Stop alle auto, ma non ai permessi
MILANO
La domenica del fermo macchina è cominciata alle 10. Ma
niente paura: è stato uno stop all’italiana. Se capitavi alle 4 del
pomeriggio dalle parti di corso Buenos Aires a Milano, ti potevi
beccare pure un po’ di coda ai semafori. Come a Torino, corso Massimo
d’Azeglio. Erano diversi solo i metodi: a Milano deroghe per tutti, a
Torino neanche un vigile. Però, è andata. Meglio di niente? Chissà.
Alla radio, ore 13, c’era una giornalista che intervistava gli studenti
di un liceo. Quando è nato Caravaggio? «Tanti anni fa», rispondeva uno.
«Ma tanti tanti». Non era proprio una bella figura, ma non era
sbagliato, in fondo. Ecco, è andata così. Partenza da Torino alle dieci
meno dieci, proprio poco prima che cominci il blocco. E c’è un mucchio
di traffico.
In questa ressa di identità, nelle moltitudini
che si accalcano ancora su per corso Casale o per i viali e nella fuga
orizzontale delle finestre, sotto a questo cielo spento dalle nubi e
dalla sua pioggia, l’identità più a rischio, alla fine, sembra ancora
quella della domenica ecologica. Per adesso pare soltanto un’invenzione
dei giornali. Sono le dieci, mentre ci allontaniamo. A Settimo
Torinese, stesso colpo d’occhio, neanche un vigile e un mucchio di
macchine: normale, visto che questo comune non ha aderito al
provvedimento di chiusura. Statale 26, verso Chivasso. Via Ajma, un
crocchio di gente all’incrocio. Qui si può andare in centro con la
macchina? Ragazzo, sigaretta ciondolante: «Boh. Non lo so». Tiro di
fumo. «Ma li vedo tutti in giro».
Cavalcavia sopra la
stazione. Cielo grigio su. Sempre avanti, nella Padana Superiore, come
dice il cartello, a Casabianca, una strada e un ristorante, però 4
macchine in dieci secondi, esclusa la mia, e poi Rondissone, strada
regionale 11. Ah, qui finalmente ci dev’essere il blocco: c’è gente a
piedi, e qualcuno in bici. Invece no. Appena in centro, ecco le
macchine che riempiono il parcheggio vicino alla Chiesa di mattoni
rossi. Traffico fermo? Primo signore: «A Torino. Perché qui?». Secondo,
con famigliola che scende faticosamente dalla Opel Tigra modello 1995,
del secolo scorso: «Penso di no. Sinceramente, non lo so». Ma intanto a
che serve. Nessuno di questi comuni ha aderito al provvedimento
antismog, eppure non appaiono molto diversi fra di loro, al primo colpo
d’occhio.
Così, dopo Cigliano ecco Vercelli, che ha aderito
alla fermata, ma che non si vede fino a quando non arrivi alle porte
del centro, dove ci sono le barriere e due vigili. «Tutto tranquillo»,
dicono, e poi spiegano che il centro è così grande che bastano due
pattuglie, e che comunque sono stati esentati tutti i veicoli euro 5,
poi quelli a gpl e metano, e quelli elettrici, e poi gli invalidi, e
chi «deve portare cibo agli anziani», eccetera eccetera. Ci sentiamo
così comprensivi che non chiediamo nemmeno di poter entrare, anche se
potremmo: tanto non c’è bisogno di andare a vedere, con tutti quei
permessi per una piccola zona di chiusura. Non è che sia molto diverso
nelle altre città del Piemonte. Ad Alessandria, però, anche se la
situazione è la stessa (chiusura solo nel centro storico), il colpo
d’occhio è assai diverso. Vicino alla stazione c’è la prima barriera.
Una
vigilessa, molto gentile, non sta neanche a guardare il passe: «Vada
pure». Nemmeno un chilometro, e nella piazza grande c’è la seconda
barriera. Altra vigilessa a controllare il vuoto. Solo che non c’è una
macchina, onestamente. Ci fermiamo un po’ per guardare. E l’impressione
resta la stessa, di uno spaccato di città quasi irreale: non passa
un’auto. Gente a piedi, genitori con i figli sui passeggini,
fidanzatini mano nella mano, ragazzi in gruppo, qualche anziano in
bicicletta, come se questi provvedimenti, alla fine, piacessero più a
loro che agli amministratori delle città. Un po’ come a Piacenza, dove
nel centro non abbiamo visto neanche un’auto se non quella di un
olandese che chiedeva a noi dove andare.
Ad Asti è la stessa
cosa: passiamo per via Cavour, via Emanuele Filiberto, via XX settembre
e poi ci addentriamo fra porfidi e viuzze nel centro storico, senza
incrociare una macchina e, soprattutto, nemmeno un vigile. Non proprio
come a Torino, rivista prima di buttarsi su Milano, attorno all’una e
mezzo, più o meno: in corso Massimo d’Azeglio e in corso Vittorio
Emanuele, passano bus stracarichi di persone, ma anche tante macchine.
Però, fra Corso Stati Uniti e Galileo Ferraris, due vigilesse fermano
un signore sulla sua Peugeot e dicono che «in tre ore è la prima
multa». Possibile? Ma allora quelli che passano sono tutti permessi?
Loro rispondono che non è vero: «La verità è che qui, oggi, gli
automobilisti sono molto corretti».
I permessi devono averli
dati tutti a Milano. Seimila solo per la moda. Senza contare quelli per
i politici impegnati in campagna elettorale, per i sacerdoti, per i
medici e i giornalisti. E soprattutto per i tifosi di Milan-Atalanta,
che devono essere in 50 mila, mica pochi. Noi andiamo fino a San Siro
in auto. Se ci fermano gli diciamo che dobbiamo andare alla partita.
Non ci fermano. Poi prendiamo un taxi e andiamo in piazza Cavour,
passando fra selciati sconnessi e buche del pavé, qualche Suv
parcheggiato persino sul marciapiede, ma tanta gente che se ne va a
piedi. Uno strappo a Corso Buenos Aires, e c’è persino un piccolo
ingorgo. Normale, con tutti questi permessi. Però, assieme alle
deroghe, anche i vigili dovrebbero fare sul serio, visto che le multe,
alle 16, sono già 490.
E alle 13 erano state 219, in appena 3
ore, su 1366 controlli, come informava il vicesindaco Riccardo De
Corato: «Ci sono 90 pattuglie impegnate nella città, 60 solo per lo
stop delle auto. La risposta della gente è stata molto positiva. Anzi,
li ringrazio per la disciplina dimostrata». Ah, loro sono stati
bravissimi. Non rideva nessuno.