Spamming, prima sentenza di risarcimento danni
ROMA – Tempi duri per gli spammer. Dopo la condanna al carcere di un americano di Buffalo per truffe legate all’invio seriale di email non desiderate, anche in Italia si stringe il cerchio contro chi «bombarda» le caselle di posta elettronica. Un risarcimento danni di mille euro, più 750 euro di spese legali, e la pubblicazione della sentenza di condanna sui maggiori quotidiani nazionali: queste le conclusioni di una delle prime sentenze che riconosce il «danno da spamming». Sotto accusa una e-mail di pubblicità indesiderata inviata a una mailing list di un migliaio di persone, che hanno subito così un’ illegittima intrusione nella loro sfera privata. La sentenza è pubblicata integralmente sul sito di Diritto e Giustizia (Giuffrè), e sarà commentata sul numero del settimanale D&G.
I messaggi pubblicitari di posta elettronica non richiesti e non «preventivamente autorizzati» – scrive il giudice di Pace di Napoli nelle motivazioni – rappresentano una violazione della legge sulla privacy e la società che li invia «deve rispondere del comportamento illecito dei propri dipendenti». Nella causa intentata dall’avvocato Angelo Pisani, del movimento «Noi Consumatori», contro un’azienda di articoli sportivi, il magistrato ha affermato, tra l’altro, che l’invio di posta elettronica indesiderata «è illegittimo» sotto due profili: «da un lato per la scorrettezza e l’illiceità del trattamento dei dati personali e dall’altro perché provoca una illegittima intrusione nella sfera privata del soggetto destinatario, e ciò costituisce una lesione della sua riservatezza, come stabilito anche dal Garante per la Privacy».
RAGIONI – Per queste ragioni il giudice risarcisce «in via equitativa il danno patrimoniale e il danno morale» e, in particolare, ordina la pubblicazione del provvedimento a spese dell’azienda, sui quotidiani Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giornale, Il Messaggero e sui settimanali Panorama ed Espresso. «La sentenza – ha commentato l’avvocato Pisani ha sostanzialmente anticipato, con una tutela giurisdizionale, i “filtri informatici” che la Microsoft sta studiando proprio per difendersi dallo spamming. Questo dimostra che il problema esiste ed è più grave di quanto possa apparire».