Sezioni Unite Penali: assenza in udienza del difensore di fiducia non è abbandono della difesa
La sola assenza a un’udienza del difensore di fiducia non può interpretarsi come sintomo di un atto abdicativo espresso, né di un comportamento di “abbandono” ai fini della concessione al difensore di ufficio del termine a difesa di cui all’articolo 108 Cpp. Questo è il contenuto della sentenza con cui le Sezioni Unite penali (sentenza n. 12903/2011) hanno accolto il ricorso di un avvocato sanzionato con la censura dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pinerolo, per violazione degli artt. 6,7,8 e 38 del codice deontologico per aver mancato di trasmettere comunicazione all’A.G. in ordine alla sua assenza in data 11.4.2007 all’udienza dibattimentale, mancando pertanto ai doveri di correttezza, fedeltà e diligenza nei confronti del proprio assistito. Il Consiglio Nazionale forense però accoglieva il ricorso dell’avvocato eliminando la censura comminata ai danni dell’avvocato, in quanto il comportamento del libero professionista non doveva essere interpretato come un abbandono o un atto abdicativo della difesa. In seguito alla proposizione del ricorso per la cassazione della decisione del Consiglio Nazionale Forense, da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Pinerolo, l’avvocato si era difeso spiegando che l’assenza in udienza non integra abbandono della difesa ma si ricollega anche a ragioni di scelta processuale non sindacabile dall’autorità giudiziaria: non sussisteva pertanto, secondo l’avvocato, nessuna violazione del mandato (art. 38 C.D.) né, tantomeno, dei doveri di correttezza, fedeltà e diligenza di cui agli artt. 6,7,8 C. D. posto che non incombe al difensore di fiducia giustificare la scelte difensive e tampoco informare di esse il magistrato. Gli Ermellini, confermando la decisione del Consiglio Nazionale Forense, spiegava che, l’ipotesi di abbandono di cui all’articolo 105 Cpp, – hanno spiegato i giudici di legittimità – ipotesi che espressamente radica il potere sanzionatorio dei Consigli dell’Ordine degli avvocati, non è desumibile dal solo comportamento processuale del difensore di fiducia, stante l’equivocità di un dato di mera astensione e la sua riconducibilità a una diversa, alternativa e insindacabile, strategia processuale. Ne consegue che è legittima la decisione del Consiglio nazionale forense che accoglie il ricorso dell’avvocato sanzionato con la censura (conforme 9478/1998).