Scudo fiscale: sanatoria anche per case al mare e opere d’arte
«Egregio signore, possiedo decine di cavalli da corsa in Svizzera e
volevo sapere se è possibile rimpatriarli grazie allo scudo fiscale». È
il dubbio amletico di un investitore confuso che, a colpi di mouse,
chiede consiglio via e-mail a un esperto di private banking del centro
Italia. C’è chi, invece, bussa direttamente alla porta della banca e va
subito al dunque: «Ho una valigia piena di banconote argentine fuori
corso. Posso rientrare nella sanatoria?».
Nella corsa ai saldi delle
“indulgenze” fiscali chi si aspettava i soliti peccati ha dovuto fare i
conti con l’italica fantasia: a fare ammenda, infatti, con capitali,
immobili e portafogli esteri mai dichiarati, enormi fattorie, auto di
lusso e opere d’arte. Ma anche storie di un paese che non c’è più:
risparmiatori terrorizzati dallo spettro del comunismo sovietico, dagli
anni “caldi” dei rapimenti, dalla svalutazione galoppante della lira.
Racconti anacronistici, come quello di due anziani signori che, nel
timore di essere rapiti, avevano depositato centinaia di milioni di
vecchie lire nella cassetta di sicurezza di una banca svizzera. Denaro
“fantasma”, inaccessibile e improduttivo per decenni, che, prima di
rientrare in Italia, dovrà sottoporsi ai raggi X delle leggi
anti-riciclaggio.
La finestra, aperta da metà settembre al 15
dicembre, alza il sipario sul terzo atto dello scudo fiscale, che ha
appena ricevuto il via libera della Camera e del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano. «Rispetto alle due edizioni precedenti –
sottolinea Guido Giubergia, amministratore delegato di Ersel – questa
volta c’è la percezione che si tratti di una sorta di ultima chiamata
per mettersi in regola, perché stanno cadendo tutte le barriere: lo
scenario internazionale sta cambiando, grazie a strumenti di controllo
sempre più efficaci e alla lotta senza frontiere proclamata dall’Ocse
ai paradisi fiscali».
Diversi i profili di chi decide di salire sul
treno della “salvezza”. «È lo scudo degli anziani e di chi ha già
chiuso l’impresa e, stanco di peregrinazioni oltre confine, sceglie la
trasparenza», spiega un banchiere. Ma anche il momento della verità per
gli “ex indecisi”, che non hanno aderito alle sanatorie precedenti
perché non si fidavano e temevano, una volta rimpatriati i beni, di
essere perseguiti. «Non saranno dunque i grandi evasori ad approfittare
di questo strumento – sottolinea Giuseppe Marsi, numero uno di
Schroders Italia –, ma tutti coloro che, a fronte di rischi maggiori,
perderanno interesse a mantenere nell’ombra parte dei propri tesori».
La maggiore preoccupazione diventa così l’esigenza di riservatezza, che
spinge i risparmiatori offshore a rivolgersi, nei casi più delicati, a
istituti dove non hanno il conto corrente o a gestori privati.
I
rimpatri di “liquidità” sono quelli più semplici da trattare: si
compila la dichiarazione riservata – spiegano gli operatori – e nel
giro di un paio di settimane la procedura si risolve con un bonifico.
Le cose si complicano se l’esigenza di emersione riguarda eredità e
prodotti finanziari più complessi. Qui entrano in gioco altre variabili
e spesso la richiesta di applicare lo scudo si intreccia con drammi e
sofferenze familiari. È il caso di amanti vissute per anni nell’ombra,
che alla morte del ricco compagno scoprono davanti a un notaio di aver
ereditato una fortuna oltreconfine all’insaputa della legittima
consorte.
A volte la questione si complica dal punto di vista della
procedura. Alcune famiglie facoltose – o affluent, come le definiscono
in gergo gli operatori – hanno deciso di affidare il loro patrimonio
estero a una fondazione con sede nel Liechtenstein. Uno degli eredi
chiede di aderire allo scudo, ma l’amministratore della fondazione non
sa se può distribuire la torta. «Stiamo cercando di capire se si può
configurare questo patrimonio come crediti, perché altrimenti non si
può applicare la misura», sottolinea Daniele Piccolo, vicedirettore
generale di Banca Albertini Syz. La manovra consente il rimpatrio anche
per quadri di valore, che devono essere conferiti in una società. «A
chi chiede l’applicazione per questo tipo di beni – fa notare un
addetto ai lavori – chiediamo di valutare con grande attenzione la
possibilità di venderli, perché in alcuni casi se si aderisce allo
scudo si rischia di imbattersi nelle Belle arti». A causare qualche
grattacapo in più per gli attori che gestiscono il rimpatrio sono anche
i cosiddetti titoli “illiquidi” non armonizzati, come gli hedge fund,
che hanno accumulato perdite in seguito alla crisi finanziaria. «Qui –
puntualizza un consulente – l’emersione deve essere gestita da una
fiduciaria». Non lineare neanche il percorso di obbligazioni in
amministrazione controllata. «Un caso specifico – spiega Nicola
Onorati, responsabile private banking del Gruppo MontePaschi – riguarda
obbligazioni Lehman detenute all’estero per le quali è stata avviata la
procedura “Chapter 11”. Gli interessati volevano verificare se,
rimpatriando i titoli attraverso lo scudo si perdesse il diritto a
insinuarsi nel passivo della società. Un altro cliente, invece, ha
presentato l’assegno circolare di una banca estera a lui intestato e
non trasferibile chiedendo di aprire un conto “scudato”».
“Candidati”
alla sanatoria anche numerosi immobili. Per questi la procedura è più
delicata e, in alcuni casi, richiede il ricorso a polizze o società per
beneficiare della misura. Per avere certezza sulle procedure, gli
addetti ai lavori aspettano la circolare esplicativa dell’Agenzia delle
entrate. «In genere chi decide di beneficiare dello scudo – spiega
Antonello Di Mascio, responsabile progetto Scudo fiscale di Intesa
Sanpaolo Private Banking – ha già deciso la destinazione e l’utilizzo
successivo delle somme detenute all’estero». Spesso, infatti, a
chiedere la “protezione” sono imprenditori con attività internazionali
che hanno accumulato risparmi custoditi nei paradisi fiscali. Una mossa
dettata in primo luogo dall’esigenza di liquidità in un momento di
difficoltà economica. «Reinvestire capitali in azienda, però –
sottolinea un altro operatore – è a rischio zero solo per chi produce
bilanci “a prova di ispezione”». Non sono pochi, infatti, gli
imprenditori che, per timore di subire controlli in futuro, riportano
in patria i capitali facendoli confluire nel patrimonio personale e
tenendoli ben separati da quelli dell’impresa.
Lo scudo fiscale rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno
che ha dimensioni ben più ampie. «La scelta, per chi ha finora deciso
di mantenere dei beni all’estero, non è solo se aderire o no alla
sanatoria – conclude Luca Caramaschi, responsabile private wealth
management di Deutsche Bank in Italia – ma riguarda una rilettura
generale della gestione dei propri asset». Con la perdita di appeal
delle banche svizzere, sempre più orientate a non entrare in rotta di
collisione con gli Stati Uniti e a privilegiare la trasparenza,
infatti, la strada di chi continuerà a esportare capitali non tassati
si orienterà verso “nuove” frontiere. «È il caso dei paradisi fiscali
del Far East, per nulla preoccupati di entrare nelle black list dei
paesi occidentali: chi sceglierà di esportare ancora denaro,
affrontando pericoli crescenti, lo farà solo per grandi capitali». Per
gli altri la scelta “obbligata” sarà quella del perdono.