Si può “rifiutare” un contratto collettivo?
In queste settimane ha fatto discutere l’iniziativa di alcuni
lavoratori, che hanno annunciato l’intenzione di promuovere delle cause
giudiziarie per ottenere il riconoscimento del diritto a vedersi
applicato solo il contratto collettivo firmato dalle organizzazioni
sindacali cui sono iscritti.
L’iniziativa, legata al recente rinnovo
del contratto dei metalmeccanici (ma analoghi problemi si sono posti
con riferimento all’accordo di riforma del modello contrattuale,
siglato nel gennaio del 2009), nasce dalle tensioni internei che hanno
investito i rapporti tra le principali organizzazioni sindacali negli
ultimi anni; la natura politico-sindacale di questi conflitti ci
consente di osservare che la sede giudiziaria non è certamente il luogo
adeguato per la loro composizione.
Tuttavia, la notizia ci fornisce
lo spunto per ricordare alcune problematiche giuridiche che
caratterizzano il tema dell’applicazione e dell’efficacia generalizzata
del contratto collettivo. Come noto, nel nostro ordinamento, fino
all’applicazione dell’articolo 39 della Costituzione, il contratto
collettivo non potrà mai avere un’efficacia generalizzata.
Secondo
la norma costituzionale, il contratto collettivo nazionale, per
acquisire efficacia erga omnes, dovrebbe essere stipulato da una
rappresentanza sindacale nazionale unitaria dei lavoratori. La norma
costituzionale non è mai stata attuata, per diversi motivi.
Una
spinta all’efficacia generalizzata del contratto collettivo l’ha data
la giurisprudenza, facendo prevalere sull’articolo 39 della
Costituzione il principio contenuto nell’art. 36, che attribuisce al
lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente;
questa retribuzione è stata individuata nei minimi tabellari contenuti
nei contratti collettivi. L’utilizzo di questo meccanismo risolve solo
in parte la questione, in quanto il rinvio al contratto collettivo
riguarda solo il trattamento retributivo, mentre resta aperto il tema
dell’applicazione delle parti normative dello stesso.
Per questi
aspetti, valgono le regole del diritto comune, per determinare
l’efficacia del contratto. Se il nuovo contratto non viene firmato da
tutte le organizzazioni che avevano firmato il contratto scaduto, esso
è pienamente valido ed efficace. Se si volesse negare tale assunto, ci
si porrebbe in contraddizione con il principio costituzionale di
libertà sindacale; richiedendo l’unanimità delle organizzazioni
sindacali nella fase di rinnovo, infatti, si renderebbe insuperabile il
veto anche di una soltanto delle organizzazioni sindacali.
In tale
evenienza, resta da capire quale disciplina deve applicarsi nei
confronti dei lavoratori non aderenti a una delle organizzazioni
firmatarie del contratto.
Questa situazione è normalmente risolta,
sul piano giurisprudenziale, nel senso che il datore di lavoro, una
volta che si impegna ad applicare un contratto collettivo, è obbligato
ad applicarlo nei confronti di tutti i propri dipendenti. Questo
obbligo sussiste anche nel caso in cui alcuni lavoratori, iscritti a
un’organizzazione sindacale che non ha sottoscritto l’accordo,
ritengano insoddisfacenti le soluzioni adottate dal nuovo contratto.
Per
questi lavoratori, l’insoddisfazione può costituire un presupposto di
richieste di miglioramenti del contratto sottoscritto da organizzazioni
diverse dalla propria, ma non consente di impedire l’applicazione del
contratto sottoscritto dal datore di lavoro.