Sì al controllo delle mail aziendali se il dipendente è infedele
L’azienda può controllare la posta elettronica del dipendente a patto che questi controlli siano finalizzati a trovare riscontri ai comportamenti illeciti del dipendente stesso. Lo ha sancito la Cassazione nel convalidare un licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti di un dirigente bancario del gruppo Unicredit accusato di aver divulgato tramite messaggi di posta elettronica diretti ad estranei notizie riservate relative ad un cliente della banca e di avere posto in essere, grazie alle notizie in questione, operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale. Il licenziamento nei confronti di Alfredo B. era scattato il 15 marzo del 2004 in seguito ai controlli che l’istituto di credito aveva effettuato sulle mail del dirigente. Secondo piazza Cavour questo genere di controlli non lede “la dignità e la riservatezza del lavoratore” a patto che questo genere di controlli sia fatto non per verificare “l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro ma sia destinato ad assertare un comportamento che pone in pericolo l’immagine” dell’azienda presso terzi. La validità del licenziamento inflitto al dirigente bancario addetto all’ufficio ‘Advisory center’ era stata accertata dalla Corte d’Appello di brescia il 13 ottobre 2009. Inutile la difesa del dirigente bancario in Cassazione volta a dimostrare che il controllo effettuato dal datore di lavoro sulla posta elettronica aziendale del dipendente era contraria alla norma dello Statuto dei lavoratori ma anche all’articolo 114 del decreto legislativo 196 del 2003 in materia di salvaguardia dei dati personali. La sezione lavoro (sentenza 2722) ha respinto la tesi difensiva di Alfredo B. e ha osservato che nel caso in questione “il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti, ed era, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti poi effettivamente riscontrati”. In altre parole, chiarisce piazza Cavour, il controllo delle mail aziendali era di natura difensiva, dunque “non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo l’immagine dell’istituto bancario”. Più in generale la Cassazione ricorda che “la possibilità di tali controlli si ferma davanti al diritto alla riservatezza del dipendente al punto che la pur insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore”.