Spaventa i pazienti e chiede loro denaro per operarli personalmente
La reputazione e l’esperienza del chirurgo, fa diventare la richiesta ai pazienti di somme di denaro in cambio della promessa di operarli personalmente un’intimidazione, specie se accompagnata da considerazioni preoccupanti sul loro stato di salute. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 11793/13.
Il caso
Un noto chirurgo è riconosciuto colpevole dei reati di interruzione di un servizio di pubblica necessità (art. 340 c.p.) per aver sospeso l’attività chirurgica in una sala operatoria, e di concussione, per aver chiesto denaro ai pazienti al fine di ottenere la personale esecuzione dell’intervento chirurgico. Il medico ricorre per cassazione: lamenta la mancanza di prova di una compromissione tale da alterare significativamente le prestazioni dovute; inoltre la sua decisione sarebbe stata determinata dalla segnalazione del capo tecnico che declinava ogni responsabilità riguardo all’utilizzo del macchinario cuore-polmone, a seguito della cessazione del rapporto con la ditta che ne curava l’assistenza. A giudizio degli Ermellini, tuttavia, l’interruzione non può essere ritenuta giustificata, dal momento che il contratto non era scaduto e, se anche lo fosse stato, ciò avrebbe semplicemente comportato un maggiore aggravio di spesa a carico dell’azienda sanitaria in caso di eventuali malfunzionamenti, mentre non ci sarebbe stata nessuna conseguenza per l’attività medica: la macchina, infatti, risultava all’epoca efficiente e perfettamente funzionante. Con la sua condotta, invece, il chirurgo ha determinato l’illegittimo rifiuto del ricovero di due pazienti; ciò premesso, la Cassazione rileva tuttavia l’intervenuta prescrizione del reato. E’ stato poi accertato che il chirurgo era solito chiedere ai pazienti somme di denaro in contante per operare personalmente i pazienti, approfittando così della stima e dell’apprezzamento di cui godeva: proprio in forza della delicatezza degli interventi di cardiochirurgia e dell’esperienza accumulata negli anni, la richiesta del professore assumeva senza dubbio una forza di intimidazione notevole nei confronti del paziente, il quale era ben consapevole che il rifiuto del pagamento avrebbe comportato il dover rinunciare alla bravura del chirurgo, affidando il rischioso intervento al meno esperto medico di turno. Da tali circostanze i giudici di merito hanno desunto lo stato di soggezione dei pazienti rispetto alla posizione di preminenza del medico: non si può infatti ritenere che nella fattispecie vi fosse un rapporto paritario tra medico e persona offesa. Secondo la S.C., infatti, costituisce massima di esperienza il fatto che nel contesto in cui la richiesta veniva formulata, magari accompagnata da considerazioni preoccupanti sullo stato di salute del paziente, lo spazio di libertà in capo al destinatario della proposta era talmente modesto da escludere una condizione psicologica riconducibile all’induzione: in questo caso si versa invece in una realtà definibile come costrizione rilevante ex art. 317 c.p.. Per questi motivi, ritenendo di non dover accogliere neppure la censura riguardante l’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 340 c.p., estinto per prescrizione, e rigetta nel resto il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it