(Cass. n.25820/09)
“Nonostante alcune oscillazioni nella giurisprudenza … in ordine alla
possibilità di configurare il danno in re ipsa arrecato alla salute da
immissioni sonore, ritiene il Collegio che nel caso di specie l’attuale
ricorrente avesse l’onere di provare – in concreto – la effettiva nocività delle
immissioni e i danni derivati alla sua salute.
La Corte territoriale ha correttamente osservato che la accertata
intollerabilità delle immissioni non esonerava affatto il molestato dall’onere
di provare una specifica compromissione patologica della sua salute, non
potendosi identificare detta compromissione nei meri fastidi
naturalmente conseguenti alle immissioni moleste.
La decisione della Corte romana è del tutto in linea con il consolidato
insegnamento di questa Corte, per il quale nel vigente ordinamento il diritto al
risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è
riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione
all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso nè il medesimo
ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice
dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro.
Ne consegue che, pure nelle ipotesi di danno in re ipsa – in cui la
presunzione si riferisce solo all’an debeatur che presuppone soltanto
l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione
anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque
accidit) e non alla effettiva sussistenza del danno e alla sua entità
materiale – permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio
economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del
danno per equivalente pecuniario (Cass. 12 giugno 2008 n. 15814).
In termini più generali può affermarsi che il danno non patrimoniale,
costituendo pur sempre un danno- conseguenza e non già un danno-evento, deve
essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai
essere considerato in re ipsa.
Sotto altro profilo, va anche in questa sede ribadito che l’esercizio del
potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al
giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. – espressione del più generale potere di
cui all’art. 115 c.p.c. – dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un
giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva
od integrativa: che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che
risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte
interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non
ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si
tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la
sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal
fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente
disporre, affinchè l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile,
ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili
nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno
(Cass. 13288 del 7 giugno 2007).
Sulla base di tali premesse … può affermarsi che, ai fini del
risarcimento del danno derivato da immissione da rumore, non è sufficiente la
mera lesività potenziale del fatto e che il danno deve essere escluso anche nel
caso di attività rumorosa eccedente il limite della normale tollerabilità, ove
manchi come nel caso di specie – la prova che essa abbia comportato una
effettiva lesione della salute del molestato”.