Spese d’assistenza infortunistica stradale riconosciute come danno emergente Cassazione civile , sez. III, sentenza 21.01.2010 n° 997
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 21 gennaio 2010, n. 997
Svolgimento del processo
p.1.
Il Tribunale di Venezia ha rigettato l’appello proposto da D.V.L.
avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace di Mestre, nel
provvedere sulla domanda dalla medesima proposta contro G. P. e la sua
assicuratrice per la r.c.a. Winterthur Assicurazioni s.p.a. per il
risarcimento dei danni sofferti in conseguenza di un sinistro stradale
occorso il ****, aveva, pur riconoscendo la responsabilità della
causazione del sinistro da parte del P., negato, nel liquidare il
danno, la spettanza del rimborso della spesa sostenuta da essa
ricorrente per la prestazione ante causam di un’assistenza
infortunistica da parte di uno studio di infortunistica stradale.
L’appello,
svoltosi nel contraddittorio effettivo della società assicuratrice e
nella contumacia del P., è stata rigettato dal Tribunale sulla premessa
che le spese sostenute per l’attività stragiudiziale sono risarcite
“solo se l’assistenza sia stata in concreto resa necessaria o utile
dalla contestazione ad opera della controparte del diritto al
risarcimento, ai fini del consentire al danneggiato di quantificare
correttamente le proprie pretese, anche ai fini conciliativi in
presenza di contestazioni o difformi valutazioni della Compagnia di
Assicurazioni”. Nella specie non risultava che l’assicurazione avesse
contestato la responsabilità del suo assistito e nemmeno l’entità delle
lesioni sofferte dalla danneggiata (che erano state determinate dalla
società assicuratrice in modo conforme alla perizia stragiudiziale
fatta eseguire dalla danneggiata) o le altre voci di danno, essendosi,
invece, il contrasto incentrato solo sull’applicabilità o meno delle
tabelle introdotte dalla L. n. 57 dei 2001. L’intervento dell’agenzia
infortunistica non si era, però – ad avviso del Tribunale – connotato
come necessario o utile, tanto più che la posizione assunta dalla
società assicuratrice in senso positivo sulla questione
dell’applicazione delle dette tabelle non si era modificata a seguito
della corrispondenza con l’agenzia stessa, mentre non risultavano
provate altre attività. p.2. Contro la sentenza la D.V. ha proposto
ricorso per cassazione affidato a due motivi contro il P. e l’Aurora
Assicurazioni s.p.a., qualificandola come “già Winterthur Ass.ni
S.p.A.”, senza, peraltro nulla spiegare al riguardo.
Ha resistito con controricorso l’Aurora Assicurazioni s.p.a., mentre non ha svolto attività difensiva il P..
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
p.1.
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di rito (nel senso
dell’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso) formulata
dall’Aurora Assicurazioni s.p.a. sotto il profilo che il ricorso le
sarebbe stato notificato non presso la sua sede legale, bensì presso il
difensore costituito per la Winterthur, il quale non aveva ricevuto
mandato da essa resistente.
L’Aurora Assicurazioni è stata
chiamata nel presente giudizio di legittimità come società che già si
denominava o si identificava con la Winterthur e, pertanto,
l’indicazione della sua legittimazione non è stata fatta da parte della
ricorrente come quella di un soggetto che sia “altro” rispetto a quello
originario, cioè alla Winterthur, bensì come quella di un soggetto che
è il medesimo con una diversa denominazione. Tale allegazione, se
l’intimata nella detta qualità non si fosse costituita, avrebbe onerato
la ricorrente di dimostrarla (nel rispetto dell’art. 372 c.p.c.).
Viceversa, una volta che l’intimato ha ritenuto di costituirsi, era suo
onere prendere posizione sulla detta allegazione, contestandola, se del
caso, per genericità, oppure specificando i termini della sua relazione
con la Winterthur. La resistente, invece, non ha tenuto nè l’uno nè
l’altro atteggiamento, ma si è limitata alla mera allegazione che il
ricorso era stato notificato presso un difensore che non aveva la sua
rappresentanza in giudizio, “in quanto la stessa cioè essa Aurora non
era parte di quel procedimento giudiziario”. Di tale allegazione – cioè
del suo non essere parte nel giudizio di merito – non ha dato, però,
alcuna spiegazione e, pertanto, l’ambiguità della sua prospettazione si
risolve in un dato sufficiente a giustificare la veridicità
dell’allegazione di parte ricorrente.
E ciò senza che occorra
scrutinare la questione della riferibilità del mandato professionale
del difensore della Winterthur all’Aurora, eventualmente al lume
dell’art. 2540 bis c.c..
L’eccezione è infondata e va, pertanto,
rigettata. p.2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione
o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., e/o art. 1227 c.c., comma 2,
in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Il motivo, dopo una
introduzione in cui vengono richiamate decisioni di questa Corte (Cass.
n. 13801 del 2004 e n. 1191 del 2003) favorevoli al riconoscimento come
danno risarcibile delle spese per l’assistenza stragiudiziale ove resa
necessaria o utile per la contestazione della controparte e dopo avere
sostenuto che ciò non sarebbe stato posto in dubbio dal Tribunale,
ipotizza che non sarebbe ben chiaro se con la sua motivazione lo stesso
Tribunale abbia inteso o meno richiamare la norma dell’art. 1227 c.c.,
comma 2, a fondamento della soluzione prescelta e, per il caso
positivo, sostiene che per fare corretta applicazione del principio
espresso da quella norma il Tribunale si sarebbe dovuto chiedere se
essa danneggiata era stata in grado, prima di rivolgersi allo studio di
consulenza infortunistica, di tutelare adeguatamente le proprie ragioni
da solo. Soltanto nell’ipotesi di una risposta affermativa il rimborso
della relativa spesa avrebbe dovuto negarsi, quale danno che essa
ricorrente avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza.
Al
riguardo, si asserisce che siffatta risposta affermativa avrebbe
richiesto l’esame del caso concreto, “dovendosi esaminare le tematiche
coinvolte nel caso stesso, l’accessibilità ai relativi concetti da
parte di un quivis de populo quale è il danneggiato ed infine la
capacità di pretendere da parte di quest’ultimo, in contraddittorio con
l’assicuratore per rea del responsabile, l’integrale risarcimento dei
danni subiti”. Si invoca, poi, Cass. n. 3565 del 1996, che avrebbe
rigettato un motivo di ricorso con cui si censurava per violazione
dell’art. 1227 c.c., comma 2, il riconosciuto risarcimento delle spese
legali ante causarti al danneggiato in un sinistro stradale, e
affermato che “non può, infatti, addebitarsi alla parte – la quale, pur
senza esservi tenuta, si rivolga, nondimeno, ad un avvocato per lo
svolgimento di attività di rilevanza giuridica – difetto di diligenza,
così come richiede la norma, tanto più che la stessa tariffa forense
disciplina anche la materia stragiudiziale, talchè è rimesso alla parte
avvalersi o meno di assistenza legale: con la conseguenza che, nel
primo caso, a ragione la stessa può chiedere, nel giudizio di
risarcimento del danno, in vista del quale tale assistenza sia stata
richiesta e prestata, il rimborso della somma, a tal fine erogata”.
p.2.1.
Con il secondo motivo si denuncia “insufficiente, contraddittoria e
illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia in
relazione all’art. 360 c.p.c., n. 59”.
Erroneamente il
Tribunale, pur avendo assunto sotto il profilo giuridico un principio
corretto (quello per cui “tra i danni risarcibili vanno ricompresse le
spese sostenute per assistenza stragiudiziale, solo se l’assistenza sia
stata in concreto resa necessaria o utile dalla contestazione ad opera
della controparte del diritto al risarcimento, ai fini del consentire
al danneggiato di quantificare correttamente le proprie pretese, anche
ai fini conciliativi in presenza di contestazioni o difformi
valutazioni della Compagnia di Assicurazioni”), lo avrebbe male
applicato, là dove – pur avendo dato atto dell’esistenza fra le parti
di un contrasto in ordine alla questione dell’applicabilità per la
liquidazione del danno delle tabelle di cui alla L. n. 57 del 2001,
ancorchè il sinistro si fosse verificato anteriormente alla loro
entrata in vigore e della gestione del medesimo da parte dell’agenzia
infortunistica – ha escluso la responsabilità per detta spesa non già
per la sua evitabilità da parte della ricorrente, bensì per la
circostanza che comunque l’intervento dello studio professionale non
aveva determinato una modificazione dell’atteggiamento
dell’assicuratore sulla questione delle tabelle. Il Tribunale,
viceversa, non avrebbe dovuto dare rilievo all’efficacia causale
sull’atteggiamento della società assicuratrice dell’intervento de quo,
ma avrebbe dovuto interrogarsi sulla possibilità che la D.V. potesse
affrontare la problematica da sola e considerare che l’intransigenza
della stessa società era stata superata solo dalla sentenza di primo
grado, che aveva accertato l’inapplicabilità delle tabelle di cui alla
citata legge, il che rivelava che la discussione stragiudiziale sulla
relativa questione non avrebbe potuto ricadere nell’ambito dell’art.
1227 c.c., comma 2, tanto più che l’assicurazione aveva riconosciuto
l’attività ed utilità dell’intervento dello studio professionale in
un’offerta transattiva di cui alla lettera del 2 luglio 2001 e s’era
accollata la relativa spesa e ciò anche nel caso in cui la ricorrente
avesse accettato il risarcimento secondo le tabelle. p.3. L’esame dei
due motivi può procedere congiuntamente, atteso che anche il secondo,
al di là della sua formale proposizione ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
n. 5, involge una quaestio iuris, inerente l’errore del Tribunale nel
rifiutarsi di sussumere la spesa sostenuta per l’intervento
dell’agenzia infortunistica sotto la nozione giuridica de danno
risarcibile a cagione della inidoneità dello stesso a determinare la
modificazione dell’atteggiamento della società assicuratrice
sull’applicabilità delle tabelle.
Si tratta, dunque, di una
censura in iure e non in fatto, atteso che non si assume che vi sia
stata un’erronea ricostruzione del fatto, ma si contesta la valutazione
dello stesso, per come pacificamente ricostruito, ad integrare il
presupposto per considerare giuridicamente risarcibile la spesa
stragiudiziale.
E’ proprio questa censura che è prioritaria e
comunque appare pertinente rispetto alla motivazione della sentenza
impugnata, la quale, come del resto riconosce la stessa ricorrente,
assume corrette premesse in punto di risarcibilità come danno delle
spese stragiudiziali sopportate dalla parte poi risultata in tutto od
in parte vittoriosa.
Ciò chiarito, si osserva che questa Corte
ha innanzitutto da tempo affermato che “In tema di assicurazione
obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione
dei veicoli a motore e dei natanti, nella speciale procedura per il
risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con L. n.
990 del 1969, e sue successive modificazioni, il danneggiato ha
facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente
garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di
composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso
delle relative spese legali; se invece la pretesa risarcitoria sfocia
in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, le spese legali
sostenute nella fase precedente all’instaurazione del giudizio
divengono una componente de danno da liquidare e, come tali devono
essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese
giudiziali”. (Cass. n. 2775 del 2006).
Si è, altresì,
specificato che “Le spese legali corrisposte dal cliente al proprio
avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività
giudiziale devono formare oggetto di liquidazione con la nota di cui
all’art. 75 disp. att. c.p.c., se trovino adeguato compenso nella
tariffa per le prestazioni giudiziali, potendo altrimenti formare
oggetto di domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’altra
parte, purchè siano necessarie e giustificate, condizioni, queste che
si desumono dal potere del giudice di escludere dalla ripetizione le
spese ritenute eccessive o superflue, applicabile anche agli effetti
della liquidazione del danno in questione”. (Cass. n. 14594 del 2005).
Il
concetto di necessità e giustificatezza è evocato anche da altra
decisione: si veda. Cass. n. 9400 del 1999. p.3.1. Ora, queste
decisioni sono relative all’ipotesi in cui la spesa stragiudiziale sia
stata sostenuta per avere la parte, che poi abbia agito giudizialmente
investito della vicenda un avvocato. La legittimità di un simile
incarico è indiscutibile perchè la prestazione di assistenza legale
stragiudiziale trova nell’ordinamento riconoscimento nella stessa
tariffa professionale forense.
Se ci si domanda se un analogo
principio possa trovare applicazione allorquando, come nella specie,
l’assistenza stragiudiziale sia prestata da un soggetto che non rivesta
la qualità di professionista legale iscritto all’apposito albo ed in
particolare se ci si chiede se in tal caso sia d’ostacolo l’essere
stata la prestazione svolta da un soggetto non avente quella qualità,
la risposta a quest’ultimo interrogativo dev’essere negativa e, quindi,
ne segue la risposta positiva al primo interrogativo.
E’ stato,
infatti, affermato che “La prestazione di opere intellettuali
nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi
forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle
parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice
nell’ambito del processo; al di fuori di tali limiti, l’attività di
assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli
iscritti negli albi professionali e conseguentemente non rientra nella
previsione dell’art. 2231 c.c., e da diritto a compenso a favore di
colui che la esercita”. (Cass. n. 12840 del 2006; nello steso senso
Cass. n. 7539 del 1997. Si veda pure Cass. n. 5906 del 1987).
Dunque,
del tutto irrilevante è che l’attività di assistenza legale sia stata
prestata nella specie da un soggetto che non rivestiva la qualità di
professionista legale. p.3.2. Raggiunta questa conclusione appare
palese che il Tribunale ha fatto erronea applicazione del principio
della ripetibilità come voce di danno emergente della spesa di
assistenza stragiudiziale secondo il criterio della necessità e
giustificatezza, là dove ha fatto dipendere la ripetibilità dalla
verificazione del risultato positivo dell’attività espletata
sull’atteggiamento della controparte. In tal modo il Tribunale ha
applicato un criterio che è in manifesta contraddizione con la premessa
giuridica che giustifica la considerazione della spesa stragiudiziale
sopportata dal danneggiato come danno emergente, riconoscibile in sede
giudiziale. Tale considerazione, infatti, suppone che il diritto al
risarcimento del danno sia riconosciuto in sede giudiziale e, quindi,
per definizione che non lo sia stato in sede stragiudiziale. Ciò,
implica necessariamente che l’attività di assistenza stragiudiziale non
sia stata idonea a realizzare il suo scopo, quello della consecuzione
del risarcimento nei modi e nei termini esplicitati da essa, prima del
giudizio.
Non si comprende, dunque, come l’esclusione della
sussistenza del danno per le spese sopportate si sia potuta far
dipendere, da parte del Tribunale, dal fatto che la società
assicuratrice era rimasta ferma sulle sue posizioni nonostante
l’attività dello studio di consulenza infortunistica.
Va semmai
rilevato che, se pure stragiudizialmente, dopo l’intervento del detto
studio la società assicuratrice avesse riconosciuto fondata la
prospettazione sulla inapplicabilità delle tabelle di cui alla citata
legge assunta dallo studio che aveva prestato l’attività di assistenza
(e, quindi, in definitiva, dalla stessa ricorrente, di cui lo studio
era mandataria), l’eventuale riconoscimento stragiudiziale totale o
parziale della pretesa risarcitoria nei termini prospettati dalla
ricorrente ed in particolare della sua prospettazione sulle tabelle,
avrebbe comportato comunque la astratta configurabilità come danno
conseguenza ai sensi dell’art. 1223 c.c., della perdita costituita
dall’esborso sopportato per l’intervento dello studio di consulenza,
salva naturalmente la valutazione sul quantum. E sarebbe stata salva,
nel caso di soddisfacimento stragiudiziale del diritto risarcitorio
senza riconoscimento di alcunchè sotto tale profilo da parte della
società assicuratrice, la stessa possibilità della ricorrente di agire
per conseguirla, salva la valutazione sull’an e sul quantum. p.3.3. La
sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata con rinvio al Tribunale
di Venezia, che deciderà – anche sulle spese del giudizio di cassazione
– in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio ed applicherà il
seguente principio di diritto: “in caso di sinistro stradale, qualora
il danneggiato abbia fatto ricorso all’assistenza di uno studio di
assistenza infortunistica stradale ai fini dell’attività stragiudiziale
diretta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto
al responsabile ed al suo assicuratore, nel successivo giudizio
instaurato per ottenere il riconoscimento del danno, la configurabilità
della spesa sostenuta per avvalersi di detta assistenza come danno
emergente non può essere esclusa per il fatto che l’intervento di detto
studio non abbia fatto recedere l’assicuratore dalla posizione assunta
in ordine all’aspetto della vicenda che era stato oggetto di
discussione e di assistenza in sede stragiudiziale, ma va valutata
considerando, in relazione all’esito della lite su detto aspetto, se la
spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell’attività di
esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento”.
Il
giudice di rinvio si conformerà a tale principio, tenendo conto delle
motivazioni innanzi svolte quanto alla contestazione in ordine
all’applicabilità delle tabelle.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al
Tribunale di Venezia, che deciderà, anche sulle spese del giudizio di
cassazione, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010.
In caso di sinistro stradale, le spese
sostenute dal danneggiato, che chieda assistenza stragiudiziale ad uno
studio d’infortunistica stradale, possono essere conteggiate nella
successiva richiesta giudiziale di risarcimento danni sotto il profilo
del danno emergente.
Lo ha stabilito la sentenza di
Cassazione 21 gennaio 2010, n. 997 che ha riconosciuto, al danneggiato
da un incidente automobilistico, anche il diritto al rimborso delle
spese dell’assistenza stragiudiziale.
La configurabilità
di detta spesa come danno emergente, secondo quanto deciso, neppure può
essere esclusa per il fatto che l’intervento dello studio d’assistenza
infortunistica non abbia poi portato alla definizione della
controversia facendo recedere l’assicuratore dalla posizione assunta.
Considerato l’aspetto della vicenda oggetto d’assistenza in sede stragiudiziale, ciò che ha rilevanza è considerare“se
la spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell’attività
di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento”.
Nel
caso di specie il Tribunale di Venezia aveva rigettato l’appello
proposto avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace di Mestre
aveva, nel liquidare il danno, negato la spettanza del rimborso della
spesa sostenuta per la prestazione ante causam da parte di uno studio
d’infortunistica stradale.
Il Tribunale ha rigettato l’appello sulla premessa che le spese sostenute per l’attività stragiudiziale sono risarcite “solo
se l’assistenza sia stata in concreto resa necessaria o utile dalla
contestazione ad opera della controparte del diritto al risarcimento,
ai fini del consentire al danneggiato di quantificare correttamente le
proprie pretese, anche ai fini conciliativi in presenza di
contestazioni o difformi valutazioni della Compagnia di Assicurazioni”.
I
giudici di legittimità si soffermano preliminarmente sulla decisione
della Corte di Cassazione secondo cui, in tema d’assicurazione
obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione
dei veicoli a motore e dei natanti, nella speciale procedura per il
risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con legge
n. 990 del 1969 e sue successive modificazioni, le spese legali
corrisposte dal cliente al proprio avvocato in relazione ad attività
stragiudiziale seguita da attività giudiziale devono formare oggetto di
liquidazione.
Il danneggiato ha facoltà, in ragione
del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi
assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria
della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese
legali.
Quando la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, “le
spese legali sostenute nella fase precedente all’instaurazione del
giudizio divengono una componente del danno da liquidare e, come tali
devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese
giudiziali (Cass. n. 2775 del 2006)”.
Citate anche
altre decisioni concernenti l’ipotesi in cui la spesa stragiudiziale è
stata sostenuta per essere stato incaricato un avvocato che poi abbia
agito giudizialmente, sulla cui legittimità non può esserci dubbio,
perchè la prestazione d’assistenza legale stragiudiziale trova
nell’ordinamento riconoscimento nella stessa tariffa professionale
forense, i giudici della suprema Corte si domandano “se un analogo
principio possa trovare applicazione allorquando, come nella specie,
l’assistenza stragiudiziale sia prestata da un soggetto che non rivesta
la qualità di professionista legale iscritto all’apposito albo”.
In
particolare si chiedono se in tal caso sia d’ostacolo l’essere stata la
prestazione svolta da un soggetto non avente quella qualità.
La
risposta è che non può esserci nessun ostacolo al rimborso della spesa
che abbia preceduto il giudizio anche quando la prestazione non sia
stata svolta da un avvocato, in base al consolidato principio secondo
cui “La prestazione di opere intellettuali nell’ambito
dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi
solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti
in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice
nell’ambito del processo; al di fuori di tali limiti, l’attività di
assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli
iscritti negli albi professionali e conseguentemente non rientra nella
previsione dell’art. 2231 c.c., e da diritto a compenso a favore di
colui che la esercita” (Cass. n. 12840 del 2006; nello steso senso
Cass. n. 7539 del 1997. Si veda pure Cass. n. 5906 del 1987)”.
Per
questo, del tutto irrilevante è stato ritenuto il fatto, che l’attività
d’assistenza legale sia stata prestata nella specie da un soggetto che
non rivestiva la qualità di professionista legale.
Per
completezza si può aggiungere che, in merito all’attività legale da
considerare “riservata”, a parte le sentenze citate, si sono
pronunciate anche le SS.UU.: hanno confermato che “la prestazione d’opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza
legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti
della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio, e,
comunque, in diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del
processo, onde, al di fuori di tali limiti, l’attività d’assistenza e
consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli
albi professionali” (Cass. civ. Sez. Unite, 3 dicembre 2008, n. 28658).