Sulla competenza in materia di provvedimenti economici in favore dei figli naturali Corte Costituzionale , sentenza 05.03.2010 n° 82
Con la sentenza 5 marzo 2010, n. 82 la Corte Costituzionale ha avuto
modo di pronunciarsi in modo esaustivo nonché definitivo, in ordine
alla problematica della esatta individuazione della competenza per
materia relativa ai provvedimenti economici in favore dei figli minori
naturali.
La questione di costituzionalità
specifico, la questione di legittimità costituzionale è stata
prospettata nel corso di un procedimento civile instaurato davanti al
Tribunale ordinario di Roma, avente ad oggetto la domanda giudiziale di
un genitore naturale volta alla condanna dell’altro alla corresponsione
di un assegno di mantenimento per il figlio, in mancanza di
un’ulteriore istanza di affidamento.
Il Tribunale, con ordinanza del 21 gennaio 2009, ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 4 comma 2 della Legge 54/2006 (cd. legge istitutiva dell’affidamento condiviso) nella parte in cui “non
prevede, in fine, che i procedimenti relativi ai figli minori di
genitori non coniugati sono attribuiti alla competenza dei Tribunali
per i minorenni”.
Una formula che lascia intendere la
contrarietà dell’autorità giudiziaria rimettente rispetto alla
giurisprudenza recente della Corte di Cassazione, costituita in
particolare dall’ordinanza n. 8362/2007 (sez. I civile) con la quale la Suprema Corte, nel dirimere un regolamento di competenza, statuì che “La
contestualità delle misure relative all´esercizio della potestà e
all´affidamento del figlio. da un lato, e di quelle economiche inerenti
al loro mantenimento, dall´altro, prefigurata dai novellati articoli
155 e ss. c.c., ha peraltro determinato – in sintonia con
l´esigenza di evitare che i minori ricevano dall´ordinamento un
trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati
oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni
interpretative che comportino un sacrifico del principio di
concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole
durata del processo – una attrazione, in capo allo stesso giudice
specializzato, della competenza a provvedere, altresi, sulla misura e
sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al
mantenimento del figlio”.
Di conseguenza, secondo il
Tribunale ordinario di Roma, la norma sopra richiamata sarebbe
costituzionalmente illegittima, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 111
Cost. in quanto, statuendo la competenza del Tribunale specializzato
nella sola ipotesi della contestualità delle domande di affidamento e
dei provvedimenti economici, finirebbe per determinare una
irragionevole disparità di trattamento non solo tra figli naturali e
figli legittimi, considerata la diversità dell’ufficio giudiziario
adito, ma soprattutto tra gli stessi figli naturali a seconda del petitum in concreto richiesto dal genitore.
Inoltre,
in riferimento agli artt. 25 e 111 Cost, si lamenta la presunta
violazione del principio della immutabilità del giudice naturale,
essendo consentita al ricorrente la scelta arbitraria di iniziare il
procedimento davanti all’uno o all’altro degli organismi ritenuti
competenti; senza dimenticare il profilo del contrasto rispetto alla
ragionevole durata del processo, dovuta alla eventualità della mancata
concentrazione delle tutele.
In altri termini il Giudice di
merito, nell’ordinanza di rimessione, sostiene che la lettura
costituzionalmente orientata della riforma del 2006 imporrebbe di
radicare la competenza a conoscere dei provvedimenti di qualsivoglia
contenuto inerenti i figli naturali, esclusivamente davanti al
Tribunale dei Minori.
La decisione della Corte
La pronuncia della Corte Costituzionale muove dal dato letterale costituito dal disposto dell’art. 4 comma 2 della Legge 54/2006 ai sensi della quale “Le
disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di
scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del
matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”,
una proposizione dalla cui entrata in vigore è sorto il problema della
interpretazione della norma che individua la competenza per materia del
Tribunale dei minori, ossia l’art. 38 disp. att. c.c. che, comprendendo
il riferimento all’art. 317-bis c.c., già in passato fissava la competenza del Tribunale specializzato per i soli provvedimenti di affidamento.
Ebbene, la rilettura delle ultime disposizioni imposta dalla Legge 54/2006,
che detta norme non solo in ordine ai provvedimenti personali ma anche
a quelli economci, ha permesso alla Cassazione di enucleare un diritto
vivente, alla stregua del quale la riforma avrebbe determinato
l’attrazione della competenza tra domande di provvedimenti personali
(esercizio della potestà ex art. 317-bis c.c.) e provvedimenti
economici (assegno di mantenimento ex art. 155 ss. c.c.).
La
Corte Costituzionale, dichiara di fare proprio questo principio
giurisprudenziale considerandolo pienamente conforme al dettato
costituzionale dell’art. 3 in quanto, nell’affrontare analoga questione
sulla base della precedente normativa, aveva affermato che “il
legislatore, al quale va riconosciuta, la più ampia discrezionalità
nella regolazione generale degli istituti processuali, è in particolare
arbitro di dettare regole di ripartizione della competenza fra i vari
organi giurisdizionali, semprechè le medesime non risultino
manifestamente irragionevoli” (sentenza n. 451 del 1997).
Di
conseguenza, in ordine alla presunta violazione del principio di
uguaglianza, ha ritenuto non irragionevole la norma oggetto del
giudizio come interpretata secondo il diritto vivente della Suprema
Corte e, per l’effetto, ha dichiarato l’infondatezza della questione di
legittimità costituzionale, mentre nulla ha aggiunto in merito agli
altri due profili di incostituzionalità denunciati dal giudice a quo (artt. 25 e 111 Cost.) perchè privi di motivazione, dichiarandoli perciò manifestamente inammissibili.
Riepilogo sulla competenza
In
conclusione la sentenza in commento ha, per così dire, cristallizzato
definitivamente (si intende sulla base della legislazione vigente) la
soluzione a cui si era già pervenuti con la più volte citata ordinanza n. 8362/2007.
Quindi, in concreto, possono prospettarsi i seguenti casi:
- esperimento della sola domanda ex art. 317-bis c.c. – competenza del Tribunale dei Minori;
- domanda
ex art. 317-bis esperita contestualmente alla istanza di assegno di
mantenimento e/o assegnazione della casa familiare – competenza del
Tribunale dei Minori; - proposizione della sola domanda di
assegno di mantenimento o comunque di domanda afferente le questioni
economiche – competenza del Tribunale Ordinario (a titolo
esemplificativo si pensi alla domanda ex art. 148 c.c.).
Corte Costituzionale
Sentenza 24 febbraio – 5 marzo 2010, n. 82
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Ugo DE SIERVO Presidente
– Paolo MADDALENA Giudice
– Alfio FINOCCHIARO “
– Alfonso QUARANTA “
– Franco GALLO “
– Luigi MAZZELLA “
– Gaetano SILVESTRI “
– Sabino CASSESE “
– Maria Rita SAULLE “
– Giuseppe TESAURO “
– Paolo Maria NAPOLITANO “
– Giuseppe FRIGO “
– Alessandro CRISCUOLO “
– Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della
legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione
dei genitori e affidamento condiviso dei figli), promosso dal Tribunale
ordinario di Roma, nel procedimento vertente tra N. M. B. e F. P., con
ordinanza del 21 gennaio 2009, iscritta al n. 202 del registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto in fatto
1.
– Il Tribunale ordinario di Roma – nel corso di un procedimento
promosso da N.M.B. nei confronti di F.P. per ottenerne la condanna alla
corresponsione, in suo favore, di un assegno di € 1.000,00 mensili a
titolo di mantenimento della figlia minore nata da una relazione con lo
stesso F.P. – con ordinanza del 21 gennaio 2009, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge 8 febbraio
2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso dei figli) nella parte in cui «non prevede, in
fine, che i procedimenti relativi ai figli minori di genitori non
coniugati sono attribuiti alla competenza dei Tribunali per i
minorenni».
Il rimettente – premesso di condividere la tesi
sostenuta in dottrina e dai giudici di merito, secondo cui, a seguito
della modifica introdotta, il tribunale ordinario sarebbe competente a
conoscere delle controversie relative sia all’affidamento dei figli
minori di genitori non coniugati, sia alla determinazione dell’assegno
di mantenimento per gli stessi – rileva che la Corte di cassazione,
nell’affrontare il problema, ha affermato che rimane immutata la
necessità di rivolgersi a due organismi differenti a seconda che si
tratti di modalità di affidamento del minore o di assegno, mentre
sussiste la competenza del giudice minorile, con riguardo ad entrambe
le questioni, qualora le stesse siano proposte contestualmente
(ordinanza n. 8362 del 2007 e successive conformi).
Tale
ultima interpretazione, costituente diritto vivente, appare al giudice
a quo in contrasto con le regole di razionalità ed uguaglianza tra
figli minori legittimi e figli naturali, che ricevono differenti tutele
da parte di diversi organismi, e tra gli stessi figli naturali,
trattati differentemente a seconda che le domande di affidamento e di
assegno di mantenimento siano o no contestuali; con quelle relative
alla ragionevole durata del processo sotto il profilo della
concentrazione delle tutele; con il principio della immutabilità del
giudice naturale, essendo consentita al ricorrente la scelta di
iniziare il procedimento davanti all’uno o all’altro degli organismi
ritenuti competenti.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la
inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza della
questione.
Secondo la difesa erariale, il giudice rimettente
ha prospettato una possibilità esegetica della norma ritenuta
costituzionalmente orientata, sicché non vi sarebbe spazio per una
questione di legittimità costituzionale della medesima norma.
Nel
merito, non sussisterebbe violazione dell’art. 3 Cost., attesa la
ragionevolezza della previsione. La censura relativa alla violazione
del principio di ragionevole durata del processo sarebbe, poi,
formulata in modo perplesso, non essendo esplicitate dal rimettente le
ragioni del lamentato vulnus. Non sussisterebbe, infine, la denunciata
violazione dell’art. 25 Cost.
Considerato in diritto
1.
– Il Tribunale ordinario di Roma dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54
(Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento
condiviso dei figli), nella parte in cui non prevede la generalizzata
competenza funzionale del Tribunale per i minorenni in ordine alle
decisioni sul contributo al mantenimento del figlio minore di genitori
non coniugati – la quale invece, nella interpretazione fornita dalla
Corte di Cassazione, costituente diritto vivente, è limitata alle sole
ipotesi in cui il contributo sia richiesto contestualmente a misure
relative all’esercizio della potestà e all’affidamento del figlio – per
contrasto con l’art. 3 della Costituzione, avuto riguardo alla
ingiustificata disparità di trattamento tra figli legittimi e naturali
nonché tra gli stessi figli naturali; con l’art. 25 Cost. per la
violazione della garanzia costituzionale del giudice naturale
precostituito per legge; con l’art. 111 Cost. per la violazione del
principio di ragionevole durata del processo.
1.1. – L’art. 4,
comma 2, della legge n. 54 del 2006 estende l’applicabilità delle nuove
disposizioni in materia di affidamento condiviso dei figli minori,
dettate con riguardo alla separazione personale dei coniugi, ad ogni
ipotesi di scioglimento, cessazione degli effetti civili o di nullità
del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori
non coniugati.
In giurisprudenza – mentre è pacifico che, in
tema di separazione e divorzio, la competenza a conoscere delle
controversie relative all’affidamento e al mantenimento della prole
appartiene al giudice ordinario – è sorto il problema della
individuazione del giudice competente a conoscere delle medesime
controversie ove esse riguardino la prole naturale, in presenza
dell’art. 317-bis cod. civ., concernente i provvedimenti in tema di
esercizio della potestà sui figli naturali riconosciuti, ricompresi
espressamente dall’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice
civile tra quelli attribuiti alla competenza del tribunale per i
minorenni.
Tale contrasto è stato risolto dalla Corte di
cassazione (ordinanza n. 8362 del 2007 e successive conformi), con
giurisprudenza divenuta ormai diritto vivente, secondo cui le
controversie aventi ad oggetto il mantenimento dei figli naturali
riconosciuti appartengono alla competenza del tribunale minorile
qualora siano proposte contestualmente a quelle attinenti alla potestà
sugli stessi e al loro affidamento, mentre, ove la domanda riguardi
esclusivamente le questioni economiche, essa va proposta innanzi al
tribunale ordinario.
La richiamata giurisprudenza è contestata
dal giudice rimettente, che la ritiene «in contrasto con le regole di
razionalità e di uguaglianza tra figli minori e naturali (che possono
avere differenti tutele da parte di organismi differenti) e tra gli
stessi figli naturali (differentemente trattati a seconda che le
domande siano contestuali o meno)».
Il giudice a quo sostiene
che la contestualità delle misure relative all’esercizio della potestà
e all’affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche
inerenti al loro mantenimento, prefigurata dai novellati articoli 155 e
seguenti del codice civile, dovrebbe imporsi in ragione non della
domanda eventualmente proposta in modo contestuale a quella relativa
alla potestà, ma dell’inevitabile considerazione complessiva degli
istituti, i quali risulterebbero inscindibilmente legati e
interdipendenti a seguito delle innovazioni apportate dalla legge di
riforma. Ne dovrebbe conseguire la sussistenza della competenza del
tribunale per i minorenni con riferimento ad ogni richiesta di
attribuzione, di adeguamento, di ripartizione degli oneri ordinari o
straordinari, ivi compresa l’eventuale assegnazione della casa
“familiare”, a prescindere dalla occasionale circostanza che le
relative azioni siano contestualmente o singolarmente proposte.
2. – La questione, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.
2.1.
– Questa Corte, nell’affrontare analoga questione sulla base della
precedente normativa, ha affermato che «il legislatore, al quale va
riconosciuta, la più ampia discrezionalità nella regolazione generale
degli istituti processuali, è in particolare arbitro di dettare regole
di ripartizione della competenza fra i vari organi giurisdizionali,
semprechè le medesime non risultino manifestamente irragionevoli»
(sentenza n. 451 del 1997).
Nel caso di specie non sono
manifestamente irragionevoli l’attribuzione, sulla base del diritto
vivente e nell’ipotesi di prole naturale riconosciuta, alla competenza
del tribunale per i minorenni della controversia relativa all’esercizio
della potestà genitoriale, qualora la stessa sia contestuale alla
determinazione dell’assegno di mantenimento, e l’affermazione della
competenza del tribunale ordinario, quando si richiede al giudice solo
l’attribuzione di detto assegno: ciò soprattutto ove si tenga presente
che è lo stesso intervento dell’autorità giudiziaria ad atteggiarsi in
modo diverso nelle due differenti ipotesi.
Né è sufficiente a
ritenere la irragionevolezza della soluzione il rilievo in ordine alla
stretta relazione che permane fra il contributo economico e le regole
dell’esercizio della potestà genitoriale o la circostanza che la
questione dell’affidamento potrebbe nuovamente prospettarsi in un
momento successivo. Infatti, la relazione fra esercizio della potestà e
contributo economico, ove non si concretizzi in specifiche domande, non
incide sulla competenza, mentre la possibilità di proporre
successivamente una questione sull’affidamento, trattandosi di
circostanza puramente eventuale, è priva di rilevanza e, in quanto
tale, non può incidere sulla competenza.
3. – La questione
sollevata in riferimento agli articoli 25 e 111 Cost. è manifestamente
inammissibile, perché priva di motivazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4,
comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di
separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), sollevata,
in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Roma con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara
manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dello stesso art. 4, comma 2, della citata legge n. 54 del 2006,
sollevata, in riferimento agli articoli 25 e 111 della Costituzione,
dal Tribunale ordinario di Roma con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2010.