Se regolamento condominiale vieta varianti alla facciata non sono ammessi neppure interventi minimi e senza impatto estetico
Se il regolamento condominiale lo vieta, non possono essere apportate varianti, seppur minime, alla facciata dell’edificio. È questo il contenuto della sentenza n. 12291 depositata il 7 giugno 2011 con cui la seconda sezione civile, confermando la decisione della Corte di Appello di Torino, ha stabilito che laddove il regolamento condominiale di natura contrattuale vieti qualsiasi variante alla facciata dell’edificio, è escluso che detta disposizione debba essere interpretata nel senso tecnico di cui al testo unico dell’edilizia: ne consegue che non risultano proibiti soltanto gli interventi di natura straordinaria, ma anche quelli di più modesta portata costruttiva che tuttavia introducono un uso personalistico delle parti comuni, a nulla rilevando l’eventuale valutazione positiva da parte del giudice sull’assenza di impatto estetico delle opere abusive. Dalla sentenza di legittimità di evince che, un condominio conveniva un altro abitante dello stabile per sentirlo condannare alla rimozione di un’opera consistente in due nicchie aperte nella facciata dell’edificio, nelle quali erano state poste a dimore altrettante caldaie per il riscaldamento, deducendo al violazione del regolamento condominiale nella parte in cui vietava ai condomini di apportare varianti di qualsiasi genere alle pareti esterne del fabbricato. In seguito all’accoglimento della domanda dell’attore da parte del Tribunale e anche da parte della Corte di Appello, l’altro condominio proponeva ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado, eccependo, tra gli altri motivi di ricorso, la violazione e falsa applicazione di una disposizione del regolamento condominiale in relazione al concetto di “variante” (da intendersi, secondo il ricorrente, in senso tecnico-edilizio, come un documento che mira a modificare una concessione recedente o un progetto o un piano regolatore già approvato). La Cassazione, dopo una breve digressione sulla natura giuridica del regolamento contrattuale, ha rigettato il ricorso del ricorrente, spigando che “l’unico criterio ermeneutico astrattamente coordinabile con il senso della critica è costituito dall’art. 1362 c.c. e del principio dell’interpretazione letterale come tecnica primaria di verifica della volontà delle parti”. Nel caso di specie, hanno poi continuato i giudici di Piazza Cavour, “la sentenza impugnata ha attribuito alla parola “variante” un significato non tecnico, ma si senso comune e di portata più ampia”. Secondo gli Ermellini che hanno condiviso l’interpretazione data dalla Corte territoriale “il vietare qualsiasi variante (…) del regolamento dei condominio non è volto soltanto ad evitare interventi o varianti di natura sostanzialmente straordinaria, insite nel concetto di variante propugnato dalla parte (in allora) appellante ma è diretta a comprimere anche interventi di più modesta portata costruttiva o di minore impatto estetico, che tuttavia introducano, per le singole porzioni in proprietà esclusiva, un uso personalistico delle parti comuni dell’edificio, nello specifico le pareti esterne, che verrebbero invece singolarmente caratterizzate proprio dalle esigenze di ciascun condomino con sostanziale alterazione e turbamento della complessiva uniformità estetica e funzionale dell’edificio”.