Scuola, riforma Gelmini: da settembre classi più affollate e riduzione orario
ROMA
«Addio percorsi individualizzati e addio qualità – sostiene
«Con le classi da 30-32 ragazzi – sottolinea la Corduas – si
A questo si aggiunge la riduzione dell’orario scolastico. Ma per
Sul rapporto docenti-alunni i sindacati replicano che da noi è più basso per
Eppure nel 2000 anche l’Italia sedeva al vertice di Lisbona per
(15 marzo) – Dal prossimo anno scolastico avremo classi più affollate.
Alla manovra per ridurre i posti in organico si accompagna l’aumento
del numero degli alunni per classe. Il processo è graduale, ma
inesorabile. Nelle materne l’anno scorso non si poteva costituire una
classe se non c’erano almeno 18 bambini (la precedente normativa ne
prevedeva 15). Stessa situazione alle elementari, dove nel 2009 il
numero minimo è salito da 10 a 15 per classe. Ma non basta. Dal
prossimo anno scolastico le scuole dovranno prepararsi alla fase due:
dopo avere alzato l’asticella del numero minimo legale (al di sotto del
quale non si può istituire una classe) anche il numero massimo di
alunni è destinato a salire. Alle elementari e medie avremo classi con
26-27 ragazzi e alle superiori con 30-33.
Gigliola Corduas, presidente della Fnism, la Federazione nazionale
degli insegnanti – Non si migliora la scuola tagliando, con le classi
affollate sarà impossibile coniugare la qualità con il numero elevato
di presenze. C’è una emergenza educativa che non si può affrontare
così». Per le elementari dal primo settembre il tetto degli alunni per
classe potrà salire fino a 25-26, estensibile fino a 27. Identico
destino per le prime classi delle scuole medie inferiori. Anche le
prime classi delle superiori saranno costituite di norma da almeno 27
studenti, prima erano 25. La stretta non risparmia le pluriclassi,
quelle che ospitano bambini di gradi diversi di scuola: il numero
minimo per loro passa da 6 a 8 e il massimo da 12 a 18.
fatica a uscire dai vecchi modelli, così si torna alla scuola dei
percorsi standardizzati. Ma la centralità dell’alunno non era una
priorità?». «Meno ore di lezione, meno insegnanti, meno offerta
formativa, la politica dei tagli indebolisce la scuola», denunciano in
coro tutti i sindacati, dai Confederali ai Cobas. Domenico Pantaleo,
Massimo Di Menna e Francesco Scrima, i segretari di Cgil, Cisl e Uil,
aggiungono: «Con la legge 133 del 2008 nel triennio 2009-2011 vengono
soppressi 87.400 posti per gli insegnanti e 45.334 posti per i tecnici
e gli amministrativi. Anziché investire, penalizziamo l’istruzione». Il
taglio dei moduli nella scuola elementare e la riduzione delle
compresenze sono state una delle leve usate per ridimensionare il
numero delle cattedre.
il ministro Mariastella Gelmini «non possiamo credere all’assioma più
insegnanti, più qualità». «Non è più sostenibile quel principio –
sottolinea il ministro – perché finora è stato smentito: il confronto
tra noi e gli altri Paesi dimostra che il sistema scolastico italiano
ha sì un maggior numero di insegnanti ma una minore qualità. Tra
l’altro l’Ocse da anni rimarca che da noi il rapporto docenti-alunni è
il più basso fra i Paesi aderenti: abbiamo un insegnante ogni 10-11
alunni. Perciò il contenimento degli organici previsto dalla legge
finanziaria non può incidere, per questi motivi, sulla qualità ed
efficienza dei servizi scolastici». In ogni caso, assicura la Gelmini,
le «dotazioni organiche terranno conto delle esigenze degli utenti, a
cominciare dal tempo pieno».
via dell’impiego di molti insegnanti nel sostegno ai disabili (in media
uno ogni due portatori di handicap, in Europa questi alunni vengono
inseriti in classi differenziali che costano più di quanto spendiamo
noi). Due tesi contrapposte, quelle del ministero e quelle dei
sindacati, intanto nelle scuole il malumore sale e l’Ocse ad ogni
rilevazione restituisce della scuola italiana un’immagine da terzo
mondo. Gli analisti attribuiscono molte colpe al sistema scolastico
centralizzato e uniforme e alla politica di risanamento in atto nel
settore da oltre dieci anni, con il taglio progressivo dei
finanziamenti, proprio nel momento più delicato del passaggio
all’autonomia scolastica. Dopo anni di spese con il segno positivo, i
tagli radicali, non accompagnati da una revisione di qualità dei
programmi di studio e dell’organizzazione del lavoro, hanno spinto il
sistema scolastico giù lungo il crinale.
decidere che l’Europa sarebbe dovuta diventare in dieci anni l’economia
della conoscenza più competitiva del mondo. Però, mentre gli altri
paesi hanno iniziato a correre noi ci siamo fermati. Con risultati
disastrosi nell’apprendimento, soprattutto al Sud. Nei punteggi delle
prove Pisa-Ocse siamo sotto la media. Ma è la percentuale degli
espulsi, dei drop-outs, che ci colloca fuori dall’Europa: il 20% dei
giovani, tra i 20 e i 24 anni, ha solo la licenza media. Ma quanto
spendiamo per la scuola? Tra il 1995 e il 2005 da noi la spesa per
studente nella primaria e nella secondaria è cresciuta al massimo del
5% contro il 35% della media dei paesi Ocse. Nello stesso periodo anche
la spesa per istituto è stata notevolmente inferiore: soltanto il 12%
contro il 41% della media Ocse. Ma la spesa media per studente oggi in
Italia si attesta intorno a 6.800 dollari all’anno, contro una media
Ocse di 6.252 dollari a livello della scuola primaria e a 7.648 contro
7.804 dollari per la secondaria. Dunque, c’è stato un parziale
avvicinamento. Ma da noi resta, enorme, il problema della decadenza
formativa, che già nell’età dell’obbligo ha cifre davvero inquietanti.