Si paga l’inerzia sugli evasori
La partecipazione dei Comuni al contrasto all’evasione fiscale, introdotta dall’ articolo 1 del Dl 203/05, ha subito numerosi ritocchi normativi nell’ultimo triennio, sia in relazione agli effetti premiali, dall’originaria devoluzione del 30% del gettito fino al 50% per effetto del decreto sul federalismo, sia per gli adempimenti procedurali a carico degli enti locali.
Recentemente ha suscitato interesse, e molte perplessità, l’obbligo introdotto dall’articolo 18 del Dl 78/10 di istituire i consigli tributari o, per i piccoli Comuni, la riunione consortile. Nella sostanza appare tuttavia ben più importante il restyling dell’articolo 44 del Dpr 600/73, sempre a opera del Dl 78, ove l’ente è chiamato dall’agenzia delle Entrate a esaminare la posizione delle persone fisiche prossime a essere oggetto di accertamento sintetico, fornendo «ogni elemento in suo possesso utile alla determinazione del reddito complessivo».
Disposizione, quest’ultima, che sostanzialmente ribadisce quanto già stabilito dall’articolo 83, comma 11, del Dl 112/08, in attuazione della norma di principio contenuta nel decreto 203. Sempre l’articolo 83 del decreto 112 stabilisce, al comma 16, l’obbligo dei Comuni di monitorare i comportamenti tenuti dagli iscritti nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero. Anche tale attività è premiata con l’incentivo del decreto legge 203.
In presenza di questo quadro normativo, sono maturi i tempi per volgere l’attenzione sulle possibili conseguenze dell’inerzia da parte dei Comuni. C’è da chiedersi se possano esserci i contorni della responsabilità ascrivibile ad amministratori, funzionari (e anche revisori), conseguente al danno patrimoniale arrecato all’ente di appartenenza, per aver omesso la partecipazione all’attività di accertamento.
Un peso maggiore
Dal punto di vista delle finanze comunali, l’attribuzione del gettito del 50%, quota assai rilevante, ha spostato nel territorio della perentorietà la collaborazione dei Comuni con l’Agenzia. Non cooperare, infatti, significherebbe rinunciare a un’entrata, tutt’altro che ipotetica, prevista da normativa cogente, comportamento di per sé censurabile in qualsiasi amministrazione pubblica.
Fino a oggi le amministrazioni locali hanno reclamato, giustamente, la carenza di mezzi, risorse tecniche e umane, nonché il conseguente sovraccarico di lavoro dei propri uffici (non solo tributari). Non bisogna tuttavia ignorare il fatto che la partecipazione alla lotta all’evasione è svolta «nell’ambito dell’ordinario contesto operativo di svolgimento delle proprie attività istituzionali», come recita l’articolo 2 del provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 3 dicembre 2007. Collaborazione, quindi, che non declassa i Comuni al ruolo di “ausiliari del fisco”, ma aggiunge peso all’azione amministrativa da loro quotidianamente svolta.
Il rischio
La stretta connessione dell’attività di reporting fiscale ai propri compiti istituzionali e l’assenza di sanzioni specifiche per l’inottemperanza, a ben vedere, complicano e, allo stesso tempo, aggravano la posizione dei Comuni sul fronte della responsabilità amministrativa. Se si può aderire alla tesi secondo cui il mero (ma non fittizio) avvio della partecipazione, benché poi approdi a risultati nulli sul fronte dell’emersione di evasione fiscale, mette al riparo da azioni di responsabilità per dolo o colpa grave (articolo 1, comma 1, legge 20/94), è altrettanto teorizzabile che l’inerzia assoluta, qualora sia riscontrata l’effettiva disponibilità da parte del Comune di «atti, fatti e negozi che evidenziano, senza ulteriori elaborazioni logiche, comportamenti evasivi ed elusivi» (articolo 3 del provvedimento direttoriale), sia foriera di danno per comportamento omissivo gravemente colposo (quando non doloso).