Sempre troppi i parti cesarei poco adatte il 72% delle strutture
Sempre più parti cesarei. In Italia il numero è
in continuo aumento nonostante il monito dell’Organizzazione mondiale
della sanità a limitarli al 15% del totale. Nei punti nascita italiani,
infatti, il taglio cesareo è effettuato nel 38,3% dei casi. E come se
non bastasse l’intervento chirurgico è sempre più a rischio perché molte
strutture pubbliche non possiedono standard professionali e tecnologici
necessari per affrontarlo in piena sicurezza. Il primato, tristemente,
spetta al Sud.
Cresce anche il numero di procedimenti penali
per lesioni e omicidio colposo a carico del personale sanitario, medico e
ostetrico ma rimane bassissimo il numero di condanne. È questa
l’allarmante realtà emersa dalla relazione della Commissione
parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, presieduta da
Leoluca Orlando e presentata oggi alla Camera alla presenza del
ministro della Sanità, Renato Balduzzi.
L’indagine. Sono
stati presi a campione 344 punti nascita sui 570 distribuiti sul
territorio di 17 regioni. Escluse Umbria, Calabria, Sardegna e Liguria a
causa di mancato reperimento o incompletezza del questionario
somministrato agli assessorati regionali di competenza.
Novanta cesarei al mese.
È la media dei parti mensili in Italia, ma la struttura privata batte
quella pubblica: la media delle percentuali di parti cesarei è molto più
elevata nelle cliniche (50,5%) rispetto agli ospedali
(36%), indipendentemente dalla dimensione. “Piccoli e fragili”:
così viene definita nella relazione della Commissione il 72% dei punti
nascita perché non dotati di Terapia intensiva neonatale e in grado di
fare meno di 500 parti l’anno.
È proprio in queste 86 strutture
che avviene il 44,7% dei tagli cesarei. Strutture, per intenderci, dove
il ginecologo assiste a un parto alla settimana: troppo poco, secondo
gli esperti. Sono, invece, quattro alla settimana (14 al mese), ad
esempio, quelli cui assiste in media il suo collega che lavora in una
struttura grande, con più posti letto, medici e ostetriche in organico.
Il Trentino Alto Adige detiene ben il 53,8% delle strutture da
‘lista nera’, la Sicilia il 46,8% e la Campania il 43,8%. Nella penisola
sono 122 i presìdi dove si effettuano tra 500 e i mille parti l’anno,
41 con più di mille. Per avere un’idea di quanto operi una grande
struttura, basta guardare ai dati del Sant’Anna di Torino: conta
ottomila parti l’anno.
Procedimenti penali, il 10% per parti e gravidanze.
L’indagine ha esaminato i dati relativi al 2010 di 80 procure: su un
totale di 53.741 procedimenti per lesioni colpose, quelle a carico del
personale sanitario sono 901, quelle, invece, per omicidio colposo sono
736 su 6.586. Solo due le condanne finali attestate. Resta alto,
infatti, il numero di archiviazioni: ben il 40% del totale.
I decessi.
I casi di malasanità in atto all’esame della Commissione sono in totale
500. Di questi, 351 hanno avuto il decesso del paziente come esito
finale. Nella classifica generale, la Calabria è in testa con 78 morti
registrate, seguono la Sicilia (74), il Lazio (37) e la Campania (26).
Dei 500 casi di malasanità complessivi all’esame della Commissione, ben
104 riguardano i punti nascita e di questi 79 hanno avuto come esito il
decesso del neonato. Anche in questo caso, il maggior numero di decessi
si registra in Calabria (con 23 casi), in Sicilia (18 casi), in Campania
(6 casi). Quattro casi di decesso si registrano poi nei punti nascita
del Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Puglia.
Identikit delle madri. Aumenta
l’età media delle madri, pari a 31,4 anni. Il primo figlio viene messo
al mondo in media a 29,1 anni e il tasso di fecondità, ovvero il numero
medio di figli per donna è di poco superiore a 1,34.
In continua
ascesa sono i parti delle donne immigrate che variano dal 14% al 25%. Ma
resta ancora scarsa la presenza di un mediatore culturale che le aiuti
a comunicare con il personale medico-sanitario durante un momento così
delicato e difficile.
Cambiare mentalità. “Va
combattuto – ha detto Leoluca Orlando – un vizio diffuso: quello di
privilegiare il nascere ‘sotto casa’ alla valutazione, invece, delle
condizioni di massima sicurezza che la struttura può garantire. Un
‘vizio’ che non fa l’interesse dei cittadini ma risponde, piuttosto, a
logiche clientelari o elettorali”. La priorità, dunque, sembrerebbe
quella di arrivare ad una ‘razionalizzazione’ dei punti nascita sul
territorio.
Il ministro della Salute Renato Balduzzi ha subito
commentato: “È assolutamente intollerabile il divario sul territorio
per il ricorso ai cesarei. Si passa dal 23% del Friuli al 62% della
Campania. E senza, ha aggiunto, che un maggiore ricorso al cesareo
porti a un miglioramento degli esiti clinici”.