Spese legali a favore di una parte: l’avvocato non ha diritti sulla somma
Non commette il reato di appropriazione indebita, la parte vincitrice di una causa civile, a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali, che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma.
E’ questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II, con la sentenza 24 giugno 2011, n. 25344.
Nel caso di specie, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari aveva proposto ricorso per cassazione per violazione dell’articolo 646 del c.p. In buona sostanza, il ricorrente sosteneva che le somme liquidate dal giudice in favore del difensore sono detenute dalla parte vincitrice nomine alieno con la conseguenza che, mutare ad opera della parte vincitrice in giudizio la destinazione delle somme liquidate dalla sentenza trattenendole per sé, costituisce un comportamento appropriativo che integra gli estremi della condotta descritta nell’art. 646 c.p.
La Corte Suprema, investita della questione, ha ritenuto in primo luogo di dover esplicitare i presupposti che sono alla base del reato di appropriazione indebita ed in particolare: a) l’appartenenza dei beni oggetto di appropriazione ad un terzo in virtù di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo; c) la volontà di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l’interversione del possesso ossia la sua volontà di non restituire più il bene del quale ha il possesso; d) l’ingiusto profitto.
La ratio della norma risiede infatti nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa (Cass. 11628/1989).
Nel caso affrontato, manca del tutto uno dei requisiti indispensabili per configurare il reato contestato.
Infatti – secondo i giudici della Cassazione – la somma in questione è stata liquidata a favore non dell’avvocato ma della parte vincitrice a titolo di spese. E’ chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprietà ed alla stessa la parte vincitrice era libera di dare la destinazione che più gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella.
In definitiva, l’avvocato non poteva su di essa accampare alcun diritto sulla somma liquidata dal giudice, potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.
Essendo la somma di esclusiva proprietà della parte, nessuna appropriazione indebita può essere ipotizzata perché manca il principale presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprietà dell’avvocato.
Di qui l’erroneità della posizione assunta in giudizio dal Procuratore generale e la decisione conseguente della Cassazione.