Ru486, arriva in Italia il camion della discordia
La manifestazione davanti al ministero della Salute contro l’indagine sulla legge 194
Le prime confezioni sono arrivate ieri mattina all’alba. Un furgone
partito dalla Francia ha già scaricato duemila scatole nel deposito
Dhl di Settala, provincia di Milano. Il viaggio della Ru486 fino
all’Italia sembra davvero terminato. Un percorso lungo e
travagliato, cominciato oltre vent’anni fa, quando fu inventata la
pillola che permetteva alle donne di scegliere l’aborto
farmacologico. Raramente un medicinale è stato al centro di così
tante polemiche. Appelli di movimenti per la vita e anatemi del
Vaticano, indagini parlamentari, ricorsi legali. Sono serviti ben
settecento giorni di istruttoria per il via libera definitivo da
parte dell’Aifa, l’agenzia per il farmaco. Un record. Ma ormai è
questione di poco.
L’azienda produttrice francese Exelgyn ha appena finito di tradurre
i foglietti illustrativi in italiano ed è arrivato il momento di
consegnare il farmaco ai reparti di ginecologia che ne faranno
richiesta. “Possiamo prendere le ordinazioni già questa settimana.
Verificheremo che la domanda provenga da una struttura ospedaliera
e in quarantott’ore faremo recapitare la Ru486”, spiega Marco
Durini, direttore medico di Nordic Pharma Italia, distributore del
farmaco nel nostro paese. La settimana dopo Pasqua saranno fatte le
prime interruzioni farmacologiche di gravidanza. Almeno quindici
ospedali hanno contattato nei giorni scorsi Durini per sapere cosa
dire alle pazienti che in numero sempre maggiore chiedono di usare
la pillola abortiva. Tra chi ha telefonato ci sono strutture che
hanno somministrato il farmaco già dal 2005 ordinandolo in Francia
caso per caso, come Bari o Pontedera, ma anche ospedali di Regioni
che non hanno mai autorizzato la procedura dell’acquisto
all’estero. Alla stessa Aifa in molti hanno chiesto di conoscere i
tempi di consegna. L’Agenzia però non ha alcuna competenza sulla
distribuzione, dovrà piuttosto vigilare sull’efficacia del farmaco
e sugli eventuali problemi che provocherà alle pazienti. “Siamo
costantemente contattati da signore che ci chiedono la Ru486 –
spiega il primario di ginecologia di Bari, Nicola Blasi – Purtroppo
da dicembre non potevamo più comprarla in Francia, perché è entrata
nel prontuario italiano. Finalmente la situazione sembra destinata
a sbloccarsi”.
Dalla fine degli anni Ottanta, la Ru486 è commercializzata in gran
parte d’Europa. Ogni anno, viene usata in venticinque paesi da tre
milioni di donne. In Francia, dov’è stata brevettata, quasi metà
degli aborti (il 46%) sono di tipo farmacologico. L’Italia è stato
uno degli ultimi paesi occidentali a rendere disponibile questa
alternativa per l’interruzione di gravidanza. “In Campania, gli
ospedali che hanno fatto richiesta per la sperimentazione sono
stati tutti bloccati dai comitati etici” racconta Stefania
Cantatore, portavoce dell’Unione donne italiane di Napoli. Molte
associazioni “pro-choice” si stanno mobilitando. Il collettivo
napoletano ha organizzato presidi nelle strutture ospedaliere e un
blog (“194 Decido Io”) per verificare nei prossimi mesi l’effettiva
disponibilità del farmaco. Il sito “Zero Violenza Donne” ha aperto
uno “sportello Ru486” per “segnalare episodi di violazione del
diritto all’autodeterminazione”.
Il nodo adesso è quello del ricovero. Appena dopo l’approvazione
dell’utilizzo del farmaco in Italia da parte di Aifa, nel dicembre
scorso, il governo aveva chiesto che le donne restassero in
ospedale dalla somministrazione della Ru486 fino all’espulsione
dell’embrione, che di norma avviene passati tre giorni, cioè dopo
che alla paziente è stata dato un altro medicinale, una
prostaglandina. Di recente ha sposato la stessa linea il neo
nominato Consiglio superiore di sanità, che ha anche chiesto il
parere legale di un magistrato della Corte Costituzionale per
valutare il tema ricovero alla luce della legge 194. Il tutto non
dovrebbe comunque incidere sull’autonomia delle Regioni riguardo
alle prestazioni sanitarie, ma è un fatto che anche chi si era
dichiarato fautore della somministrazione in day hospital dopo le
indicazioni arrivate da Roma potrebbe cambiare idea. Ha già dato
l’impressione di volerlo fare il Piemonte, dove inizialmente si era
ipotizzato di lasciare libertà di scelta a medico e paziente.
Intanto, questa settimana, in molte Regioni ci saranno riunioni per
stabilire le linee guida della somministrazione. Un incontro si
terrà ad esempio in Emilia Romagna, che aveva optato per il day
hospital, e alla Mangiagalli di Milano. Il dibattito è aperto anche
all’interno dei singoli ospedali, soprattutto i policlinici, dove
vengono fatti molti aborti ogni anno. Non c’è alcun dubbio sulla
scelta del ricovero ordinario in Toscana (che già lo usava per
l’acquisto all’estero), Lombardia e Veneto, tra gli altri.
Ovviamente resta salvo il diritto della donna di firmare e uscire
comunque dall’ospedale, visto che nessuno può restare ricoverato
contro la sua volontà salvo che per casi definiti dalla legge e
legati soprattutto a problemi psichici.
Cosa sceglieranno adesso le donne? Nell’ospedale di Pontedera, per
esempio, solo una piccola percentuale ha deciso di aderire alla
sperimentazione della Ru486. “Ma secondo i nostri questionari –
spiega l’ostetrica Chiara Cerri – il 97% delle donne che ha usato
questo metodo lo considera in modo positivo. Molte pazienti hanno
riscontrato una percezione del dolore e delle perdite ematiche
inferiori all’attesa”. Dal sondaggio effettuato su quasi
quattrocento donne tra Pontedera ed Empoli si capisce che l’aborto
chirurgico è privilegiato da chi vuole un percorso più breve e
condiviso, mentre l’opzione farmacologica è scelta spesso da donne
più autonome, che hanno paura dell’anestesia e della sala
operatoria.
“Se dovessi trovarmi nella disgraziata necessità di dover abortire
non avrei dubbi: sceglierei il vecchio metodo Karman”. La
scrittrice Paola Tavella è scettica su questa nuova svolta.
“Paradossalmente, l’attacco alla Ru486 è stato tutto incentrato
sulla banalizzazione dell’aborto mentre credo invece che sia il
contrario. È un metodo che rende più lunga e dolorosa
l’interruzione di gravidanza” racconta Tavella che insieme ad
Alessandra Di Pietro ha scritto Madri Selvagge (Einaudi) contro la
“tecnorapina del corpo femminile”. “Sono sempre contenta quando le
donne possono scegliere – precisa – ma credo sia importante che la
somministrazione della Ru486 avvenga negli ospedali pubblici, con
il ricovero, e sia accompagnata da una certa compassione”. Anche la
giovane storica Giulia Galeotti, autrice di una Storia dell’aborto
per il Mulino, esprime perplessità. “Negli anni Settanta – ricorda
– la grande scommessa era portare l’interruzione di gravidanza
nella sfera pubblica. Mi pare invece che con la pillola Ru486 c’è
il rischio di riprivatizzare l’aborto”. Galeotti considera la legge
194 “una delle migliori normative europee”. “Se vogliamo compiere
un progresso – aggiunge – non è introducendo un metodo che aumenta
il peso sulle spalle delle donne ma responsabilizzando di più gli
uomini”.
Silvia Ballestra fa appello al buon senso. “C’è un’ambivalenza in
questo metodo abortivo? Lasciamolo decidere alle donne”. Due anni
fa, ha pubblicato un suo personale viaggio intorno alla situazione
dell’aborto in Italia (Piove sul nostro amore, Feltrinelli).
“L’attacco alla legge 194 – dice la scrittrice – non è frontale ma
laterale e più sofisticato. Passa per l’aumento degli obiettori di
coscienza, per una crescente riprovazione sociale, fino all’idea
che l’embrione ha gli stessi diritti della madre”. Secondo lei, il
ritardo italiano nell’introduzione della Ru486 è il segnale di una
risacca delle conquiste femminili. “Questo dibattito è tanto più
controproducente che rischia di oscurare la vera notizia, ovvero
l’aborto clandestino tra le donne straniere. Le immigrate –
racconta Ballestra – stanno tornando ai metodi fai da te. Molte
donne rischiano di rimetterci la pelle, come trenta o quarant’anni
fa. È questa la vera emergenza”. Il viaggio della Ru486 è finito.
Le polemiche, invece, continueranno ancora.