Ritarda nel deposito di sentenze: le SU annullano l’assoluzione del CSM
La giustificazione delle ragioni del ritardo nel compimento degli atti
inerenti all’esercizio delle funzioni è definibile quale “causa di
giustificazione non codificata”, rilevante oggettivamente o
soggettivamente, caratterizzata da “elasticità applicativa” stante
l’impossibilità di enumerare ogni situazione idonea a giustificare la
mancata osservanza del precetto. Da ciò discende che il ritardo, grave o
reiterato, rappresenta, di per sé, illecito.
Questo il dictum delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronunzia n. 528 depositata il 17 gennaio 2012.
Un giudice civile viene sottoposto a giudizio disciplinare per
violazione delle fattispecie ex art. 18 del RD 511/1946 e artt. 1 e 2
comma 1 lett. q del D.lgs. 109/2006,
addebiti mossi a seguito di una verifica ispettiva presso gli uffici
giudiziari a cui era addetto. In particolare venivano ravvisati ritardi
nel deposito di 181 sentenze monocratiche e di 268 ordinanze riservate,
protratti oltre il triplo del termine concesso per il deposito della
minuta (30 giorni per le sentenze monocratiche, 5 giorni per le
ordinanze riservate).
La sezione disciplinare del CSM, all’esito dell’istruttoria, pronuncia
sentenza di assoluzione del giudice “per essere risultati esclusi gli
addebiti”.
Siffatti addebiti vengono esclusi dal giudice disciplinare sul
presupposto che i ritardi risultavano, nella specie, motivati: nell’arco
temporale analizzato, il giudice era stato assegnato a plurime
funzioni, la cui espletazione aveva richiesto un impegno quasi
quotidiano per la preparazione e il compimento delle udienze,
conservando una produttività elevata e costante.
Avverso la pronuncia disciplinare il ministero della giustizia propone
ricorso. Le Sezioni Unite lo accolgono, cassando la decisione e
rinviando il procedimento alla sezione disciplinare del CSM in altra
composizione.
Per le Sezioni Unite la motivazione delle ragioni dei ritardi ha natura
di causa di giustificazione non codificata, rilevante sul piano
oggettivo o soggettivo: nel caso si trattava di “mancanza di
“riprovevolezza” della condotta, caratterizzata da una indiscutibile
“elasticità” applicativa […] attesa la impossibilità, sul piano fattuale
non meno che giuridico, di elencare tassativamente e analiticamente
tutte le situazioni astrattamente idonee a giustificare l’inosservanza
della norma precettiva […]”.
Il ritardo grave o reiterato integra di per sé la fattispecie
incriminatrice, attesa la tipizzazione delle condotte illecite operata
dal D.lgs. del 2006,
così che l’addebito mosso al giudice richiede non la prova, da parte
dell’accusa, della violazione dell’obbligo di diligenza, bensì
l’allegazione, da parte dell’incolpato, di circostanze utili a
dimostrare la giustificabilità del ritardo che, qualora distinto dal
superamento di ogni limite di ragionevolezza, si sostanzia in un’ipotesi
di denegata giustizia. Siffatta condotta contrasta col diritto delle
parti alla durata ragionevole del processo.