Sui limiti di legittimità dello spoils system Corte Costituzionale , sentenza 05.02.2010 n° 34
Il Giudice delle Leggi, con la pronuncia in esame, torna ad occuparsi della controversa tematica dello spoils system, cercando di individuare i casi in cui possa ritenersi compatibile con l’ art. 97 della Costituzione.
L’
oggetto dello scrutinio della Consulta è rappresentato dalle
disposizioni contenute nell’art. 1, commi 1 e 4, della legge della
Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria,
il quale prevede la decadenza automatica, alla data di proclamazione
del Presidente della Giunta regionale, dei titolari di alcuni organi
amministrativi, in particolare dei direttori generali delle Aziende
sanitarie locali e del direttore generale dell’Agenzia regionale per la
protezione dell’ambiente della Calabria.
La Corte ritiene che la
legittimità costituzionale della disciplina censurata debba essere
valutata alla luce della più recente giurisprudenza (cfr. sentenze n. 233/2006, n. 103 e n. 104 del 2007, n. 161, n. 351 e n. 390 del 2008).
Innanzitutto, i giudici chiariscono che i meccanismi di spoils system,
ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di
uffici amministrativi per la cui scelta l’ordinamento non attribuisce,
in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al
criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti
politici del titolare dell’organo che nomina, si pongono in contrasto
con l’art. 97 Cost..
Ciò in quanto pregiudicano la continuità
dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di
parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico
le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del
dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti.
Le
disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo dell’organo
politico l’automatica decadenza di titolari di uffici amministrativi
possono, invece, ritenersi compatibili con l’art. 97 Cost. solo qualora
si riferiscano a soggetti che:
- siano titolari di organi di vertice dell’Amministrazione;
- debbano essere nominati intuitu personae, cioè sulla base di valutazioni personali coerenti all’indirizzo politico regionale.
In
base alle considerazioni che precedono, la Corte costituzionale
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 4, della
legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 il quale prevede la
decadenza automatica, alla data di proclamazione del Presidente della
Giunta regionale, dei titolari di alcuni organi amministrativi, nella
parte in cui tali disposizioni si applicano ai direttori generali delle
Aziende sanitarie locali e al direttore generale dell’Agenzia regionale
per la protezione dell’ambiente della Calabria.
Infatti, la
nomina dei direttori generali delle Asl della Regione Calabria è
subordinata al possesso di specifici requisiti di competenza e
professionalità (art. 14, comma 3, della legge della Regione Calabria
n. 11 del 2004), mentre quella del direttore generale dell’Arpacal è,
oltre a ciò, anche preceduta da avviso pubblico (art. 11, comma 1,
della legge della Regione Calabria n. 20 del 1999).
Tali
nomine presuppongono una forma di selezione che, per quanto non abbia
natura concorsuale in senso stretto, è, tuttavia, basata
sull’apprezzamento oggettivo, ed eventualmente anche comparativo, delle
qualità professionali e del merito. Essa, quindi, esclude che la
scelta possa avvenire in base ad una mera valutazione soggettiva di
consentaneità politica e personale tra nominante e nominato.
Pertanto,
il carattere automatico della decadenza dall’incarico del dirigente, in
occasione del rinnovo dell’organo politico, viola l’art. 97 Cost. sotto
due aspetti:
- lede il principio del giusto procedimento,
perché esclude il diritto del dirigente di intervenire nel corso del
procedimento che conduce alla sua rimozione e di conoscere la
motivazione di tale decisione; - pregiudica i principi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, in
base ai quali le decisioni relative alla rimozione dei dirigenti
incaricati della gestione amministrativa, così come quelle relative
alla loro nomina, debbono essere fondate sulla valutazione oggettiva
delle qualità e capacità professionali da essi dimostrate.
In
conclusione, la previsione di un meccanismo di valutazione tecnica
della professionalità e competenza dei dirigenti non apicali e non
nominati intuitu personae, è necessaria a tutelare
l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione e si configura,
nella specie, come misura costituzionalmente vincolata.
Corte Costituzionale
Sentenza 5 febbraio 2010, n. 34
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Francesco AMIRANTE Presidente
– Ugo DE SIERVO Giudice
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
– Luigi MAZZELLA ”
– Gaetano SILVESTRI
– Sabino CASSESE ”
– Maria Rita SAULLE ”
– Giuseppe TESAURO ”
– Paolo Maria NAPOLITANO ”
– Giuseppe FRIGO ”
– Alessandro CRISCUOLO ”
– Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 4, della
legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di
nomine e di personale della Regione Calabria), promossi dal Tribunale
ordinario di Catanzaro con ordinanza del 30 settembre 2008 e dal
Consiglio di Stato con ordinanza del 19 marzo 2009, rispettivamente
iscritte ai nn. 49 e 269 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 45, prima serie speciale,
dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di A. C. e della Regione Calabria;
udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini e Ulisse Corea per A. C. e Mariano Calogero per la Regione Calabria.
Ritenuto in fatto
1.
– Il Tribunale ordinario di Catanzaro, in funzione di giudice del
lavoro, con ordinanza del 30 settembre del 2008, ha sollevato, con
riferimento all’art. 97 Cost., questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 1, della legge della Regione Calabria 3 giugno
2005, n. 12 (Norme in materia di nomine e di personale della Regione
Calabria), «nella parte in cui prevede, al verificarsi del mutamento
degli organi politici di vertice della Regione, la decadenza dei
direttori generali delle aziende sanitarie», nonché dell’art. 1, comma
4, della medesima legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, nella
parte in cui prevede «l’applicabilità retroattiva» di tale decadenza
alle nomine conferite nei nove mesi antecedenti il 3 aprile del 2005.
Le
disposizioni censurate prevedono quanto segue: «le nomine degli organi
di vertice e dei componenti o dei rappresentanti della Regione nei
consigli di amministrazione o negli organi equiparati degli enti
pubblici, degli enti pubblici economici, delle aziende sanitarie,
ospedaliere ed assimilabili dei consorzi, delle società controllate o
partecipate, delle agenzie, degli ambiti territoriali ottimali, delle
fondazioni e di ogni altro soggetto od organismo, comunque denominato,
individuale o collegiale, di diritto pubblico o privato, appartenente o
meno alla struttura amministrativa della Regione ed a qualsiasi
livello, nonché dei componenti di comitati, commissioni, gruppi di
lavoro ed organismi regionali od interregionali, conferite, rinnovate o
comunque rese operative, anche di intesa o di concerto con altre
autorità o previa selezione, o comunque resi operativi degli organi di
indirizzo politico regionale, nonché dal capo di gabinetto del
Presidente della Giunta regionale e dai dirigenti dei dipartimenti, nei
nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo degli
organi di indirizzo politico della Regione e successivamente rispetto a
tale data, fino all’insediamento di questi ultimi, decadono alla data
di proclamazione del Presidente della Giunta regionale ed i conseguenti
rapporti di natura patrimoniale sono risolti di diritto» (art. 1, comma
1); «le disposizioni che precedono si applicano, in via transitoria,
alle nomine conferite, rinnovate o comunque rese operative nei nove
mesi antecedenti il 3 aprile 2005 o successivamente, fino
all’insediamento dei nuovi organi di indirizzo politico della Regione,
da parte delle autorità indicate al primo comma, con conseguente
risoluzione di diritto dei relativi rapporti di natura patrimoniale»
(art. 1, comma 4).
1.2. – Il Tribunale rimettente riferisce che,
con delibera della Giunta regionale del 26 gennaio 2005, il ricorrente
nel giudizio principale è stato nominato Direttore generale della
Azienda sanitaria locale n. 7 di Catanzaro, sottoscrivendo il relativo
contratto, di durata triennale, in data 7 febbraio 2005 e ottenendo il
collocamento in pensione quale dirigente amministrativo dell’Azienda
ospedaliera «Pugliese – Ciaccio». Il giudice a quo espone che, in
applicazione delle disposizioni censurate, successivamente intervenute,
la Regione Calabria, con lettera del 20 giugno 2005, ha comunicato al
ricorrente nel giudizio principale la decadenza dalla nomina e dai
conseguenti rapporti patrimoniali e, con delibera della Giunta
regionale del 27 giugno 2005, ha «preso atto» dell’intervenuta
decadenza ex lege. Inoltre il tribunale rimettente riferisce che,
nonostante l’intervenuta decadenza, l’amministrazione regionale, con
successiva nota del 27 ottobre 2005, ha contestato anche i risultati
negativi della gestione al ricorrente nel giudizio principale e,
ritenendo inidonee le giustificazioni fornite, ne ha dichiarato
nuovamente la decadenza, ai sensi dell’art. 1, comma 14, della legge
della Regione Calabria n. 12 del 2005, con delibera n. 124 del 2006.
Infine il giudice a quo espone che il ricorrente nel giudizio
principale, richiamando la recente giurisprudenza della Corte
costituzionale, e in particolare la sentenza n. 104 del 2007, ha
eccepito l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate,
poste a base della decadenza ex lege, e ha dedotto anche
l’illegittimità della seconda decadenza dichiarata dalla Regione
Calabria, la quale si è costituita in giudizio, eccependo
preliminarmente il difetto di giurisdizione del tribunale rimettente e
chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso.
1.3. – Ciò
premesso, il giudice a quo afferma la sussistenza della propria
giurisdizione e dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale delle norme censurate.
In
ordine alla giurisdizione, il giudice rimettente, richiamando la
giurisprudenza della Corte di cassazione in materia, e pur rilevando un
contrasto giurisprudenziale, aderisce all’orientamento secondo il quale
la decadenza costituisce «un fatto estintivo dei diritti nascenti da un
contratto di natura privatistica stipulato tra l’amministrazione e il
dirigente», con la conseguenza che «non vi è ragione […] di derogare
alla regola generale che vuole, nella materia in esame, ordinariamente
affermata la giurisdizione del giudice ordinario».
Sotto il
profilo della rilevanza, il tribunale rimettente osserva innanzitutto,
con riferimento alla prima delle due disposizioni censurate, che,
qualora venisse dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 1, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, in
applicazione del quale è stata disposta la decadenza dall’incarico del
ricorrente nel giudizio principale, tale incarico «dovrebbe ritenersi
mai cessato, quantomeno fino alla successiva ulteriore decadenza
(delibera della Giunta regionale n. 124 del 2006)» e, conseguentemente,
sorgerebbe il diritto del direttore generale dichiarato decaduto «al
pagamento, a titolo di risarcimento del danno, degli emolumenti non
percepiti tra la data della prima decadenza e (almeno) quella della
seconda». Il giudice a quo rileva, inoltre, con riguardo alla seconda
disposizione censurata, che la decadenza dall’incarico del ricorrente
nel giudizio principale è stata pronunciata in virtù della applicazione
retroattiva dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Calabria n.
12 del 2005, che è prevista appunto dal comma 4 del medesimo articolo.
In
punto di non manifesta infondatezza, il tribunale rimettente ritiene
che l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 12 del
2005, nella parte in cui prevede, al verificarsi del mutamento degli
organi politici di vertice della Regione, la decadenza dei direttori
generali delle aziende sanitarie locali, si ponga in contrasto con
l’art. 97 Cost., per le stesse ragioni che hanno indotto la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 104 del 2007, a dichiarare
illegittimo un analogo meccanismo di c.d. spoils system, applicato ai
direttori generali delle Asl. Con tale pronuncia – rileva il giudice a
quo – la Corte ha infatti «sottolineato che la decadenza automatica
“non soddisfa l’esigenza di preservare un rapporto diretto fra organo
politico e direttore generale” e quindi l’esigenza di una “coesione fra
l’organo politico regionale […] e gli organi di vertice dell’apparato
burocratico”, per come evidenziata dalla precedente sentenza della
stessa Corte costituzionale n. 233 del 2006». Nel richiamare la
giurisprudenza costituzionale in materia, e segnatamente la suddetta
sentenza n. 104 del 2007, il rimettente osserva, in particolare, che,
secondo la Corte costituzionale, l’imparzialità e il buon andamento
dell’amministrazione esigono «che la posizione del direttore generale
sia circondata da garanzie» e «che la decisione dell’organo politico
relativa alla cessazione anticipata dell’incarico del direttore
generale di Asl rispetti il principio del giusto procedimento». Il
tribunale rimettente ritiene, pertanto, che «se tale è stata la
posizione della Corte costituzionale in merito alla legge regionale del
Lazio che prevedeva la decadenza automatica dei direttori generali Asl,
la norma della Regione Calabria che ha previsto, in concreto,
l’identico effetto in conseguenza del cambiamento dell’organo politico
che ha proceduto alla loro nomina, potrebbe plausibilmente essere
ritenuta affetta dallo stesso vizio, ossia dalla violazione dei
principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.». Né
a diverse conclusioni può condurre, ad avviso del rimettente, la
sentenza n. 233 del 2006 della Corte costituzionale, la quale, pur
avendo dichiarato costituzionalmente legittimo il meccanismo di spoils
system previsto dalla disposizione censurata nel presente giudizio
costituzionale, tuttavia «non ha preso in considerazione l’aspetto
specifico dell’applicabilità della disposizione alla figura particolare
dei direttori generali Asl». Alla luce di quanto esposto, il giudice a
quo ritiene altresì che sia evidente la non manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4,
della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, nella parte in cui
prevede «l’applicabilità retroattiva» della decadenza automatica alle
nomine conferite nei nove mesi antecedenti il 3 aprile del 2005. Tale
disposizione, infatti, ad avviso del tribunale rimettente, «non si
sottrae alle medesime censure di violazione del principio di cui
all’art. 97 Cost. che affliggono la normativa contenuta nel comma 1
[dell’art. 1] della legge Reg. Calabria n. 12 del 2005», né
l’operatività retroattiva della decadenza può trovare «giustificazione
in alcuna necessità di razionalizzazione del sistema complessivo
relativo all’attribuzione ed alla conferma degli incarichi dirigenziali
in ambito sanitario».
2. – Con atto depositato in data 13
febbraio 2009, si è costituito in giudizio il ricorrente nel giudizio
principale, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale sollevata e riservandosi ogni più ampia difesa nel corso
del giudizio.
3. – Con atto depositato in data 10 marzo 2009, si
è costituita in giudizio anche la Regione Calabria, insistendo affinché
la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata
inammissibile, in quanto già decisa dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 233 del 2006, o, comunque, non fondata.
Ad avviso
della difesa regionale, l’ordinanza di rimessione è fondata
sull’erroneo assunto secondo cui la sentenza n. 233 del 2006 non
avrebbe affrontato lo specifico profilo dell’applicabilità della norma
censurata alla figura dei direttori generali delle Asl. La Regione
Calabria ritiene, invece, che la predetta sentenza n. 233 del 2006
abbia dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
sollevata con riferimento alla disposizione censurata nella sua
interezza e, quindi, anche nella parte in cui tale disposizione si
riferisce agli organi di vertice delle Asl, fra i quali devono
certamente ritenersi compresi i direttori generali. Ne deriva, secondo
la difesa regionale, che, anche per tale aspetto, deve ritenersi
formato un giudicato costituzionale, che rende inammissibile la
riproposizione della medesima questione con riferimento agli stessi
profili di illegittimità, consistenti nell’asserita violazione
dell’art. 97 Cost. La Regione Calabria osserva, inoltre, che gli
argomenti in base ai quali la sentenza n. 233 del 2006 ha dichiarato la
infondatezza della questione di legittimità costituzionale della
disciplina censurata sono riferibili anche alla specifica figura dei
direttori generali di Asl, i quali sono «organi di vertice di enti
regionali», nominati da «organi rappresentativi della Regione» (Giunta
regionale) «intuitu personae» e in base a un apprezzamento fiduciario,
che risulta comprovato dall’ampio margine di discrezionalità
riconosciuto all’organo politico nella scelta del soggetto cui affidare
l’incarico. Né hanno pregio, per la difesa regionale, i richiami,
contenuti nell’ordinanza di rimessione, alle sentenze n. 103 e n. 104
del 2007 della Corte costituzionale, in quanto, in particolare
quest‘ultima si riferisce a disposizioni di legge di altri ordinamenti
regionali, diverse e «per nulla comparabili» con quelle censurate. La
Regione Calabria precisa, al riguardo, che la censurata disciplina
calabrese si differenzierebbe da quella della Regione Lazio, oggetto
della sentenza n. 104 del 2007, sia perché prevede una decadenza
«immediata» e «oggettiva» (anziché differita e subordinata alla mancata
conferma), sia perché, nell’assetto organizzativo della Regione
Calabria, non sussisterebbero quei «molteplici livelli intermedi lungo
la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori
generali delle Asl», che hanno condotto la Corte costituzionale a
dichiarare l’illegittimità costituzionale della disciplina regionale
laziale, in quanto riferita ad incarichi non connotati da un «rapporto
istituzionale diretto e immediato» con l’organo politico.
Nell’ordinamento della Regione Calabria, il direttore generale di Asl
sarebbe invece «direttamente responsabile del proprio operato nei
confronti della Giunta, che lo nomina fiduciariamente ed alla quale è
legato da un rapporto diretto ed immediato».
4. – Il Consiglio
di Stato, con ordinanza del 19 marzo 2009, ha sollevato, con
riferimento agli artt. 2, 3, 24, 97, 98, 101, 103 e 113 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato
disposto dell’art. 1, commi 1 e 4, della legge della Regione Calabria
n. 12 del 2005.
4.1. – Il collegio rimettente riferisce che
l’appellante nel giudizio principale ha impugnato la sentenza con la
quale il Tar della Calabria ha respinto il ricorso da lui proposto
avverso la deliberazione della Giunta regionale della Calabria
(delibera n. 595 del 20 giugno 2005) con la quale, in applicazione
della disciplina censurata, è stato dichiarato decaduto dall’incarico
di direttore generale dell’Agenzia Regionale per la Protezione
Ambientale della Calabria (Arpacal). Il Consiglio di Stato espone che
l’appellante nel giudizio principale ha proposto, avverso la pronuncia
di primo grado, «come motivo di impugnativa articolato su più
argomentazioni», l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
Tale questione di legittimità costituzionale, ad avviso del collegio rimettente, è rilevante e non manifestamente infondata.
4.2.
– Sotto il primo profilo, il Consiglio di Stato chiarisce che la
questione deve ritenersi rilevante sebbene la Giunta regionale della
Calabria, dopo circa un anno dal provvedimento dichiarativo della
decadenza dall’incarico, abbia disposto la revoca dell’originario atto
di nomina, con provvedimento annullato dal Tribunale amministrativo
regionale della Calabria con altro capo della sentenza di primo grado,
appellata per questa parte dalla Regione Calabria. Il collegio
rimettente ritiene infatti che, essendo la revoca intervenuta quando
era già stata pronunciata la decadenza dall’incarico, debba essere per
primo esaminato l’appello relativo al capo della pronuncia con cui è
stato respinto il ricorso diretto all’annullamento del provvedimento
dichiarativo della decadenza. Tale appello può essere accolto, secondo
il Consiglio di Stato, solo in caso di dichiarazione di illegittimità
costituzionale della disciplina impugnata, unicamente in applicazione
della quale è stato adottato il contestato provvedimento dichiarativo
della decadenza dall’incarico.
4.3. – In punto di non manifesta
infondatezza, il Consiglio di Stato premette che la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 233 del 2006, si è già pronunciata
in ordine alla disciplina censurata, di essa dichiarando
costituzionalmente legittima «la normativa a regime» (commi 1, 2 e 3,
dell’art. 1 della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005). Il
collegio rimettente ritiene, tuttavia, che la legittimità
costituzionale della disciplina censurata debba essere valutata alla
luce della più recente giurisprudenza costituzionale in tema di spoils
system, successiva rispetto alla sentenza n. 233 del 2006. In
particolare, il Consiglio di Stato richiama la sentenza n. 103 del
2007, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato in contrasto con i
principi di imparzialità e buon andamento una disposizione legislativa
statale che prevedeva la decadenza automatica degli incarichi
dirigenziali, rilevando che una cessazione anticipata degli stessi «è
ammissibile solo a seguito dell’accertamento dei risultati conseguiti,
e solo dopo un giusto procedimento che consenta all’interessato di
svolgere le proprie difese e che si concluda con un formale
provvedimento motivato sindacabile in sede giurisdizionale». Alla luce
di tali principi, ribaditi dalla Corte costituzionale anche con le
sentenze n. 161 del 2008 e n. 104 del 2007, il Consiglio di Stato
ritiene, pertanto, che la disciplina impugnata sia in contrasto con gli
artt. 97 e 98 Cost. Ad avviso del collegio rimettente, inoltre, nel
disporre «la decadenza, all’atto della sua entrata in vigore, di tutti
gli incarichi dirigenziali, in relazione ad un evento già verificatosi
(elezioni del nuovo Consiglio regionale)», essa violerebbe anche il
principio dell’affidamento e, con esso, il principio di buon andamento
dell’amministrazione, di cui è espressione, per un soggetto che ricopra
un incarico ottenuto a seguito di un pubblico concorso, «la certezza
[…] della stabilità e del mantenimento dell’incarico […] fino alla
scadenza del termine per esso prestabilito».
4.4. – Con atto
depositato in data 1° dicembre 2009, si è costituita in giudizio la
Regione Calabria, insistendo affinché la questione di legittimità
costituzionale venga dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
La
Regione Calabria ritiene, innanzitutto, che la questione di legittimità
costituzionale sollevata non sia rilevante ai fini della decisione del
giudizio principale. In primo luogo, il giudice amministrativo
rimettente difetterebbe infatti di giurisdizione in ordine ad un
giudizio avente ad oggetto un provvedimento dichiarativo di una
decadenza verificatasi di diritto. In secondo luogo, secondo la difesa
regionale, il Consiglio di Stato avrebbe erroneamente ritenuto di dover
esaminare l’appello principale prima di quello incidentale, così
pervenendo ad una erronea valutazione della rilevanza. L’eventuale
accoglimento dell’appello incidentale, infatti, restituendo efficacia
al provvedimento di ritiro in autotutela dell’originario atto di nomina
dell’appellante, avrebbe determinato la cessazione della materia del
contendere. Quest’ultimo effetto, infine, si sarebbe determinato, ad
avviso della difesa della Regione Calabria, anche in ragione di un
provvedimento, adottato dalla Giunta regionale successivamente
all’ordinanza di rimessione, di ritiro in autotutela della delibera
dichiarativa della decadenza ex lege adottata ai sensi delle
disposizioni censurate.
Nel merito, la difesa regionale richiama
la citata sentenza n. 233 del 2006, con la quale la Corte
costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata con riferimento alla disposizione censurata
nella sua interezza e, quindi, anche nella parte in cui si riferisce
agli «organi di vertice […] delle agenzie […]», fra i quali deve
ritenersi compreso il direttore generale dell’Arpacal. Né può
pervenirsi a diverse conclusioni, secondo la Regione Calabria, sulla
scorta della successiva giurisprudenza costituzionale, citata dal
rimettente, la quale si riferisce a fattispecie diverse rispetto a
quella censurata e, comunque, contrariamente a quanto affermato dal
rimettente, si pone in una linea di continuità con la precedente
pronuncia della Corte (n. 233 del 2006), dal momento che la Corte ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dei meccanismi di spoils
system in quanto applicabili ad incarichi non apicali, confermando
invece, in linea con la sentenza n. 233 del 2006, che per gli incarichi
apicali fiduciari la decadenza automatica è costituzionalmente
legittima. La Regione Calabria, in particolare, osserva che
nell’assetto organizzativo calabrese, a differenza di ciò che avviene
per le Asl della Regione Lazio oggetto della sentenza n. 104 del 2007,
non sussistono «molteplici livelli intermedi lungo la linea di
collegamento che unisce l’organo politico» al direttore generale
dell’Arpacal, il quale invece è «direttamente responsabile del proprio
operato nei confronti della Giunta, che lo nomina fiduciariamente ed
alla quale è legato da un rapporto diretto ed immediato».
La
difesa regionale ritiene, poi, che l’applicazione immediata del
meccanismo di decadenza automatica anche ai rapporti in corso al
momento di entrata in vigore della norma risponda al principio di buon
andamento dell’amministrazione, risultando evidente, come affermato
dalla stessa sentenza n. 233 del 2006 in relazione ad una norma
legislativa regionale analoga a quella censurata, «l’intento del
legislatore regionale di rendere immediatamente operativa la nuova
disciplina, per evitare – in sintonia, e non in contrasto, con
l’evocato art. 97 Cost. – che le nomine effettuate nella precedente
legislatura, specie nella sua fase finale, pregiudichino il buon
andamento dell’amministrazione». Né può ritenersi, ad avviso della
difesa regionale, che risulti violato l’affidamento del direttore
generale dell’Arpacal al mantenimento fino alla scadenza di un incarico
ottenuto a seguito di concorso pubblico, dal momento che, ai fini della
nomina in questione, le norme non prevedono affatto l’esperimento di un
concorso pubblico.
Considerato in diritto
1.
– Il Tribunale ordinario di Catanzaro e il Consiglio di Stato hanno
sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina
contenuta nell’art. 1, commi 1 e 4, della legge della Regione Calabria
3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di nomine e di personale della
Regione Calabria), per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 97, 98, 101,
103 e 113 della Costituzione.
La disciplina censurata prevede la
decadenza automatica, alla data di proclamazione del Presidente della
Giunta regionale, di una ampia serie di titolari di organi o enti
regionali, nominati nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni
per il rinnovo degli organi di indirizzo politico della Regione (art.
1, comma 1). Tale meccanismo è inoltre applicato, in via transitoria,
anche «alle nomine conferite, rinnovate o comunque rese operative nei
nove mesi antecedenti il 3 aprile 2005», data di elezione del Consiglio
regionale che ha approvato la disciplina impugnata (art. 1, comma 4).
Secondo
il Tribunale di Catanzaro, tali disposizioni, nella parte in cui si
applicano ai direttori generali delle aziende sanitarie locali, si
porrebbero in conflitto con l’art. 97 Cost., per ragioni che il giudice
a quo rinviene nella giurisprudenza costituzionale e, in particolare,
nelle motivazioni della sentenza n. 104 del 2007, con la quale questa
Corte, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di una disciplina
regionale analoga a quella censurata, ha fra l’altro affermato che
l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione esigono «che la
posizione del direttore generale [di Asl] sia circondata da garanzie» e
«che la decisione dell’organo politico relativa alla cessazione
anticipata dell’incarico del direttore generale di Asl rispetti il
principio del giusto procedimento».
Ad avviso del Consiglio di
Stato, le norme impugnate si porrebbero innanzitutto in contrasto con
gli artt. 97 e 98 Cost., per motivi che, anche in questo caso, il
collegio rimettente individua, richiamando ampiamente la più recente
giurisprudenza costituzionale. In particolare, il giudice a quo fa
riferimento alla sentenza n. 103 del 2007, nella quale questa Corte ha
affermato che la cessazione anticipata degli incarichi dirigenziali «è
ammissibile solo a seguito dell’accertamento dei risultati conseguiti,
e solo dopo un giusto procedimento che consenta all’interessato di
svolgere le proprie difese e che si concluda con un formale
provvedimento motivato sindacabile in sede giurisdizionale». Il
Consiglio di Stato ritiene, inoltre, che il meccanismo transitorio
previsto dalla disciplina censurata (art. 1, comma 4), nel collegare la
decadenza ad un evento già verificatosi al momento della sua entrata in
vigore, violi anche il principio dell’affidamento e, con esso, il
principio di buon andamento dell’amministrazione. Il giudice a quo
deduce, infine, la violazione degli artt. 2, 3, 24, 101, 103 e 113 Cost.
2.
– I giudizi, avendo a oggetto le medesime disposizioni, in relazione
alle quali sono prospettate censure analoghe, devono essere riuniti e
decisi con un’unica pronuncia.
3. – Devono essere
preliminarmente dichiarate inammissibili, per mancanza di motivazione
sulla non manifesta infondatezza, le questioni sollevate dal Consiglio
di Stato in relazione agli artt. 2, 24, 101, 103 e 113 Cost. Il
rimettente si limita, infatti, a evocare tali parametri costituzionali,
senza spiegare in alcun modo l’asserita violazione degli stessi.
4.
– Vanno disattese, relativamente alle censure prospettate con
riferimento agli altri parametri, le eccezioni di inammissibilità
sollevate dalla Regione Calabria. Innanzitutto, la circostanza che
questa Corte, con la sentenza n. 233 del 2006, abbia già dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
1, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, proposta in via
principale dal governo, non rende inammissibile, come preteso dalla
difesa regionale, la proposizione della questione odierna, che avviene
in via incidentale e nell’ambito di un diverso giudizio. Né può
ritenersi macroscopico, e quindi rilevabile dalla Corte, l’asserito
difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, non risultando certa e
palese l’assenza di qualsiasi profilo di discrezionalità amministrativa
in una fattispecie nella quale l’amministrazione dichiara la decadenza
ex lege del titolare di un ufficio e conseguentemente nomina un diverso
titolare. Infine, il Consiglio di Stato argomenta in modo non
implausibile circa la rilevanza della questione, anche a fronte della
revoca dell’originario atto di nomina dell’appellante nel giudizio
principale: quest’ultimo provvedimento, intervenuto quando era già
stata pronunciata la decadenza dall’incarico, non sarebbe comunque in
grado di determinare la cessazione della materia del contendere, come
asserito dalla difesa regionale, se non altro con riferimento al
periodo intercorrente fra il primo provvedimento risolutivo del
rapporto (dichiarazione di decadenza ex lege) e quello successivo
(revoca dell’originario atto di nomina).
4. – Nel merito, la
questione di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate,
sollevata in relazione agli artt. 97 e 98 Cost., è fondata nei termini
di séguito precisati.
5. – Considerato che la giurisprudenza
costituzionale è posta a fondamento sia delle censure prospettate dai
rimettenti, sia degli argomenti difensivi della Regione Calabria, da
essa occorre prendere le mosse.
Questa Corte è già stata
chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle
disposizioni legislative regionali attualmente censurate, nell’ambito
di un giudizio instaurato in via principale dal governo con un ricorso
che, da un lato, deduceva la violazione dell’art. 97 Cost. in stretta
connessione con quella dell’art. 117 Cost. e, dall’altro, come da
questa stessa Corte osservato, censurava la disciplina regionale in
ragione delle differenze fra le soluzioni ivi accolte e quelle della
corrispondente normativa statale. In tale occasione, con la sentenza n.
233 del 2006, è stata dichiarata manifestamente inammissibile, per
genericità delle relative censure, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria
n. 12 del 2005, mentre sono state dichiarate non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della medesima
legge calabrese.
Sotto quest’ultimo profilo, le motivazioni
della pronuncia di non fondatezza possono riassumersi nel modo
seguente. In primo luogo, questa Corte ha affermato il principio in
base al quale le disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo
dell’organo politico l’automatica decadenza di titolari di uffici
amministrativi (c.d. spoils system) sono compatibili con l’art. 97
Cost. qualora si riferiscano a soggetti che: a) siano titolari di
«organi di vertice» dell’amministrazione e b) debbano essere nominati
intuitu personae, cioè sulla base di «valutazioni personali coerenti
all’indirizzo politico regionale». In secondo luogo, tale principio è
stato applicato, con riferimento a molte e diverse categorie di
soggetti, comprese nell’ampia elencazione contenuta nella disposizione
regionale censurata, considerate nel loro insieme e senza una
valutazione specificamente riferita a ciascuna figura.
La
successiva giurisprudenza costituzionale, nel confermare il principio
sviluppato nella sentenza n. 233 del 2006, ne ha precisato la portata.
In
termini generali, questa Corte ha innanzitutto chiarito che i predetti
meccanismi di c.d. spoils system, ove riferiti a figure dirigenziali
non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui
scelta l’ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni,
rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del
nominato agli orientamenti politici del titolare dell’organo che
nomina, si pongono in contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto
pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in
quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto
dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e
svincolano la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei
risultati conseguiti (sentenze n. 390, n. 351 e n. 161 del 2008;
sentenze n. 104 e n. 103 del 2007). Più in particolare, la sentenza n.
104 del 2007 ha dichiarato l’illegittimità di una disciplina
legislativa della Regione Lazio analoga a quella attualmente censurata
e riferita ai direttori generali delle aziende sanitarie locali. Per
giungere a tale conclusione, questa Corte, puntualizzando per una
specifica categoria quanto stabilito nella citata pronuncia n. 233 del
2006, ha escluso sia che i direttori generali delle Asl siano dirigenti
apicali, sia che essi vengano nominati in base a criteri puramente
fiduciari, cioè in ragione di valutazioni soggettive legate alla
consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico.
Circa il requisito della apicalità, la sentenza n. 104 del 2007 ha
infatti rilevato come, nell’assetto organizzativo della Regione Lazio,
vi sia in realtà «una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea
di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali
delle Asl», per effetto della quale «non vi è un rapporto istituzionale
diretto e immediato fra organo politico e direttori generali». In
riferimento al requisito della scelta «fiduciaria», cioè effettuata
sulla base di valutazioni soggettive di consonanza politica con il
titolare dell’organo che nomina, questa Corte ha osservato che il
direttore generale di Asl, al contrario, è «nominat[o] fra persone in
possesso di specifici requisiti culturali e professionali» e viene
«qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha
il compito di perseguire, […] gli obiettivi gestionali e operativi
definiti […] dagli indirizzi della Giunta».
6. – Quanto
affermato nella sentenza n. 104 del 2007, relativamente ai direttori
generali delle Asl del Lazio, non può che essere ribadito anche con
riferimento alle categorie di titolari di uffici cui appartengono i
soggetti che, sulla base delle disposizioni censurate, sono stati
dichiarati decaduti dall’incarico con gli atti contestati nei due
giudizi a quibus, vale a dire i direttori generali delle Asl della
Regione Calabria e il direttore generale dell’Agenzia Regionale per la
Protezione Ambientale della Calabria (Arpacal), quest’ultimo essendo ai
primi equiparato quanto al trattamento economico e giuridico, nonché al
«regime della decadenza, della revoca, della cessazione dal servizio e
sull’incompatibilità» (art. 11, comma 9, della legge della Regione
Calabria 3 agosto 1999, n. 20 «Istituzione dell’Agenzia regionale per
la protezione dell’Ambiente della Calabria – Arpacal»).
In
primo luogo, anche nell’ordinamento regionale calabrese, i rapporti fra
il direttore generale dell’Asl, quello di Arpacal e l’organo politico
risultano «mediat[i] da strutture dipendenti dalla Giunta» (sentenza n.
104 del 2007). Oltre agli uffici di diretta collaborazione, assume a
tale riguardo uno specifico rilievo il dirigente generale del
dipartimento regionale della sanità, il quale esercita funzioni di
indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti dei direttori
generali delle Asl (art. 13, commi 3 e 4, della legge della Regione
Calabria 19 marzo 2004, n. 11 «Piano regionale per la salute
2004/2006»). Quanto al direttore generale dell’Arpacal, sia
l’«indirizzo» e la «verifica», sia il «controllo strategico», sono
affidati ad organi collegiali in cui i titolari degli uffici di
indirizzo politico o sono in minoranza, o sono assenti (art. 10 della
legge della Regione Calabria n. 20 del 1999; art. 19 della legge della
Regione Calabria 11 gennaio 2006, n. 1, «Provvedimento generale recante
norme di tipo ordinamentale e finanziario collegato alla manovra di
finanza regionale per l’anno 2006, art. 3, comma 4, della legge
regionale n. 8/2002»).
In secondo luogo, la nomina dei direttori
generali delle Asl della Regione Calabria è subordinata al possesso di
specifici requisiti di competenza e professionalità (art. 14, comma 3,
della legge della Regione Calabria n. 11 del 2004), mentre quella del
direttore generale dell’Arpacal è, oltre a ciò, anche preceduta da
«avviso pubblico» (art. 11, comma 1, della legge della Regione Calabria
n. 20 del 1999). Tali nomine, pertanto, presuppongono una forma di
selezione che, per quanto non abbia natura concorsuale in senso
stretto, è tuttavia comunque basata sull’apprezzamento oggettivo, ed
eventualmente anche comparativo, delle qualità professionali e del
merito. Essa, quindi, esclude che la scelta possa avvenire in base ad
una mera valutazione soggettiva di consentaneità politica e personale
fra nominante e nominato. Ciò, del resto, è strettamente collegato al
tipo di funzioni che i titolari degli uffici pubblici in questione sono
chiamati ad esercitare. Essi non collaborano direttamente al processo
di formazione dell’indirizzo politico, ma ne devono garantire
l’attuazione. A tal fine, non è però necessaria, da parte del
funzionario, la condivisione degli orientamenti politici della persona
fisica che riveste la carica politica o la fedeltà personale nei suoi
confronti. Si richiede, invece, il rispetto del dovere di neutralità,
che impone al funzionario, a prescindere dalle proprie personali
convinzioni, la corretta e leale esecuzione delle direttive che
provengono dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore
di quest’ultimo.
7. – Le disposizioni impugnate, come detto,
dispongono la decadenza automatica di un ampio elenco di funzionari
nominati, anche «previa selezione», nei nove mesi antecedenti la data
delle elezioni per il rinnovo degli organi di indirizzo politico. A
prescindere dalle circostanze che non è dato riscontrare alcuna
oggettiva ragione dell’intervallo temporale preso in considerazione (9
mesi) e che la nomina del Presidente della Giunta regionale potrebbe
non comportare un cambiamento di indirizzo politico, tali norme sono
illegittime in quanto sottopongono all’identico regime di decadenza
automatica non solo titolari di organi di vertice nominati intuitu
personae dall’organo politico, ma anche soggetti che non possiedono
l’uno o l’altro di tali requisiti e che sono scelti previa selezione
avente ad oggetto le loro qualità professionali. In particolare, la
disciplina censurata, nella parte in cui si applica al direttore
generale di Asl e al direttore generale dell’Arpacal, è in contrasto
con gli artt. 97 e 98 Cost., sotto molteplici profili.
Innanzitutto,
il principio di buon andamento è leso in riferimento alla continuità
dell’azione amministrativa, la quale risulta pregiudicata quando
intervengano, come avvenuto nelle specifiche fattispecie oggetto dei
giudizi a quibus, due mutamenti del titolare di un ufficio pubblico a
pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. In secondo luogo, il principio
di imparzialità amministrativa è violato quando le funzioni
amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico non sono affidate
a funzionari neutrali, tenuti ad agire al servizio esclusivo della
Nazione, ma a soggetti cui si richiede una specifica appartenenza
politica, ovvero un rapporto personale di consentaneità con il titolare
dell’organo politico. In terzo luogo, il carattere automatico della
decadenza dall’incarico del funzionario, in occasione del rinnovo
dell’organo politico, viola l’art. 97 Cost. sotto due aspetti: da un
lato, lede il principio del giusto procedimento, perché esclude il
diritto del funzionario di intervenire nel corso del procedimento che
conduce alla sua rimozione e di conoscere la motivazione di tale
decisione; dall’altro lato, pregiudica i principi di efficienza ed
efficacia dell’azione amministrativa, in base ai quali le decisioni
relative alla rimozione dei funzionari incaricati della gestione
amministrativa, così come quelle relative alla loro nomina, debbono
essere fondate sulla valutazione oggettiva delle qualità e capacità
professionali da essi dimostrate. L’illegittimità costituzionale della
disciplina censurata risulta, infine, ulteriormente aggravata dalla
circostanza che il regime di decadenza automatica viene applicato, in
via transitoria, ad incarichi già in corso al momento nel quale essa è
entrata in vigore (art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria
n. 12 del 2005), come quelli che formano oggetto dei giudizi a quibus.
In tal modo, la normativa impugnata non si limita a subordinare la
permanenza nella carica del titolare ad un termine incerto, cioè il
rinnovo dell’organo politico, ma produce automaticamente la cessazione
di un incarico che è stato conferito senza la previsione di quel
termine. Sotto questo specifico profilo, dunque, l’art. 1, comma 4,
della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005 viola anche il
legittimo affidamento (art. 3 Cost.) che, in virtù dell’atto di nomina,
i dirigenti dichiarati decaduti ai sensi della disposizione censurata
hanno «riposto nella possibilità di portare a termine, nel tempo
stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi, nella
stabilità della posizione giuridica acquisita» (sentenza n. 236 del
2009).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 4, della legge
della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di nomine
e di personale della Regione Calabria), nella parte in cui tali
disposizioni si applicano ai direttori generali delle Aziende sanitarie
locali e al direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione
dell’ambiente della Calabria (Arpacal);
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 1 e 4, della medesima legge della Regione Calabria n. 12 del
2005, sollevate, in relazione agli artt. 2, 24, 101, 103 e 113 della
Costituzione, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2010.