Sicurezza sul lavoro: valutazione dei rischi e infortuni Cassazione penale , sez. IV, sentenza 16.03.2010 n° 10448
I giudici della Suprema Corte, con la sentenza 10448/2010 ribadiscono il concetto che la valutazione dei rischi (con la conseguenza elaborazione dell’idoneo documento) costituisce, senza ombra di dubbio, un fondamentale passaggio per la prevenzione degli infortuni, anche se il rapporto di causalità tra omessa previsione del rischio e infortunio (o il rapporto di causalità tra omesso inserimento del rischio nel documento di valutazione dei rischi e infortunio) deve essere accertato in concreto rapportando gli effetti indagati e accertati della omissione, all’evento che si è concretizzato, non potendo essere affermata una causalità di principio.
In base alla normativa vigente in materia (TU unico 81/2008 e correttivo 106/2009) si prevede che uno dei primi e fondamentali obblighi del datore di lavoro è quello di redigere il documento contenente la valutazione dei rischi dell’attività di lavoro da svolgere, e soprattutto che l’elaborazione di tale documento da parte del datore non è delegabile né ai dirigenti, né ai preposti.
Nella sentenza de qua si legge che “tale indagine sulla causalità è tanto più indispensabile quando, come nella specie, il trascinamento verso i rulli in movimento è stato in concreto determinato da un ulteriore evento costituito dal formarsi di una asola non sciolta in tempo, evento che si aggiunge al sistema di funzionamento proprio della macchina e dunque modifica l’assetto delle funzioni di macchina secondo il loro progetto e la loro omologazione, con aspetti da valutare e sui quali spendere motivazione, anche in termini di prevedibilità del rischio”.
Ancora “l’obbligo di motivazione per l’accertamento della causalità e della responsabilità per omissione era ancora più significativo in quanto la macchina con organi in movimento non segregati era caratterizzata da marcatura CE sicchè doveva essere adeguatamente scandagliato il rapporto tra osservanza di regole specifiche ed eventuale decisività della inosservanza di più generali ampie regole di prudenza”
Si rileva, altresì, che “una corretta valutazione dei rischi avrebbe evitato, inoltre, che i lavoratori utilizzassero per l’esecuzione dello smontaggio, un mezzo improprio ed inadeguato quale un crick”, con conseguente “violazione dell’art. 71 D.P.R. n. 164/1956 [ripreso dall’art. 150, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008], laddove è previsto che ‘prima dell’inizio di lavori di demolizione è fatto obbligo di procedere alla verifica delle condizioni di conservazione e stabilità delle varie strutture da demolire’, così da predisporre idonee strutture di rafforzamento e puntellamento, non adottate nel caso specifico, in conseguenza della primaria omissione della valutazione del rischio”.
Precedenti giurisprudenziali
Una valutazione dei rischi non adeguata e un’insufficiente formazione dei lavoratori equivalgono ad una mancata valutazione dei rischi e formazione (Cass. 28.01.2008, n. 4063).
In tema di prevenzione infortuni sul lavoro, integra la violazione prevista del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 2, (obbligo per il datore di lavoro di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro) non soltanto l’omessa redazione del documento di valutazione, ma anche il suo mancato, insufficiente o inadeguato aggiornamento od adeguamento e l’omessa valutazione dell’individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori erano sottoposti in relazione alle diverse mansioni svolte e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi (cfr. Cass. 34063/2007).
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 22 dicembre 2009 – 16 marzo 2010, n. 10448
…omissis…
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza del 30/3/2000 il Pretore di Brescia condannava D.G., in qualità di amministratore unico della s.r.l. “Nuova M.G.” per il delitto di cui all’art. 589 c.p. perchè, durante i lavori di demolizione e smantellamento della ditta “SELCA”, consentiva che essi si svolgessero senza preventivamente predisporre un dettagliato programma delle attività e della verifica statica delle strutture, con connessa valutazione dei rischi; inoltre senza disporre di puntellare le strutture prima dell’inizio dello smantellamento e senza informare i lavoratori dei rischi specifici relativi alla attività da svolgere; sicchè, mentre il lavoratore B.A. effettuava lo smontaggio di un impianto di raffreddamento e stava tagliando con la fiamma ossidrica un tubo, veniva schiacciato dalla vasca dell’impianto e decedeva.
Il fatto veniva attribuito all’imputato a titolo di colpa generica e specifica, per negligenza, imprudenza ed imperizia e per violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4, 21 e 22 e D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 71 e 72 (acc. in ****).
All’imputato veniva irrogata la pena di mesi 12 di reclusione, con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, pena sospesa.
Con la medesima sentenza venivano condannati anche D.V.F., preposto e responsabile del cantiere e T.G., direttore tecnico. Con sentenza del 5/3/2007 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riconosciute oltre alle attenuanti generiche anche l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 equivalenti all’aggravante, riduceva la pena al D. a mesi 8 di reclusione. Veniva inoltre dichiarato estinto il reato per morte del reo relativamente al T. e per prescrizione per il D.V..
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando:
2.1. la violazione di legge e la insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione, in ordine alla affermata sussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento. Invero le sentenze di merito avevano accertato in modo definitivo che il sinistro si era verificato per la negligente condotta dei due operai che avevano inteso alzare il lato di una vasca del peso di diversi quintali attraverso l’improprio uso di un crick; reciso uno degli elementi che ancorava la vasca, lo squilibrio aveva determinato la caduta della stessa e lo schiacciamento del B.. Al controllo del cantiere e quindi della sicurezza dello svolgimento delle operazioni di lavoro, l’imputato aveva delegato due persone, un responsabile di cantiere ( D.V.) ed un direttore tecnico ( T.) a cui era stata trasferita la posizione di garanzia e di controllo della sicurezza delle concrete modalità di svolgimento del lavoro. Nè poteva addebitarsi all’imputato una colpa da “disorganizzazione” in quanto in assenza di una specifica censura causalmente collegata all’evento, si finiva per attribuire la responsabilità del fatto al D. a titolo di responsabilità oggettiva. In particolare in nessuna delle sentenze di merito era specificata la concreta insufficienza del piano di sicurezza. Anche la formazione dei lavoratori, la cui carenza peraltro non era stata contestata dagli ispettori dell’USSL, era stata completa, se è vero che era stato loro distribuito un opuscolo con cui si racco
mandava esplicitamente di non compiere di propria iniziativa operazioni che potevano mettere a repentaglio la loro sicurezza e quella degli altri lavoratori.
2.2. La violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione al giudizio di comparazione delle circostanze ed alla determinazione della pena. Invero, avendo riconosciuto un’ulteriore attenuante (risarcimento del danno), la Corte di merito avrebbe dovuto rinnovare il giudizio di comparazione e non semplicemente ratificare l’equivalenza tra le circostanze già deliberata in primo grado, per poi diminuire la pena senza incidere sul giudizio di comparazione.
L’omissione si sostanziava in un’inammissibile reformatio in peius.
La prevalenza delle attenuanti avrebbe determinato la estinzione del delitto per prescrizione.
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Ha osservato la Corte di merito nel confermare la pronuncia di condanna che:
– la causa dell’incidente andava ricondotta all’iniziativa dei due operai (la vittima B. ed il collega di lavoro R.) i quali, per avere maggiore spazio di lavoro sotto la vasca (del peso di diversi quintali) che stavano smontando, l’avevano in un lato alzata con una specie di crick (binda o martinetto); la condizione di precarietà dell’appoggio, unitamente al taglio dell’ultimo tubo, avevano determinato la caduta della vasca e lo schiacciamento dell’operaio intento al lavoro sotto di essa;
– l’iniziativa dei due lavoratori, sebbene negligente, non poteva essere considerata un comportamento abnorme ed imprevedibile idoneo a recidere il nesso causale tra l’evento e la condotta omissiva dell’imputato;
– la carenza del rispetto delle misure di sicurezza era frutto delle condotte omissive non solo del T. e del D.V., ma anche del D., in quanto l’organizzazione del lavoro, che presentava molteplici fattori di rischio, era approssimativa, come risultava dal piano generale e particolare di sicurezza, che contenevano dichiarazioni di principio, ma non raccomandazioni specifiche e concerete.
Sulla base di tali emergenze istruttorie, la Corte di merito confermava la pronuncia di affermazione della penale responsabilità del D..
Tale decisione non si espone a censure nè di violazione di legge, nè di difetto di motivazione.
Va ricordato infatti, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4, 4123/08, Vespasiani), che il datore di lavoro, in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all’art. 2087 c.c., è il “garante” dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratori, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio previsto dall’art. 40 c.p., comma 2, secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.
Orbene uno dei principali compiti del datore di lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 (vigente all’epoca dei fatti), è quello di redigere il documento contenete la “valutazione dei rischi” dell’attività di lavoro da svolgere. Va ricordato che l’elaborazione di tale documento da parte del datore non è delegabile, ai sensi dell’art. 1 D.Lgs. cit., comma 4 ter, nè ai dirigenti, nè ai preposti. Nel caso di specie, pur trovandosi di fronte ad una lavorazione particolarmente difficoltosa, per gli spazi ristretti ove i lavoratori dovevano operare per il taglio dei tubi e lo smontaggio delle vasche, la valutazione dei rischi e delle misure per prevenirli risulta essere stata insufficiente e del tutto generica, tanto vero che nessuna disposizione prendeva in considerazione lo specifico rischio connesso alla rimozione delle vasche. Nè di tali specifici rischi vi era cenno nell’opuscolo di prevenzione infortuni fornito ai lavoratori.
Della insufficienza della sicurezza del cantiere il giudice di merito ha rilevato un ulteriore riscontro nella deposizione del teste operaio S., il quale ha dichiarato che era “scappato” dal cantiere dopo l’incidente, in quanto ivi non si badava alla sicurezza e le indicazioni sulle modalità dei lavori da svolgere erano molto laconiche, del tipo “smonta quello” e sempre in un contesto di fretta dell’attività da svolgere. Da tali circostanze la Corte di merito ha, con motivazione esente da vizi logici, rilevato la negligente condotta omissiva del datore di lavoro, il quale era venuto meno ad alcuni degli obblighi di sicurezza primari su di lui gravanti e cioè la valutazione dei rischi dell’attività da svolgere e la corretta ed esaustiva informazione dei lavoratori.
Va ricordato in proposito che questa Corte ha avuto modo di statuire che in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, integra la violazione prevista del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 2, (obbligo per il datore di lavoro di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro) non soltanto l’omessa redazione del documento di valutazione, ma anche il suo mancato, insufficiente o inadeguato aggiornamento od adeguamento e l’omessa valutazione dell’individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori erano sottoposti in relazione alle diverse mansioni svolte e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi (cfr. Cass. 3, 4063/07, Franzoni).
Una corretta valutazione dei rischi avrebbe evitato, inoltre, che i lavoratori utilizzassero per l’esecuzione dello smontaggio, un mezzo improprio ed inadeguato quale un crick. In tal modo, come coerentemente rilevato dal giudice di merito, si è consumata anche la violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 71, laddove è previsto che “Prima dell’inizio di lavori di demolizione è fatto obbligo di procedere alla verifica delle condizioni di conservazione e stabilità delle varie strutture da demolire”, così da predisporre idonee strutture di rafforzamento e puntellamento, non adottate nel caso specifico, in conseguenza della primaria omissione della valutazione del rischio.
Nella specie, pertanto, correttamente è stata ravvisata la posizione di garanzia del D. e quindi, da parte sua, una condotta omissiva causalmente legata all’incidente: infatti, la predisposizione di una concreta specifica valutazione dei rischi del lavoro in corso di svolgimento nel cantiere e la conseguente corretta informazione dei lavoratori, nonchè la predisposizione delle idonee misure di sicurezza avrebbero evitato l’evento.
3.2. Nè può dirsi che causa esclusiva dell’incidente sia stata la condotta dei lavoratori, tra cui la vittima. Invero, in relazione al lamentato comportamento negligente della persona offesa, questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass. 4, n. 21587/07, ric. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il B. ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro in condizioni di prevedibile insicurezza, in ragione della ricordata strettezza degli spazio ove doveva operare.
3.3. Con il secondo motivo di censura la difesa dell’imputato ha lamentato la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione al giudizio di comparazione delle circostanze ed alla determinazione della pena, in quanto, avendo riconosciuto un’ulteriore attenuante (il risarcimento del danno), la Corte di meri
to avrebbe dovuto rinnovare il giudizio di comparazione e non semplicemente ratificare l’equivalenza tra le circostanze già deliberata in primo grado, per poi diminuire la pena senza incidere sul giudizio di comparazione. L’omissione si sostanziava in un’inammissibile reformatio in peius. Peraltro, la prevalenza delle attenuanti avrebbe determinato la estinzione del delitto per prescrizione. Anche tale doglianza è infondata.
Questa Corte di legittimità ha avuto modo di statuire che “Non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, sul gravame del solo imputato, pur riconoscendo l’esistenza di un’altra attenuante, lasci inalterata la misura della pena inflitta in primo grado, quando l’effettuato riconoscimento comporta la necessità di un rinnovato giudizio comparativo tra aggravanti ed attenuanti, nella formulazione del quale il giudice di secondo grado conserva piena facoltà di conferma del giudizio di bilanciamento precedente, il cui esercizio è insindacabile in cassazione, se congruamente motivato” (Cass. 2, 42354/05, Battaglia).
Nel caso di specie il giudice di merito, rinnovando il giudizio di comparazione, ha confermato la equivalenza delle circostanze in ragione “del rilevante grado di responsabilità (del D.) per non aver provveduto ad organizzare adeguatamente lavori intrinsecamente pericolosi””; inoltre valutato l’avvenuto risarcimento del danno, ne ha tenuto conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., ai fini della concessione di una riduzione della pena.
Tale decisione non è affetta da alcuna incongruenza, in quanto il risarcimento del danno può costituire un utile parametro di valutazione per la determinazione della pena (“…Il giudice deve tener conto…della condotta…susseguente al reato”: art. 133 c.p., comma 2, n. 3)) ma non necessariamente deve condurre ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, operando le due valutazioni (comparazione e determinazione della pena in concreto) su piani e in momenti diversi.
Ciò premesso, va ricordato che il giudizio di prevalenza e di equivalenza fra circostanze attenuanti e aggravanti è devoluto esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, la motivazione a sostegno della valutazione non manifestamente illogica.
L’infondatezza del ricorso sul punto non consente di ritenere il reato prescritto, in quanto in ragione dell’entità della pena edittale (cinque anni di reclusione), il termine di prescrizione, tenuto conto delle interruzioni, è di anni quindici e pertanto non si è ancora maturato.
Al rigetto del ricorso, consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2010.