Se l’animale è lasciato denutrito ed esposto al sole è maltrattamento
Nel caso in cui il proprietario di un animale si disinteressi delle condizioni cagionevoli di quest’ultimo, lasciandolo in una situazione di assoluto degrado fisico, che porti alla morte dello stesso, dovrà rispondere di maltrattamento di animali aggravato, ai sensi dell’art. 544-ter, comma 3, c.p.. Lo ha deciso il Tribunale penale monocratico di Verona, con la sentenza 26 aprile 2010, n. 854.
Il caso
Tizio lasciava il proprio cane, di razza pastore meticcia, esposto al sole nei pressi della propria abitazione, senza acqua ed in condizioni di denutrizione, omettendo, altresì, di curare una ferita alla zampa posteriore destra, procuratasi autonomamente dall’animale, dalla quale derivava, in breve tempo, una necrosi totale dell’arto, con conseguente piaga da decubito laterale permanente al fianco sinistro, a causa dell’incapacità del cane di mantenersi in posizione eretta.
La morte dell’animale veniva, in seguito, cagionata mediante eutanasia, praticata a causa delle condizioni di sofferenza del cane e dell’impossibilità di intervento attraverso cure idonee.
Per tale motivo, il Pubblico Ministero chiedeva che venisse accertata la penale responsabilità di Tizio in ordine al delitto di maltrattamento di animali (art. 544-ter c.p., comma 1 e 3).
La fattispecie è da ricondurre, quindi, nella categoria del c.d. reati aggravati dall’evento (nel caso, la morte dell’animale), per la sussistenza della quale, come precisa il Tribunale, la morte stessa, “pur dovendo consistere in una conseguenza prevedibile della condotta dell’agente, non deve essere riferibile ad un comportamento volontario e consapevole dello stesso, poiché nel caso in cui l’agente agisca con la volontà, sia diretta o anche solo eventuale, di cagionare la morte dell’animale si configurerebbe la fattispecie più grave di cui all’art. 544-bis c.p.”. Tale ultima disposizione prevede, infatti, la punibilità di chiunque, sempre per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.
Tornando al caso di specie, i giudici veronesi evidenziano come non fosse emersa, in capo a Tizio, una volontà diretta a cagionare, anche solo nella forma del dolo eventuale, la morte del cane, sebbene sia risultata una condotta di maltrattamento di entità tale che la morte stessa fosse certamente prevedibile.
Se si prende in considerazione la gravità della situazione nella quale era ricondotto l’animale si comprende, sempre secondo i giudici, come non fosse possibile che il proprietario del cane, che aveva un preciso obbligo giuridico di accudire giornalmente la povera bestiolina, non si fosse reso conto delle terribili sofferenze patite da quest’ultima “e aver soprasseduto alle adeguate cure di cui lo stesso necessitava denota una volontà di maltrattamento sia pure sotto il profilo della volontaria omessa condotta cui l’imputato era giuridicamente tenuto quale proprietario dell’animale”.
E’ del tutto evidente, infatti, che “lo stato di shock settico dell’animale e di avanzata cancrena della zampa [….] non possono essersi prodotti in poche ore, ma sono l’esito di un processo di infezione che durava quantomeno da alcuni giorni”.
Per tale motivo, Tizio viene dichiarato responsabile del reato in commento, in quanto ha posto in essere, senza necessità alcuna, una condotta volontaria di maltrattamento a danni del cane, dalla quale è derivata, quale conseguenza prevedibile, la morte dello stesso.