Spetta al PM provare l’uso della droga diverso da quello del consumo personale
Con la sentenza 28 febbraio 2011, n. 7578 in materia di sostanze stupefacenti, la Suprema Corte in primo luogo censura l’utilizzo di quelli che definisce “meri elementi congetturali”, che, nella fattispecie, sarebbero costituiti:
dall’ingiustificata enfatizzazione della rilevanza che il numero di bustine (2) di cui si componeva il compendio criminoso (peraltro di modicissima quantità) rinvenuto nella disponibilità del ricorrente;
dalla apodittica sopravvalutazione, del giudice di merito della portata incriminatrice che avrebbe rivestito, ad avviso della Corte territoriale, l’indicazione – considerata apoditticamente falsa – del prezzo che l’imputato avrebbe speso per acquistare lo stupefacente.
In buona sostanza, i giudici di appello hanno conferito indebita decisività a circostanze che, invece, già ad un esame obbiettivo, presentano stimmate di totale neutralità e non decisività, sul piano della prova della colpevolezza del singolo.
I due richiamati paradigmi, infatti, per nulla configurano la dimostrazione di una destinazione – dello stupefacente detenuto – a favore di terzi fruitori.
In secondo luogo, il Collegio di legittimità esclude che i parametri introdotti con la L. 49 del 2006 manifestino un carattere di “reciproca autonomia”, si che il positivo accertamento di uno solo di essi (anche lo stesso dato ponderale) possa permettere l’inserimento della condotta detentiva in un contesto di rilevanza penale.
Appare evidente, come la Corte aderisca ad un orientamento piuttosto radicale che – sino a ad oggi – non è mai apparso prevalente e che, comunque, suscita, quanto meno proprio in relazione al profilo quantitativo, la necessità di operare qualche distinguo.
E’, infatti, evidente che il giudizio di non offensività penale della condotta detentiva può trovare adesione, anche in ipotesi di superamento sostanziale ed apprezzabile del limite tabellare, solo ove il dato numerico risulti compatibile e coerente con una specifica finalizzazione ad uso personale.
Vale a dire, quindi, che il quantum della sostanza drogante deve, comunque, apparire modico e non particolarmente elevato.
Occorre proporre un concreto esempio; per quanto una persona possa essere titolare di cospicue risorse economiche ed essere adusa all’assunzione di importanti quantitativi, un compendio di droga, che si attesti su svariate decine di grammi, (almeno più di 50 gr.), molto difficilmente potrà rientrare nella previsione scriminante dell’art. 73 co. 1 bis dpr 309/90.
Ciò premesso, quindi, ad avviso di chi scrive, le considerazioni sviluppate dalla sentenza (in relazione alla necessità di un effettivo e serio apprezzamento della contestuale sussistenza di più fattori tra quelli indicati nel citato co. 1 bis) appaiono condivisibili, a patto, però, che esse non determinino un’abnorme estensione dello spettro quantitativo che determina la non punibilità della condotta detentiva.
La metodica di giudizio, così evocata dai giudici di legittimità, quindi, non potrà mai essere applicata in situazioni quantitative che eccedano profili di modicità.
In terzo luogo, viene riaffermato il rispetto del generale principio dell’onus probandi, troppe volte oggetto di coriacei tentativi di indebita rimodulazione.
La Corte di Appello, infatti, aveva tratto dalla mancata allegazione difensiva dello stato di tossicodipendenza dell’imputato, argomento di sfavore verso quest’ultimo, imputandogli la detenzione dello stupefacente a fini di cessione.
Questo approccio ermeneutico del giudice di legittimità viene censurato con decisione, atteso che il cd. “onere di allegazione” ascritto all’imputato, non costituisce affatto, peraltro, espressione di un’astrazione processuale.
L’eventuale specifico superamento del limite ponderale, quindi, non provoca affatto, quale conseguenza, l’inversione dell’onere della prova, principio che rimane fermo e immutato. Incombe, pertanto, alla accusa, la quale trae a giudizio il cittadino, sul presupposto della prospettazione della commissione di un reato, dimostrare quanto sostenuto.
La illiceità della condotta detentiva di sostanze stupefacenti, si che si possa ritenere che essa risulti prodromica e preparatoria a successive cessioni, deve formare oggetto di prova rigorosa ed inequivoca da parte della pubblica accusa.