PER LA PRIMA volta la magistratura ha stabilito il principio della responsabilità dei motori di ricerca nel mancato contrasto alla pirateria online. La nona Sezione del Tribunale di Roma “inibisce a Yahoo! la prosecuzione e la ripetizione della violazione dei diritti di sfruttamento economico sul film ‘About Elly’ mediante il collegamento a mezzo dell’omonimo motore di ricerca ai siti riproducenti in tutto o in parte l’opera, diversi dal sito ufficiale del film”. Dunque i giudici obbligano Yahoo! a offrire, nei risultati, solo risultati “ufficiali”.
Il giudice ha riconosciuto che i motori di ricerca non possano esercitare “un controllo preventivo sui contenuti dei siti sorgente a cui è effettuato il link”. Nondimeno, ha deciso in tal senso perché Yahoo! sapeva della violazione del copyright ma non ha rimosso comunque i link ai siti pirata. Per questo motivo il giudice ne ha riconosciuto la responsabilità. La società di produzione cinematografica PFA, che distribuisce il film in Italia, aveva infatti mandato a Yahoo! una diffida, senza successo, chiedendo di ripulire i risultati della ricerca dai “siti riproducenti in tutto o in parte l’opera diversi dal sito ufficiale del film”, si legge ancora nella sentenza. E’ intervenuta quindi Open Gate Italia, società che segue le controversie sul copyright, portando avanti la causa in rappresentanza di Pfa. Open Gate ha fatto notare al tribunale che, facendo una ricerca con le parole “About Elly” su Yahoo!, il sito ufficiale del film non era nemmeno tra le prime posizioni, scalzato da link a pagine che consentivano di scaricare il film. La sentenza avrà forse un impatto a catena su tutti i siti internet contenenti un motore di ricerca. ”Dopo questo primo importante successo, che apre la strada a tutti i detentori di diritti, i prossimi obiettivi saranno Google e YouTube”, ha annunciato infatti Tullio Camiglieri, presidente di Open Gate Italia. “Il tribunale di Roma – sottolinea Camiglieri in una nota – ha sancito un principio fondamentale a tutela di tutta la produzione culturale: cinema, editoria, musica, giornali. Chi investe in cultura, informazione e intrattenimento ha diritto di vedere tutelato il proprio lavoro”. Youtube in realtà già da tempo rimuove sistematicamente i video pirata, sempre su segnalazione. Google per ora si limita a bloccare le parole che rinviano alla pirateria dal proprio sistema di auto completamento (cioè quella frasetta che compare in automatico, come suggerimento, quando digitiamo parole da cercare). Gli esperti cominciano a chiedersi se adesso diventerà più difficile trovare link a siti pirata tramite i motori di ricerca. E se questi saranno chiamati a una maggiore collaborazione con i detentori di copyright. “Il tribunale di Roma ha seguito una strada diversa da quelle tentate sino ad ora per affermare la responsabilità di un prestatore di servizi della società dell’informazione”, commenta Andrea Monti, avvocato esperto di diritto d’autore nei nuovi media e fondatore di Alcei (Associazione per la Libertà nella Comunicazione Elettronica Interattiva). “Yahoo! è stata condannata perché tollerando la presenza di quei risultati nel suo motore ha facilitato la violazione dei diritti d’autore”, ricorda Monti. Finora però questo principio si è applicato solo agli hosting provider, cioè ai siti che contengono direttamente il contenuto pirata, pubblicato in autonomia dai loro utenti, e rimuovono il link su segnalazione dei detentori di copyright. Estendere la responsabilità ai motori – prima interfaccia dell’utente con il web – è un passo avanti notevole. “Questa sentenza è discutibile e pericolosa soprattutto perché recupera un concetto di iper-responsabilità da link che già da almeno un decennio sembrava definitivamente archiviato”, continua Monti. “Se già è discutibile che qualcuno possa essere considerato responsabile dei contenuti linkati su un’altra risorsa, al di fuori del suo controllo, a maggior ragione è inammissibile far valere un discorso del genere per un sistema che i link li genera automaticamente, sulla base di un algoritmo e dunque, in automatico, senza alcuna consapevolezza della liceità o meno dello specifico contenuto”. Per quanto riguarda Yahoo!, l’azienda fa sapere che al momento non può commentare la vicenda. Contattati da Repubblica.it, i rappresentanti della società affermano di voler leggere prima le motivazioni ufficiali della sentenza.