Sclerosi multipla in stadio avanzato: sì alle cure gratuite a base di cannabis Tribunale Avezzano, giudice del lavoro, ordinanza 02.02.2010
Tribunale di Avezzano
Ufficio del giudice del lavoro
Ordinanza 1-2 febbraio 2010
(Giudice Pierazzi)
Osserva
1.
Il ricorrente deduce di essere affetto da “sclerosi multipla” con un
quadro di tetraparesi paraparesi spastica associata a dolore, gravi
disturbi sfinterici, disfagia specie per i liquidi, dolore neuropatico
e da spasticità resistente alle terapie convenzionali antalgiche,
antispastiche e per il controllo sfinterico. La malattia, che impone
tra le altre cose l’utilizzo della carrozzina e di presidi esterni
contro l’incontinenza, presenta un andamento costantemente e
velocemente ingravescente.
A fronte di tali gravissime
condizioni, il medico curante dr. A. L., specialista neurologa e
dirigente del day hospital per la sclerosi multipla presso la ASL di
****, nonché responsabile dell’ambulatorio per la diagnosi e cura della
sclerosi multipla della Clinica neurologica **** e del laboratorio di
neuroimmunologia ****, ha indicato come essendo il ricorrente
refrattario alle terapie tradizionali sia nel suo caso unicamente
indicata la somministrazione terapeutica di prodotti a base di
cannabis, tra i quali il Bedrocan, non liberamente commercializzato nel
nostro paese ma reperibile in Olanda, nella dose di 3g/die.
La
richiesta di importazione del preparato è stata avanzata il 15.9.09
dalla farmacia Ospedaliera della ASL ****, ma la sua somministrazione
gratuita è possibile, come sottolineato dalla stessa Asl convenuta,
soltanto in ambito ospedaliero, e dunque in regime di day hospital;
inoltre, essa sarebbe possibile solo per un lasso di tempo limitato, in
quanto il DM 11.2.97, che disciplina l’importazione dall’estero di
specialità medicinali non commercializzate in Italia, non riguarderebbe
esigenze croniche ma soltanto la somministrazione di farmaci “una
tantum”.
In questo senso, dunque, in applicazione della
normativa vigente, la Asl potrebbe soltanto attivarsi per richiedere
l’importazione del medicinale, ma questo andrebbe acquistato a spese
del paziente. Il costo della specialità, poi, è di circa euro 900,00
mensili, come documentato dal ricorrente, che ha anche documentato di
percepire soltanto una pensione dell’ammontare di poco più di euro
1000,00 al mese, e di non potere quindi sostenere tali oneri. Peraltro,
anche la somministrazione in regime di day hospital sarebbe
sostanzialmente impossibile, trattandosi di farmaco da assumere
quotidianamente e non in unica dose giornaliera.
2. Quanto al
requisito del periculum in mora, inteso quale pregiudizio imminente ed
irreparabile alla salute, esso è senz’altro configurabile, in quanto
risulta dagli atti che le condizioni di salute dell’istante non
potrebbero non essere pregiudicate dal decorso del tempo occorrente ad
instaurare un giudizio ordinario, in considerazione della gravità della
patologia diagnosticata e della sua progressiva evoluzione
peggiorativa, cosi come adeguatamente documentato dai certificati
medici in atti; inoltre, l’elevato costo della cura richiesta è tale da
non consentire al ricorrente di affrontare, trattandosi peraltro di
patologia cronica, la spesa necessaria per l’acquisto dei suddetti
medicinali senza compromettere la possibilità di soddisfare le altre
minime esigenze di vita.
3. Sotto il profilo del fumus, si rileva quanto segue.
Il
ricorrente non ha chiaramente indicato quale sia la normativa in base
alla quale egli avrebbe diritto alla somministrazione gratuita del
Bedrocan, richiamandosi in effetti al principio costituzionale del
diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione, e della
uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3.
3.a In realtà,
diverse sono le strade attraverso le quali è consentito l’utilizzo in
Italia di medicinali commercializzati all’estero ma non ancora
liberamente autorizzati all’immissione in commercio nel nostro Paese.
Ai sensi del DM 11.2.97, e successive modifiche, l’Ufficio centrale
stupefacenti può rilasciare l’autorizzazione per l’importazione di
medicinali stupefacenti registrati nel paese di provenienza e privi di
autorizzazione all’immissione in commercio in Italia. Questa è la
strada che è stata seguita nel settembre scorso dalla Farmacia
Ospedaliera della ASL convenuta; in questo caso, tuttavia, come
previsto dall’art. 5 del DM citato, il costo della specialità grava sul
paziente, a meno che il farmaco non venga richiesto per uso in ambito
ospedaliero.
3.b Un’altra possibilità è quella della
somministrazione ad uso compassionevole del medicinale richiesto, a
norma del DM 8.5.03. L’art. 1 di tale DM (che si occupa dell’uso
terapeutico di medicinali sottoposti a sperimentazione clinica),
prevede che il Ministero della Salute possa rilasciare l’autorizzazione
al cd. uso compassionevole (ovverosia all’uso “al di fuori della
sperimentazione”) di un medicinale “sottoposto a sperimentazione
clinica sul territorio nazionale o in Paese estero … quando non
esista valida alternativa terapeutica al trattamento di patologie gravi
o di malattie rare o di condizioni di malattia che pongono il paziente
in pericolo di vita”, nonché qualora ricorrano le condizioni di cui
all’art. 2 del medesimo decreto, ovverosia: a) che si tratti di un
medicinale “già oggetto, nella medesima specifica indicazione
terapeutica, di studi clinici sperimentali, in corso o conclusi, di
fase terza o, in casi particolari di condizioni di malattia che pongano
il paziente in pericolo di vita, di studi clinici già conclusi di fase
seconda”; b) che “i dati disponibili sulle sperimentazioni di cui alla
lettera a) siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio
sull’efficacia e la tollerabilità del medicinale richiesto”.
Tuttavia
il suddetto decreto, che è stato emanato allo scopo di “adottare
procedure che garantiscono al paziente l’accesso a terapie
farmacologiche sperimentali e di fornire indicazioni relative all’uso
dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica” (preambolo), per
il suo dettato non pare riguardare i casi in cui il SSN possa essere
tenuto a farsi carico del prezzo di un farmaco che sia necessario in
quanto “non esista valida alternativa terapeutica al trattamento di
patologie gravi, o di malattie rare o di condizioni di malattia che
pongono il paziente in pericolo di vita”.
La citata normativa
infatti prevede che il medicinale sia richiesto direttamente
all’impresa produttrice e “fornito gratuitamente” dalla stessa (cfr.
art. 4, co. 2), non potendo, dunque, essere “sovvenzionato”
dall’Amministrazione (cosi che non pare che detto decreto possa
riguardare l’oggetto del ricorso) e viene, poi, per il resto, solo a
regolare le condizioni per l’eventuale fornitura ed ingresso del
farmaco, privo dell’autorizzazione di cui all’art. 8 del decreto
legislativo del 29 maggio 1991, n. 178, presso gli uffici doganali
preposti.
Peraltro, che le procedure previste dal DM 8.5.03
fossero dettate solo in via provvisoria, emerge dal decreto legislativo
24 aprile 2006, n. 219, che al comma 10 dell’art. 158 prevedeva che
entro 120 giorni dalla sua entrata in vigore il ministro della salute,
con proprio decreto, tenuto conto anche delle linee guida EMEA per
l’uso compassionevole dei medicinali, avrebbe stabiliti “i criteri e le
modalità per l’uso di medicinali privi di AIC in Italia, incluso
l’utilizzo al di fuori del riassunto delle caratteristiche del prodotto
autorizzato nel paese di provenienza e l’uso compassionevole di
medicinali non ancora registrati. Fino alla data di entrata in vigore
del predetto decreto ministeriale, resta in vigore il decreto
ministeriale B maggio 2003. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana n. 173 del 28 luglio 2003”.
Tale decreto non
è stato pero mai adottato, e dunque rimane in vigore, con tutte le sue
incertezze procedimentali, la normativa citata.
3.c Il D.Lgs.
178/91 e la L. 648/96 invece prevedono, recependo regolamenti
comunitari, una dettagliata disciplina autorizzativa dell’utilizzo dei
farmaci prodotti all’estero, e l’istituzione di uno specifico elenco di
“medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione
clinica, e di medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica
diversa da quella autorizzata”.
Il decreto legislativo n. 178
del 29 maggio 1991, recante “Recepimento delle direttive della Comunità
economica europea in materia di specialità medicinali”, prevede
all’art. 8 che “nessuna specialità medicinale può essere immessa in
commercio senza aver ottenuto un’autorizzazione dal Ministero della
Sanità o un’autorizzazione comunitaria a norma del Regolamento (CEE) n.
2309/93 del Consiglio, del 22 luglio 1993”; quindi, passa a
disciplinare le modalità, i presupposti e le informazioni necessarie
per il rilascio dell’autorizzazione. L’art. 1, comma 4° del d.l.
21,10.1996 n. 536, convertito in L. 23-12.1996 n. 648, prevede poi che,
“qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a
totale carico del Servizio Sanitario Nazionale, a partire dal 1 gennaio
1997, i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata
in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora
autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e i medicinali da
impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata,
inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente adornato dalla
Commissione Unica del Farmaco (oggi Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA:
n.d.r.), conformemente alle procedure ed ai criteri adottati dalla
stessa. L’onere derivante dal presente comma, quantificato in lire 30
miliardi per anno, resta a carico del servizio sanitario nazionale
nell’ambito del tetto di spesa programmato per l’assistenza
farmaceutica”.
L’art. 2 c. 349 della legge 244/07 (Legge
Finanziaria 2008) ha poi previsto che “ai fini della decisione da
assumere ai sensi dell’art. 1 c. 4 del DL 536/96 … la commissione
tecnico scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco, subentrata nelle
competenze della Commissione Unica del Farmaco, valuta, oltre ai
profili di sicurezza, la presumibile efficacia del medicinale sulla
base dei dati disponibili delle sperimentazioni cliniche, già concluse,
almeno di fase seconda”.
Inoltre, il DL 269/03 ha anche
istituito un fondo statale, finanziato dalle case farmaceutiche e
gestito dall’AIFA, la cui metà è destinata all’approvvigionamento di
farmaci per malattie rare o di medicinali che “rappresentano una
speranza di cura, in attesa della commercializzazione, per particolari
e gravi patologie”.
Già esisteva poi la norma introdotta con il
D.L. n. 463 del 1983, che all’art. 10, comma 2, convertito in L. n. 638
del 1983, recita: “Nel prontuario terapeutico del Servizio Sanitario
Nazionale deve essere previsto apposito elenco di farmaci destinati al
trattamento delle situazioni patologiche di urgenza, dello malattie ad
alto rischio, delle gravi condizioni o sindromi morbose che esigono
terapia di lunga durata, nonché alle cure necessarie per assicurare la
sopravvivenza nella malattie croniche, per i quali non è dovuta alcuna
quota di partecipazione”.
4. La giurisprudenza, chiamata più
volte ad occuparsi della applicazione pratica di tali norme in casi
analoghi a quello oggetto del presente ricorso, relativi alla richiesta
di erogazione di farmaci non compresi negli elenchi di cui sopra, ha
seguito due diversi orientamenti, l’ultimo dei quali è quello del
bilanciamento dei diversi principi costituzionali sottesi alla materia,
nel senso che “il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la
tutela della salute è garantito ad ogni persona come un diritto
costituzionalmente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà
attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con
gli altri interessi costituzionalmente protetti, e quindi
legittimamente si realizza la gradualità imposta, fra l’altro, dalle
disponibilità di risorse organizzative e finanziarie”, osservando “che
il giudice ordinario può sindacare i vizi di legittimità del
provvedimento – compreso quello di eccesso di potere – ma non può
censurare e riesaminare le valutazioni di merito riservate
all’amministrazione, tra le quali rientra il giudizio riservato agli
organi investiti della funzione di concreta realizzazione di livelli di
assistenza farmaceutica non solo adeguati alle necessità terapeutiche
ma anche coerenti col quadro delle compatibilità generali (Cass. n.
6598/05, poi ripresa più volte fino a Sez. L. n. 12365/07 con
riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale n. 455/90, 218/94
ecc.).
Poi, la stessa Corte ha precisato che, nella materia in
esame, in linea con l’esposta portata dei sovraordinati precetti
costituzionali, “l’interpositio del legislatore ordinario si è
realizzata con l’attribuzione alla Pubblica Amministrazione della
titolarità di poteri discrezionali in senso proprio (cfr. Corte Cost.,
sentenze n. 185 del 1998 e n. 188 del 2000; del resto, nel novero delle
funzioni amministrative costituzionalmente necessarie, C. Cost. 17/1997
esemplifica proprio la regolamentazione e il controllo dei farmaci) e
non in senso meramente tecnico, atteso che l’amministrazione stessa è
stata chiamata ad operare, attraverso provvedimenti autoritativi di
portata generale una sintesi tra valutazioni tecnico-scientifiche ed
esigenze della finanza pubblica, come è reso palese dall’art. [****]
della legge 24 dicembre 1993, n. 537 ove, da un lato, si demanda (v. in
particolare, il comma 11) all’amministrazione stessa di stabilire l’an
e il quantum del contributo del servizio sanitario alla spesa per
farmaci, nel limite del finanziamento complessivo fissato dalla legge
di bilancio, e, dall’altro, si attribuisce alle relative decisioni
immediata esecutività”.
Ne deriva, conseguentemente,
l’operatività del principio per cui “il diritto alla somministrazione
dei farmaci è attribuito agli utenti del Servizio Sanitario Nazionale
dall’art. 8 della legge n. 537 del 1993, commi 9 e ss., con la
mediazione del provvedimento, a carattere generale e conformativo –
espressione di discrezionalità amministrativa e non meramente tecnica,
considerata la valutazione dei rapporto costi-benefici demandata
all’amministrazione – dell’organo collegiale del Ministero della Sanità
(poi della Salute) denominato “Commissione unica del farmaco”,
competente alla formulazione del giudizio circa il carattere essenziale
di un farmaco o la sua significativa efficacia terapeutica ai fini
nell’inserimento nelle classi a) o b), comportante, rispettivamente, la
somministrazione gratuita e il concorso dell’assistito alla metà della
spesa, ovvero c), comportante, in linea generale e salva diversa
previsione delle normative regionali, l’onere economico a carico
dell’assistito”.
Il che per la Corte equivale a dire che, nel
sistema delineato dalla legge, è contemplato un “diritto fondamentale
condizionato, ai fini della determinazione dei suoi contenuti, alle
scelte del legislatore rispettose del nucleo irriducibile del diritto
alla salute”, cosicché “il provvedimento amministrativo a carattere
generale può essere disapplicato dal giudice ordinario, ai sensi
dell’art. 5 l. 2248/1865, all. E, a tutela del diritto soggettivo alla
prestazione dedotto in giudizio, ove risulti affetto da vizi di
legittimità, restando preclusa alla giurisdizione (ordinaria come
amministrativa) la sostituzione delle valutazioni dell’amministrazione
mediante un sindacato non circoscritto alla legittimità. Ne discende
che l’errore tecnico, imputato alla Commissione Unica del Farmaco
nell’esercizio del potere di classificazione, può essere fatto valere
dall’interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità
dell’atto (per il cui accertamento, con particolare riguardo
all’eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere,
ovvero sotto quello, sintomatico, dell’esattezza materiale di fatti, o
dell’errore manifesto di valutazione, potrebbe rendersi indispensabile
una consulenza tecnica), ma non direttamente, domandando al giudice
che, eventualmente a mezzo di consulente tecnico, operi un sindacato di
merito di tipo sostitutivo del giudizio della CUF” (vedi le già citate
Sez. L. nn. 6598/05 e 12365/07).
5. A tali considerazioni se ne aggiungono tuttavia, nel caso di specie, altre.
Come
infatti ritenuto, anche dopo gli arresti della giurisprudenza di
legittimità citati, da autorevole giurisprudenza di merito (cfr. tra le
altre Tribunale di Catania 1.12.08, in sede di reclamo su un ricorso ex
art. 700 c.p.c.), non possono porsi sullo stesso piano il diritto
intangibile e primario alla vita ed alla salute, che si realizza anche
attraverso la somministrazione di terapie adeguate e preservanti, e che
trova la sua diretta tutela nel disposto dell’art. 32 della
Costituzione, il cui carattere precettivo lo rende immediatamente
applicabile dal giudice, e l’interesse alla preservazione delle risorse
finanziarie dello Stato, che, comunque lo si consideri, assume
connotazioni essenzialmente economiche.
Benché dunque la P.A.
sia titolare di un potere autorizzativo discrezionale nel valutare sia
le esigenze sanitarie di chi richiede una prestazione al Servizio
Sanitario Nazionale, sia il rapporto costi-benefici che tale richiesta
comporta, nelle ipotesi nelle quali sia indubbia l’esistenza di una
situazione di urgenza, con rischio irreversibile per la salute del
cittadino superabile con cure tempestive non fornite dal servizio
pubblico, tale esigenza fondamentale, che trova la sua derivazione
nella Costituzione e non in leggi ordinarie, prevale sulle esigenze
economiche della PA alla quale non può riconoscersi, per la tutela di
tali subordinati interessi, un potere di affievolimento della
preminente posizione soggettiva individuale.
Non si tratta
dunque, in questo caso, di disapplicare un provvedimento della
Amministrazione, ma di garantire al cittadino la tutela richiesta
facendo diretta applicazione dell’art. 32 della Costituzione, e dunque,
nel concreto, fornendo allo stesso le cure in grado di alleviare la
progressione infausta della patologia di affezione, mediate la
somministrazione di farmaci di comprovata efficacia ma non
commercializzati in Italia.
Nel quadro normativo di riferimento
infatti i presupposti per il ricorso alle modalità di
approvvigionamento del farmaco descritti nelle norme citate sono la
mancanza di valida alternativa terapeutica, la commercializzazione del
farmaco in paesi esteri, e l’inserimento del medicinale negli elenchi
predisposti dal CUF. Nel caso che ci occupa sussistono, in base alla
documentazione in atti, i primi due presupposti, mentre il Bedrocan non
risulta ad oggi ancora inserito negli elenchi in questione. Ma secondo
una lettura della norma ordinaria rispettosa del dettato e dei principi
costituzionali, deve ritenersi che la pretesa del singolo ad avvalersi
della somministrazione a spese del SSN di farmaci non commercializzati
nello Stato, per la cura di patologie gravi ed ad esito infausto, possa
essere limitato dalla mancata inclusione del farmaco negli elenchi
approvati ed aggiornati periodicamente dall’AIFA, ex art. 1 c. 4 DL
536/95, quando esistano in commercio sul territorio nazionale valide
alternative terapeutiche; quando, invece, tali alternative non
esistano, la pretesa del singolo non può essere assoggettata a tali
limiti, sempre che la efficacia e tollerabilità del medicinale
richiesto emergano quantomeno da sperimentazioni ufficiali.
Nel
caso di specie, la sicura refrattarietà del D. P. alle terapie
classiche, e la conseguente insostituibilità del Bedrocan, è stata
reiteratamente certificata dal medico curante, specialista nel settore
neurologico e con un curriculum notevole nel campo; inoltre il Bedrocan
è una specialità commercializzata in Olanda e con riconosciuta
efficacia terapeutica quantomeno nella cura sintomatica della patologia
dalla quale è affetto il ricorrente.
Ancora, l’efficacia
terapeutica del medicinale prescritto è stata da tempo riconosciuta
anche in Italia, come del resto dimostrato dalla possibilità legale di
acquistare il farmaco a spese del paziente, seguendo la procedura
disciplinata dal DM 11.2.1997, e come evidenziato anche dalle numerose
richieste provenienti dalle ASL di farmaci contenenti il medesimo
principio attivo del Bedrocan, alle quali fanno riferimento le note
depositate dalla stessa ASL convenuta. Successivamente i principi
attivi contenuti nel Bedrocan, ovvero il THC (Delta 9
tetraidrocannabinolo) ed il CBD (cannabidiolo), sono stati inseriti
nella tabella II del DPR 309/90, testo Unico sugli Stupefacenti con
decreto del Ministero della Salute del 18.4.07, in quanto sostanze con
accertata efficacia farmacologica, utilizzabili per terapie mediche.
Ma
del resto già con ordinanza del 13 luglio 2006,il Ministero della
Salute si era preoccupato di garantire la possibilità di autorizzare
l’importazione di medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo o
trans-delta-9-tetraidrocannabinolo anche nelle more dell’inserimento
dei principi attivi in questione nella menzionata tabella (che
costituisce oggi il fondamento normativo per la futura libera
commercializzazione del prodotto), per la somministrazione, a scopo
terapeutico, in mancanza di alternative terapeutiche, a pazienti che
necessitassero di tali medicinali, “considerato che i medicinali a base
di delta-9-tetraidrocannabinolo e trans-delta-9-tetraidrocannabinolo
sono somministrati, come sintomatici, a pazienti affetti da patologie
fortemente invalidanti” e “ritenuto di dover continuare a garantire
l’approvvigionamento nel territorio nazionale di medicinali a base di
delta-9-tetraidrocannabinolo e trans-delta-9-tetraidrocannabinolo a
tutela dei pazienti che dovessero avere bisogno di tali medicinali”).
Infine,
e conclusivamente, la stessa ASL ha fatto richiesta del Bedrocan per il
D. P., sulla base delle medesime ragioni terapeutiche addotte dal
ricorrente e dal suo medico curante. Non è dunque da porre in dubbio
che l’efficacia terapeutica del Bedrocan sia stata ampiamente e
risalentemente, per quello che qui occorre, riconosciuta sia in
generale che nel caso specifico del D. P.. Per lui, poi, il medicinale
rappresenta l’unica possibilità terapeutica, essendo egli risultato
refrattario alle diverse terapie previste negli ordinari protocolli
medici, che nel suo caso si sono rivelati anche dannosi (vedi
documentazione medica in atti).
Sussistono dunque tutti i
presupposti previsti per l’erogazione gratuita a carico del Servizio
Sanitario Nazionale, anche dall’art. 1 c. 4 L. n. 648/96, ad eccezione
dell’inclusione nell’elenco dell’AIFA; mancata Inclusione che,
tuttavia, alla luce di quanto riassunto, non può in alcun modo
discendere da una valutazione di inefficacia del principio attivo e
dunque del farmaco. E del resto dalla stessa documentazione presentata
dalla convenuta ASL risulta che il Ministero della Salute ha richiesto
fin dal 2007 all’AIFA di verificare eventuali disponibilità
dell’industria farmaceutica a porre in commercio in Italia i medicinali
a base di delta-9-tetraidrocannabinolo e derivati di sintesi o
semisintesi; tuttavia non risulta che tali richieste vi siano state.
Anche tale mancanza di interesse delle case farmaceutiche, peraltro, si
basa su ragioni squisitamente economiche, che come si vede in tale
materia assai spesso collidono con il preminente diritto alla salute
dei cittadini.
Ma, nello specifico, non sussiste neppure un
problema di maggiori costi della terapia con il Bedrocan rispetto a
quella ordinaria. Al contrario, il ricorrente ha dimostrato, quantomeno
a livello di fumus, che i costi della terapia con Bedrocan sarebbero
notevolmente inferiori a quelli della terapia finora seguita, e che si
è rivelata purtroppo per lui inefficace.
Neppure sotto il
profilo delle esigenze del contenimento della spesa, dunque, appare
giustificato il rifiuto della amministrazione sanitaria a fornire al
ricorrente il medicinale richiesto.
E dunque, e per tutto quarto
si è detto, per consentire la tutela ed il massimo dispiegamento del
diritto inviolabile del ricorrente alla vita ed alla salute, occorre
riconoscere al sig. D. P., quantomeno sotto il profilo del fumus, il
diritto ad ottenere dal SSN, a totale carico di questo, il farmaco che
gli assicuri la più ampia e migliore sopravvivenza, o comunque la
migliore cura per la malattia dalla quale è affetto; e ciò anche in
applicazione diretta della ricordata l. 638/83, che come si è visto
recita: “Nel prontuario terapeutico del Servizio Sanitario Nazionale
deve essere previsto apposito elenco di farmaci destinati al
trattamento delle situazioni patologiche di urgenza, delle malattie ad
alto rischio, delle gravi condizioni o sindromi morbose che esigono
terapia di lunga durata, nonché alle cure necessarie per assicurare la
sopravvivenza nella malattie croniche, per i quali non è dovuta alcuna
quota di partecipazione”.
Si ritiene che allo stato il diritto
possa essere assicurato con la provvista di un quantitativo di Bedrocan
idoneo a garantire la terapia di gr. 3/die per un anno, quantitativo da
fornire mediante consegna al paziente.
L’obbligo all’acquisto ed
alla fornitura del farmaco, poi deve ritenersi gravi sulla ASL presso
la quale egli è in carico, quale articolazione territoriale del
Servizio Sanitario.
P.Q.M.
Ordina
alla Azienda Unità Sanitaria Locale ****, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, di fornire gratuitamente a M. D. P. il
farmaco Bedrocan, nella quantità sufficiente a consentire il
trattamento per un anno, con la posologia prescritta nelle
certificazioni dell’**** della dr. A. L. e del **** del dr. L. D. P., a
decorrere dalla data di comunicazione del presente decreto.
Spese al definitivo.
Per la prima in volta, in Italia, il giudice
del lavoro del Tribunale di Avezzano, con l’ordinanza 2 febbraio 2010,
ha dato il via libera temporaneo alle cure a base di cannabis,
autorizzando la somministrazione di cannabinoidi, per il periodo di un
anno, nei confronti di un paziente affetto da sclerosi multipla allo
stadio avanzato.
Il caso
Tizio,
affetto da sclerosi multipla, con un quadro di tetraparesi paraparesi
spastica associata a dolore, gravi disturbi sfinterici, disfagia,
dolore neuropatico e spasticità resistente alle convenzionali terapie
antispastiche, ottiene dal medico Caia, specialista neurologa e
dirigente di day hospital, la somministrazione di un prodotto a base di
cannabis (Bedrocan), non liberamente commercializzato nel nostro
Paese, ma reperibile in Olanda, quale unico medicinale in grado di
alleviare i disturbi di cui sopra.
La somministrazione
del farmaco è possibile solo nel rispetto di alcune condizioni: a) essa
deve avvenire in ambito ospedaliero; b) è possibile solo per un lasso
di tempo limitato; c) il costo deve essere sostenuto direttamente dal
paziente, e non dal Servizio Sanitario Nazionale, potendo l’Asl
attivarsi solo per richiederne l’importazione.
Il costo
della specialità medicinale si rivela, ben presto, troppo alto per il
tenore di vita del paziente, in quanto semplice pensionato e la
somministrazione in regime ospedaliero diviene eccessivamente gravosa
in quanto trattasi di farmaco la cui assunzione deve essere ripetuta
quotidianamente e non in un’unica dose giornaliera.
Per
tali motivi, Tizio ricorre in giudizio ritenendo di aver diritto alla
somministrazione gratuita del farmaco, in base al principio
costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e
dell’uguaglianza sostanziale, di cui all’articolo 3 della nostra Carta
fondamentale.
Il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute
Il
diritto alla salute è garantito ad ogni persona quale diritto
costituzionalmente condizionato dall’attuazione che il legislatore ne
dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto
con gli altri interessi costituzionalmente protetti.
Appare evidente, però, che, come evidenziato dalla giurisprudenza, non
è possibile porre sullo stesso piano il diritto intangibile e primario
alla vita e alla salute, che si realizza anche attraverso la
somministrazione di terapie adeguate e preservanti, e che trova la sua
diretta tutela nel disposto dell’articolo 32 Costituzione, il cui
carattere precettivo lo rende immediatamente applicabile dal giudice, e
l’interesse alla preservazione delle risorse finanziarie dello Stato,
che, comunque lo si consideri, assume connotazioni essenzialmente
economiche.
Sempre secondo il giudice sussiste il requisito del periculum in mora, richiesto dall’articolo 700 c.p.c., quale pregiudizio imminente e irreparabile alla salute, se si considera come le
condizioni del paziente potrebbero essere pregiudicate dal tempo che
occorre per instaurare un giudizio ordinario, in considerazione della
gravità della patologia diagnosticata e della sua progressiva
evoluzione in senso peggiorativo. Inoltre, l’elevato costo della
cura richiesta è tale da non consentire al malato di affrontare la
spesa necessaria per l’acquisto degli unici medicinali efficaci senza
compromettere la possibilità di soddisfare le altre minime esigenze di
vita.
Continua il giudice territoriale “Sebbene
dunque la Pa sia titolare di un potere autorizzativo discrezionale nel
valutare sia le esigenze sanitarie di chi richiede una prestazione al
Servizio sanitario nazionale, sia il rapporto costi-benefici che tale
richiesta comporta, nelle ipotesi nelle quali sia indubbia l’esistenza
di una situazione di urgenza, con rischio irreversibile per la salute
del cittadino superabile con cure tempestive non fornite dal servizio
pubblico, tale esigenza fondamentale, che trova la sua derivazione
nella Costituzione e non in leggi ordinarie, prevale sulle esigenze
economiche della Pa, alla quale non può riconoscersi, per la tutela di
questi interessi subordinati, un potere di affievolimento della
preminente posizione soggettiva”.
In definitiva, si
legge nel provvedimento, il problema è quello di garantire al cittadino
la tutela richiesta facendo diretta applicazione dell’articolo 32 della
Carta fondamentale fornendo al medesimo le cure in grado di alleviare
la progressione della malattia, attraverso la somministrazione di
farmaci di comprovata efficacia ma non commercializzati in Italia.
Per concludere, si deve ritenere che la
pretesa del singolo ad avvalersi della somministrazione a spese del
Servizio Sanitario Nazionale, per la cura di patologie particolarmente
gravi, possa subire limitazioni solo nel caso in cui esistano, in
commercio, all’interno del territorio nazionale, valide alternative
terapeutiche. In caso contrario, come nella fattispecie, tale pretesa
non può essere sottoposta ad alcun limite sempre che, com’è ovvio, il
medicinale sia stato ufficialmente sottoposto alle adeguate
sperimentazioni allo scopo di valutarne gli effetti e la tollerabilità.