Scuola materna: responsabile il ministero se il bimbo si infortuna in bagno
Cassazione, Sez. III, 26 aprile 2010, n. 9906
La fascia d’età di questi bambini (da 3 a 6 anni) rende ancora più stringente l’obbligo di vigilanza da parte delle maestre che, per non lasciarli incustoditi, possono anche avvalersi di personale scolastico non docente
Svolgimento del processo
C. P. ed A. N., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore S. P., convenivano, davanti al tribunale di Lecce, M. M. ed il Ministero della Pubblica Istruzione, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla minore in occasione di un incidente occorsole all’interno della scuola materna dalla stessa frequentata. Precisavano, a tal fine, che verso le ore 10 del omissis la bimba era stata accompagnata dalla maestra M. M., che poi era ritornata in classe, in bagno; che la bimba aveva tirato la cordicella dello scarico, il cui gancio si era rotto e, cadendo, le aveva colpito l’occhio sinistro procurandole gravi lesioni.
Si costituiva la M. sostenendo che nessuna colpa le poteva essere addebitata per l’incidente, ed il Ministero della Pubblica Istruzione che eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo l’obbligo della custodia e della manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna a carico del Comune di omissis, concludendo per il rigetto della domanda.
Il giudice ordinava la chiamata in causa del Comune, che si costituiva negando la propria responsabilità, non essendogli mai stati richiesti interventi di custodia e manutenzione che, peraltro, non gli competevano.
Il tribunale, con sentenza del 14.9.2001, accoglieva la domanda sul presupposto che l’incidente si era verificato per culpa in vigilando dell’insegnante, condannando il Ministero della Pubblica Istruzione al risarcimento dei danni e rigettando la domanda nei confronti del Comune di omissis.
Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 7.10.2005, rigettava l’appello proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resistono C. P. ed A. N. nella qualità indicata.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere indicato l’elemento colposo nella condotta della maestra ed il rapporto che lega l’evento alla riconosciuta responsabilità della Pubblica Amministrazione non rilevando, sotto quest’ultimo profilo, che, una volta esclusi il dolo o la colpa grave della maestra, andava esclusa anche la responsabilità della P.A.
Il motivo non è fondato.
Invero, in tema di responsabilità civile di cui all’art. 2048 cc, è ormai principio pacificamente riconosciuto nella giurisprudenza della Corte di cassazione (S.U. 27.6.2002 n. 9346, ribadita poi da S.U. 11.11.2008 n. 26972) quello per cui la responsabilità dell’istituto scolastica e dell’insegnante, nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, sia di natura contrattuale.
Fra allievo ed istituto scolastico – con l’accoglimento della domanda di iscrizione e con la conseguente ammissione dello stesso alla scuola – si instaura, infatti, un vincolo negoziale, dal quale sorge, a carico dell’istituto, l’obbligazione di vigilare sulla sua sicurezza ed incolumità nel periodo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso.
Quanto al precettore, dipendente dell’istituto scolastico, tra insegnante ed allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico (che quindi può dare luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale e non aquiliana), nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, al fine di evitare che l’allievo si procuri, da solo, un danno alla persona.
La ricorrenza di un’ipotesi di responsabilità di tipo contrattuale comporta poi – in ordine all’onere probatorio – che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, l’attore dovrà soltanto provare, ai sensi dell’art. 1218 cc, che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere dei convenuti dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa agli stessi non imputabile.
In ordine, poi, alla responsabilità degli insegnanti di scuole statali – come nella specie -, l’art. 61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 – nel prevedere la sostituzione dell’Amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi – esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando, quale che sia il titolo – contrattuale o extracontrattuale – dell’azione.
Sulla base di questi principi, la Corte di merito, nel riconoscere la responsabilità dell’insegnante per culpa in vigilando, ha, a tal fine, precisato che “… La piccola S. dell’età di omissis anni, accompagnata in bagno dalla maestra che è ritornata immediatamente in classe ove aveva lasciato incustoditi altri 26 bambini, non doveva essere lasciata sola”, avvalendosi eventualmente dell’ausilio e l’intervento del personale non docente, “ma sempre su interessamento della maestra che aveva la responsabilità di vigilare sui bimbi ad essa affidati”; concludendo che, al di là della circostanza che la rottura della catenella del W.C. era circostanza imprevedibile, “resta comunque la mancata sorveglianza necessitata in considerazione dell’età della bambina che non era in grado di valutare le conseguenze di un gesto apparentemente innocuo…”.La Corte di merito ha, quindi, puntualmente individuato nella mancata sorveglianza, anche tramite l’ausilio di terzi (il personale non docente della scuola materna), il titolo della responsabilità a carico dell’insegnante, che concretizzava non colpa grave o dolo, ma comunque era ad essa ascrivibile.
Con il secondo motivo denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti.
Il ricorrente sostiene che la Corte di merito è incorsa nel vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo, perché, pur avendo “rilevato ed affermato che la maestra non è dipendente dell’amministrazione, la scuola materna non è statale…”, ha, comunque, affermato che “era suo dovere non lasciare sola la bambina o chiamare qualcuno a tal fine”.
Il motivo non è fondato.
Invero, l’odierno ricorrente attribuisce alla Corte di merito affermazioni che, viceversa, la sentenza indica come motivi dell’appello proposto dal Ministero, odierno ricorrente.
Anzi, a questo proposito, la Corte di merito, nel ritenere privo di fondamento il motivo, ha chiaramente rilevato che “Mai in primo grado è stato contestato che la scuola materna di cui si discute fosse una scuola statale e che, quindi, la M. fosse dipendente del Ministero della Pubblica Istruzione; né in questa sede è stata data dimostrazione di un assunto soltanto accennato”.
Il ricorrente non ha contestato, in questa sede, la circostanza che, quindi, non solo resta indimostrata, ma anche inconsistente nell’economia dell’argomentare difensivo.
Con il terzo motivo denuncia la omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti.
Contesta il ricorrente che la Corte di merito avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine alla sostenuta responsabilità del Comune, essendosi l’evento dannoso verificato per difetto di realizzazione o costruzione o di manutenzione ordinaria dell’edificio adibito a scuola materna.
Anche questa censura non può essere condivisa.
La Corte di merito ha, a tal fine, puntualmente rilevato e correttamente motivato che “Accertata come innanzi la negligenza dell’insegnante consequenziale è l’obbligo del Ministero di risarcire il danno come statuito dal primo giudice”.
Derivandone: “Dal che la inutilità di qualsivoglia indagine nei confronti del Comune”, e chiarendo “Questo perché il Ministero non ha mai esercitato alcuna azione di rivalsa nei confronti dell’Ente, e P. C. e N. A. hanno fatto acquiescenza alla sentenza di primo grado non spiegando appello incidentale per ottenere la condanna in solido dei due enti”.
È di tutta evidenza, in considerazione delle conclusioni cui si è pervenuti nell’esame del primo motivo, che la Corte ha, quindi, correttamente motivato anche sotto l’aspetto denunciato.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore dei resistenti, vanno poste a carico del ricorrente.