Sfreccia ad alta velocità con il semaforo rosso: omicidio volontario o colposo?
Non fermarsi con il semaforo rosso e provocare la morte di una persona è omicidio volontario. E’ quanto ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 15 marzo 2011, 10411.
Il caso vedeva un automobilista, sprovvisto di patente, alla guida di un furgone rubato, sfrecciare ad alta velocità in presenza di diversi semafori rossi, al fine di sfuggire ad una volante della polizia la quale, a sirene spiegate, decideva di inseguire detto furgone. A causa delle condizioni di traffico intenso, la pattuglia della polizia desisteva dall’inseguimento, al fine di non mettere in repentaglio l’incolumità dei passanti.
Il furgone, dopo l’ennesimo passaggio senza rispettare il semaforo rosso, si andava a scontrare con due automobili transitanti nello stesso incrocio, procurando la morte di uno degli occupanti di queste ed il ferimento di altre persone.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, il fondamento del dolo indiretto (o eventuale) è da individuare nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. In altre parole, il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento che, nella rappresentazione psichica, non é direttamente voluto, ma appare probabile; l’agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo che questo si realizzasse, sicché lo stesso non può non considerarsi riferibile alla determinazione volitiva.
Si rientra, invece, nella c.d. colpa cosciente, aggravata dall’avere agito nonostante la previsione dell’evento (art. 61 n. 3 c.p.), qualora l’agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell’evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori.
Come evidenziato dal giudice nomofilattico: “Dall’interpretazione letterale dell’art. 61, comma 1, n. 3 cod. pen., che fa esplicito riferimento alla realizzazione di un’azione pur in presenza di un fattore ostativo della stessa, si evince che la previsione deve sussistere al momento della condotta e non deve essere stata sostituita da una non previsione o controprevisione, come quella implicita nella rimozione del dubbio. Quest’ultimo non esclude l’esistenza del dolo, ma non è sufficiente ad integrarlo”.
Il semplice accantonamento del dubbio, quale stratagemma mentale cui l’agente può consapevolmente ricorrere per vincere le remore ad agire, non esclude di per sé l’accettazione del rischio, ma comporta piuttosto la necessità di stabilire se la rimozione stessa abbia un’obiettiva base di serietà e se il soggetto abbia maturato in buona fede la convinzione che l’evento non si sarebbe verificato.
Mentre, infatti, nel dolo eventuale occorre che la realizzazione del fatto sia stata “accettata” psicologicamente dal soggetto, nel senso che egli avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto, nella colpa con previsione la rappresentazione come certa del determinarsi del fatto avrebbe trattenuto l’agente.
Nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro. L’autore del reato, che si prospetta chiaramente il fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra il soddisfacimento dell’interesse perseguito e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra tutti gli interessi in gioco – il suo e quelli altrui – e attribuisce prevalenza ad uno di essi. L’obiettivo intenzionalmente perseguito per il soddisfacimento di tale interesse preminente attrae l’evento collaterale, che viene dall’agente posto coscientemente in relazione con il conseguimento dello scopo perseguito. Non è, quindi, sufficiente la previsione della concreta possibilità di verificazione dell’evento lesivo, ma è indispensabile l’accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno che costituisce il prezzo (eventuale) da pagare per il conseguimento di un determinato risultato.