Spetta al giudice ordinario valutare se l’illegittima richiesta di un tributo non dovuto abbia determinato danni patrimoniali e non patrimoniali risarcibili.
Servizio di documentazione tributaria
Corte di Cassazione
Sezioni unite
Sentenza del 04/01/2007 n. 15
Intitolazione:
Giurisdizione – Risarcimento danni per indebita richiesta di
imposta – Giurisdizione del giudice.
Massima:
Spetta al giudice ordinario valutare se l’illegittima richiesta di un
tributo non dovuto abbia determinato danni patrimoniali e non patrimoniali
risarcibili.
*Massima redatta dal servizio di documentazione Economica e Tributaria.
Testo:
Svolgimento del processo
Con atto 1 dicembre 2003 V.C. ha convenuto in giudizio, innanzi al
Giudice di Pace di Filadelfia, la Regione Calabria.
Premesso che gli era stata notificata cartella esattoriale per il
pagamento della tassa automobilistica per l’anno 1999 relativa al veicolo
…, tassa in realta’ regolarmente pagata, e che in data 14 ottobre 2003 la
regione, in sede di autotutela aveva annullato detto atto, l’attore ha
chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, patiti in
conseguenza della cartella de qua e da liquidare nel limite di euro 1.100.
Costituitasi in giudizio la Regione Calabria ha eccepito, in via
preliminare, il difetto di giurisdizione dell’Autorita’ giudiziaria
ordinaria, nonche’ l’incompetenza per materia e per valore del giudice adito
e l’incompetenza per territorio del Giudice di Pace di Filadelfia.
Con sentenza non definitiva 3 aprile – 2 maggio 2004 l’adito giudice ha
disatteso tutte le eccezioni sopradescritte e rimesso la causa in
istruttoria per il prosieguo, riservato al definitivo ogni provvedimento
sulle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Regione
Calabria, affidato a tre motivi.
Resiste, con controricorso, V.C.
Avendo la ricorrente, con il primo motivo, denunziato il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia, per
essere competente quello tributario, il ricorso e’ stato assegnato a queste
Sezioni Unite.
Motivi della decisione
1. V.C. ha evocato in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Filadelfia
la Regione Calabria chiedendone la condanna al risarcimento dei danni,
patrimoniali e non patrimoniali, patiti per essergli stata notificata –
ancorche’ successivamente annullata in sede di autotutela – una cartella
esattoriale per il pagamento di tasse automobilistiche in realta’ non dovute
(avendo esso concludente a suo tempo gia’ onorato il proprio debito).
La sentenza impugnata – come accennato in parte espositiva – ha
dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere una tale
domanda.
2. Con il primo motivo il ricorrente censura nella parte de qua la
impugnata sentenza lamentando “art. 360, n. 1), del codice di procedura
civile – Difetto di giurisdizione – violazione e falsa applicazione
dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel testo
novellato dall’art. 12, comma 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448″.
Premesso che le Commissioni tributarie nelle materie ad esse devolute
esercitano la giurisdizione esclusiva, la giurisdizione cioe’, non riguarda
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solo l’atto ma anche il rapporto sottostante e si estende, conseguentemente,
a tutti i diritti a esso connessi e, quindi – assume parte ricorrente –
anche alle eventuali ragioni risarcitorie.
In ogni caso, evidenzia la regione ricorrente, la pronunzia richiesta da
controparte presuppone un accertamento sulla debenza della somma portata
dalla cartella esattoriale, accertamento che non puo’ essere compiuto, in
via incidentale, da un giudice diverso da quello tributario.
3. Il motivo e’ manifestamente infondato.
Come assolutamente pacifico in causa, nella specie, gia’ anteriormente
alla proposizione, in primo grado, del presente giudizio l’ente emittente
aveva annullato la cartella esattoriale di cui si duole V.C.
E’ di palmare evidenza, pertanto, che il Giudice di pace, per effetto
della domanda si’ come proposta da V.C., non e’ stato investito –
contrariamente a quanto assume parte ricorrente – della “verifica” della
fondatezza, o meno, della pretesa tributaria fatta valere dalla regione.
Non e’ pertinente, pertanto, al fine del decidere, invocare – come del
resto assolutamente pacifico – che per effetto dell’art. 12, comma 2, della
L. 28 dicembre 2001, n. 448 sono devolute alla cognizione delle Commissioni
tributarie le controversie in materia di tasse automobilistiche (cfr., ad
esempio, Cass., SS.UU., 19 dicembre 2005, n. 27884).
In realta’, come gia’ affermato da queste Sezioni Unite in una
fattispecie per piu’ aspetti analoga alla presente, la cognizione della
domanda di risarcimento danni, per comportamenti illeciti
dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, o di altri enti impositori,
spetta all’Autorita’ giudiziaria ordinaria, non potendo tale controversia
sussumersi in una delle fattispecie tipizzate, di cui all’art. 2 del D.Lgs.
31 dicembre 1992, n. 546, attributive della giurisdizione esclusiva delle
Commissioni tributarie (Cass., SS.UU., 15 ottobre 1999, n. 722).
In particolare e’ vero che l’attuale art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992
ha previsto che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice
tributario, “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni
genere e specie comunque denominati”, ed ha ampliato la giurisdizione di
tale giudice anche per le controversie concernenti “le sovraimposte e le
imposte addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici
finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”.
La sola previsione degli “altri accessori” – tuttavia – non e’ di per
se’ sufficiente a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice tributario
anche alle controversie sul risarcimento del danno per comportamento
illecito dell’Amministrazione finanziaria.
Per accessori, infatti, si intendono gli aggi dovuti all’esattore, le
spese di notifica, gli interessi moratori, ed al limite il maggior danno da
svalutazione monetaria ex art. 1224, comma 2, del codice civile (cfr.,
appunto in questo ultimo senso, Cass., SS.UU., 4 ottobre 2002, n. 14274;
Cass., SS.UU., 17 novembre 1999, n. 789).
Nella specie, invece, cessato qualunque rapporto tributario tra
contribuente e Amministrazione finanziaria – essendo stata annullata la
“cartella” causativa del danno reclamato dal controricorrente – il primo
denunzia comportamenti dolosi o colposi dell’Amministrazione che gli hanno
cagionato un danno ai sensi dell’art. 2043 del codice civile.
Va riconosciuta quindi piena autonomia alla proposta azione di
risarcimento del danno, che risulta non connessa ad una delle controversie
tributarie indicate all’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ma piuttosto
collegata alla condotta, dolosa o colposa, della Regione Calabria e dei suoi
funzionari.
In proposito occorre ricordare che la giurisdizione si determina sulla
base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e
giudice speciale, rileva non gia’ la prospettazione delle parti, bensi’ il
cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non
tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma
anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca
natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal
giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata in
astratto a quest’ultima dal diritto positivo.
Nella specie la posizione dedotta e’ quella della lesione patrimoniale
che si assume subita per un illecito comportamento della Pubblica
Amministrazione rispetto a un rapporto tributario ormai del tutto esaurito
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che opera solo come sfondo e che non assume alcuna connessione determinante
rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni.
In conclusione (come gia’ affermato da queste Sezioni Unite, ancorche’
nel vigore della previgente formulazione della norma, cfr., in particolare,
Cass., SS.UU., 15 ottobre 1999, n. 722, specie in motivazione) l’art. 2 del
D.Lgs. n. 546/1992 rappresenta una deroga alla giurisdizione dell’Autorita’
giudiziaria ordinaria per cui la controversia, in tanto puo’ essere
attribuita al giudice tributario, in quanto rientri in una delle tre
fattispecie normativamente previste nei tre commi dell’art. 2 e cioe’ una
controversia tra quelle tassativamente indicate, ovvero una controversia
relativa a sovraimposte, sanzioni, interessi e altri accessori, oppure una
controversia in tema di estimo o di attribuzione di rendita catastale.
Al di fuori di queste ipotesi tassative di deroga della giurisdizione
ordinaria non vi e’ spazio per una giurisdizione della Commissione
tributaria su una controversia relativa al risarcimento dei danni causati
dalla Pubblica Amministrazione in uno dei rami della sua attivita’, con la
conseguenza che anche se questo settore e’ il tributario non viene meno la
giurisdizione ordinaria, tranne che la controversia non possa sussumersi in
una della fattispecie tipizzate attributive della giurisdizione esclusiva
delle Commissioni tributarie.
L’attivita’ della Pubblica Amministrazione, anche nel campo tributario,
deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma
primaria del neminem laedere, per cui e’ consentito al giudice ordinario –
al quale e’ pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia
stato, o meno, opportunamente esercitato – accertare se vi sia stato da
parte della stessa Amministrazione un comportamento colposo tale che, in
violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione
di un diritto soggettivo.
Stanti, infatti, i principi di legalita’, imparzialita’ e buona
amministrazione, dettati dall’art. 97 della Costituzione, la Pubblica
Amministrazione e’ tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043
del codice civile, atteso che tali principi si pongono come limiti esterni
alla sua attivita’ discrezionale, ancorche’ il sindacato di questa rimanga
precluso al giudice ordinario (Cass., SS.UU., 15 ottobre 1999, n. 722, cit.;
Cass., SS.UU., 18 maggio 1995, n. 5477).
Alla stregua di queste considerazioni, il primo motivo del ricorso va
rigettato con la conferma della sentenza impugnata in ordine alla
giurisdizione.
4. Il Giudice di pace di Filadelfia, ha disatteso, altresi’, con la
sentenza non definitiva ora oggetto di ricorso per cassazione, sia
l’eccezione di incompetenza per materia e valore del Giudice di pace, sia la
eccezione di incompetenza per territorio di esso giudice.
5. Con il secondo motivo la regione ricorrente denunzia tali capi della
pronunzia impugnata, lamentando “art. 360, n. 2), del codice di procedura
civile – Incompetenza per materia – violazione e falsa applicazione
dell’art. 9 del codice di procedura civile – Incompetenza per territorio.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 20 del codice di procedura
civile”.
6. Il motivo e’ inammissibile.
Risolvendo un contrasto manifestatosi nell’ambito della giurisprudenza
di legittimita’ le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la
sentenza non definitiva contenente solo statuizioni sulla competenza,
pronunciata dal Giudice di pace in cause di valore inferiore a millecento
euro, non essendo impugnabile con il regolamento di competenza, precluso dal
disposto dell’art. 46 del codice di procedura civile, non e’ neppure
soggetta all’immediato ricorso per cassazione, potendo proporsi
l’impugnazione nei confronti della pronuncia sulla competenza solo insieme
all’impugnazione della sentenza definitiva (Cass., SS.UU., 1 giugno 2006, n.
13027, secondo cui, pertanto, avverso la sentenza, pronunciata secondo
equita’, affermativa della competenza del Giudice di pace non e’ ammessa la
riserva facoltativa di ricorso).
Pacifico quanto precede – non sono indicati, in ricorso, argomenti che
giustifichino una nuova valutazione della questione da parte del Collegio –
e’ evidente che deve dichiararsi inammissibile lo specifico motivo di
ricorso (ancorche’ non sia inammissibile tutto il ricorso, essendo
suscettibile di ricorso per cassazione – nel regime anteriore all’art. 27
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del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, non applicabile nella specie – la
sentenza non definitiva, ancorche’ emessa dal Giudice di pace, in tema di
giurisdizione).
7. Con il terzo e ultimo motivo parte ricorrente denunziando “violazione
dell’art. 112 del codice di procedura civile – violazione dell’art. 295 del
codice di procedura civile – sospensione necessaria del processo”, per non
avere il Giudice di pace disposto la sospensione del processo pendente
innanzi a se’ in attesa della pronunzia della Cassazione su altra sentenza
dello stesso Giudice di pace.
8. Al pari del precedente il motivo e’ inammissibile.
Infatti:
– il diniego (nella specie, implicito) di un provvedimento meramente
ordinatorio, quale quello di sospensione del processo non e’ censurabile con
ricorso per cassazione (Cass. 10 marzo 2006, n. 5246; Cass. 6 ottobre 2005,
n. 19487; Cass. 19 luglio 2005, n. 15220);
– i provvedimenti in tema di sospensione possono essere oggetto
eventualmente di ricorso per regolamento di competenza, ma – senza ombra di
dubbio – l’ordinanza con cui il giudice nega, come si e’ verificato nella
specie, la sospensione del processo, sollecitata da una parte, ai sensi
dell’art. 295 del codice di procedura civile, non e’ impugnabile con il
regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 dello stesso codice, essendo
cio’ escluso dalla formulazione letterale di quest’ultima norma, dalla ratio
di essa (quella, cioe’, di assicurare un controllo immediato sulla
legittimita’ di un provvedimento idoneo ad incidere significativamente sui
tempi di definizione del processo) e dall’impossibilita’ di accedere ad
un’interpretazione analogica della norma, dato il suo carattere eccezionale
(in termini, ad esempio, Cass. 3 ottobre 2005, n. 19292; Cass. 8 settembre
2003, n. 13126);
– anche a prescindere da quanto precede, comunque, non si dubita,
presso una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice,
che non e’ suscettibile di ricorso per regolamento di competenza neppure la
statuizione di sospensione del processo pendente innanzi a se’ adottata dal
Giudice di pace, stante la previsione di cui all’art. 46 del codice di
procedura civile (Cass. 28 settembre 1999, n. 10710; Cass., SS.UU., 27
novembre 1998, n. 12063).
9. In conclusione il primo motivo di ricorso deve essere rigettato, con
declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario e devono essere
dichiarati inammissibili il secondo e il terzo motivo, con condanna della
parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita’
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso;
dichiara la giurisdizione del giudice ordinario;
dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo del ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di
cassazione liquidate in euro 600,00, di cui euro 100,00 per spese ed euro
500,00 per onorari, e oltre rimborso forfetario delle spese generali e
accessori come per legge.