrario delle
proprie ragioni perché il mezzo per ottenere l’adempimento del credito
vantato è consistito in un’intimidazione sproporzionata e gratuita.
Insomma, l’intento del creditore è andato oltre ogni soddisfacimento di
un proprio preteso diritto, perché la coartazione della volontà del
debitore ha assunto i caratteri dell’ingiustizia.