Sulle condizioni economiche dei contratti di conto corrente bancario Tribunale Brescia, sez. II civile, sentenza 18.01.2010 n° 124
Tribunale di Brescia
Sezione II Civile
Sentenza 18 gennaio 2010, n. 124
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE CIVILE DI BRESCIA – Sezione Seconda Civile –
nella persona della dott.ssa Lucia Cannella, in funzione di Giudice unico,
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella
causa iscritta al n. 19599/05 del Ruolo Generale Affari Civili
Contenziosi da F. D. sas di F. B. & c , rappresentata e difesa dai
procc. domm. avv.ti A. Tanza e B. Fanti
ATTRICE
contro
Banca
Popolare di Bergamo in persona del legale rappresentante prò tempore,
rappresentata e difesa dai procc. domm. avv. ti F. Garrone e M. lolita
CONVENUTA OGGETTO: 140111 indebito soggettivo-indebito oggettivo
…omissis…
Motivi della decisione
Con
atto di citazione notificato in data 16.12.2005 F. D. Sas di F. B. e C
conveniva in giudizio la Banca Popolare di Bergamo allegando di aver
intrattenuto con la stessa un rapporto di conto corrente con
affidamento mediante scopertura aperto il 27.12.1983, recante il n.
6712, che era stato estinto il 27.12.1995; che l’istituto avesse
eseguito il calcolo degli interessi passivi per il correntista alla
fine di ogni trimestre con anatocismo in violazione dell’art. 1283 ce,
che la clausola contrattuale relativa alla determinazione degli
interessi fosse nulla per violazione degli artt. 1284 vomma 3, 1346 e
1418 ce, in quanto faceva riferimento all’ “uso piazza”, che fosse
stata illegittimamente calcolata la commissione di massimo scoperto ed
utilizato la antergazione e/o postergazione dei ed “giorni valuta”;
chiedeva che previo calcolo degli interessi al tasso legale, fosse
determinato il dovuto alla banca e la condanna della stessa alla
restituzione in favore dell’attore delle somme indebitamente
percepite, con interessi e rivalutazione monetaria.
Si
costituiva l’istituto bancario convenuto eccependo la prescrizione
dell’azione di nullità, nel merito, resistendo alla domanda ed in via
subordinata riconvenzionale chiedendo la condanna della società attrice
al pagamento di indennizzo per ingiustificato arricchimento derivante
dal peggioramento delle condizioni economiche concordate con la banca
per i servizi da questa prestati nella gestione del conto corrente
affidato e quindi dalla diminuzione del prezzo corrispettivo. La causa
veniva istruita con CTU contabile affidata al rag. F.. In via
preliminare, si impone una breve illustrazione dei principi generali
che il Tribunale intende adottare ai fini della decisione.
L’anatocismo trimestrale
La
norma dell’art. 1283 ce è ritenuta pacificamente di carattere
imperativo e di natura eccezionale nella parte in cui ammette la
possibilità che gli interessi scaduti possano produrre ulteriori
interessi nella sola ipotesi di interessi dovuti per almeno un semestre
e sempre che vi sia stata una formulazione di domanda giudiziale
ovvero per effetto di una convenzione successiva alla scadenza degli
interessi stessi. Tale norma può, però, essere derogata da usi
contrari ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi (art. 1 e 8
disp. sulla legge in generale) e non di semplici usi negoziali (art.
1340 ce.) o intepretativi (art. 1368 ce) consistendo l’uso normativo
nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un
determinato comportamento accompagnato dalla convinzione che si tratti
di comportamento giuridicamente obbligatorio in quanto conforme a
norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento
giuridico (opinio iuris ac necessitatis).
In campo bancario la
giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte di Cassazione,
con riferimento ai contratti di conto corrente di corrispondenza
stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, ritiene del tutto
illegittimo l’anatocismo trimestrale degli interessi debitori applicato
dagli istituti di credito (v. cass. s.u. 21.095/2004 e cass.
10.127/2005) in quanto fondato su un uso negoziale contrariamente a
quanto previsto dall’art. 1283 ce. In particolare le sezioni unite
della suprema corte di cassazione con la sentenza 21095/2004 hanno dato
ampia e condivisibile motivazione alla conclusione suddetta escludendo
pure che la fondazione di un uso normativo possa essere riconducibile
in qualche modo alla stessa giurisprudenza del ventennio antecedente al
revirement giurisprudenziale del 1999.
L’iter seguito dalle
sezioni unite può così essere ricostruito: I) né le norme del ce del
1865 né quelle del codice di commercio del 1882 possono costituire
fondamento normativo di un uso che costituisca eccezione alla regola di
cui all’art. 1283 ce né a maggior ragione possono ritenersi
normativamente fondate le raccolte di usi e consuetudini bancarie
anteriori al 1942 a meno che siano recepite o fondate su una norma
vigente; II) neppure le Norme Bancarie Uniformi (N.B.U.) né gli accordi
di cartello bancario possono costituire usi normativamente fondati
dappoiché le prime sono incontestabilmente mere raccolte di usi
negoziali e le seconde ex art. 32 l.b. 1938 sono da considerarsi
accordi volontari e liberi privi della opinio iuris ac necessitatis;
III) il parallelo tra la normativa del conto di corrispendenza
ordinario – ove agli artt. 1823, 1825, 1831 e 1833 ce. è prevista la
capitalizzazione degli interessi – e quella del conto corrente bancario
è errato trattandosi di due tipi contrattuali diversi in quanto:
–
le rimesse annotate sul primo sono inesigibili ed indisponibili sino
alla chiusura del conto essendo destinate alla compensazione con
eventuali futuri crediti di controparte mentre nel secondo il credito
disponibile nel conto è sempre quello disponibile sulla base del saldo
giornaliero;
– nel conto corrente ordinario le singole rimesse
mantengono la loro individualità; nel conto corrente bancario, invece,
perdono la loro individualità nel senso che non danno luogo a rapporti
di credito/debito autonomi tra loro ingenerando semplici variazioni
del saldo disponibile (in tal senso v., da ultimo, cass. 22 marzo 2005
n. 6187).
** La nullità della clausola di anatocismo trimestrale
comporta la nullità parziale del contratto ex art. 1419 ce ma non
dell’intero contratto.
Affermata la nullità della clausola
regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è
possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti
capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l’anatocismo è
permesso dalla legge ma soltanto a determinate condizioni e, in
mancanza di valida pattuizione tra le parti, esso rimane non pattuito
tra le medesime (cfr. in punto nel medesimo senso cfr. Corte di
Appello di Milano 4.4.2003 n. 1142, Corte di Appello di Brindisi 13
maggio 2002 e Corte di Appello di Torino 21.1.2002 n. 64, ma vedi pure
cass. s.u. 17.7.2001 n. 9653 nella parte motiva).
Ovviamente la
problematica della nullità della clausola anatocistica, come sopra
visto, non riguarda i contratti bancari stipulati dopo il 2g aprile
2000 (art. 25 d. lgs. 342/1999) in relazione ai quali è valida la
clausola che prevede l’anatocismo sugli interessi debitori purché con
periodicità identica a quella degli interessi creditori. Per i
contratti stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, invece,
l’anatocismo deve ritenersi valido se decorrente dal giorno 1 luglio
2000 previo adeguamento delle disposizioni alla reciprocità
delPanatocismo tra interessi debitori e creditori.
La nullità degli interessi “uso piazza”
La
Corte di Cassazione oltre a ritenere nullo l’anatocismo trimestrale in
sé ha dichiarato l’illegittimità della cosiddetta clausola “interessi
uso piazza” di cui all’art. 7 comma terzo delle Norme bancarie Uniformi
(N.U.B.) secondo cui “gli interessi dovuti dal correntista ali ‘azienda
di credito salvo patto contrario si intendono determinati alle
condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza e
producono a loro volta interessi nella stessa misura”, (clausola
contenuta anche nel contratto di conto corrente oggetto del contendere).
Ora
approfittando della circostanza che la 1. 154/1992 (la quale vietava
e-spressamente il rinvio agli usi per determinare il contenuto
económico-normativo del rapporto) non prevedeva alcuna disciplina
intertemporale per i contratti bancari stipulati anteriormente ad essa
e argomentando dall’art. 161 sesto comma del d.lgs. n. 385/1993, – che
stabilisce che i contratti conclusi prima della sua entrata in vigore
restano regolati dalle norme anteriori – gli istituti di credito
avevano continuato ad applicare interessi ultralegali in forza della
clausola in esame integralmente riportata nei modelli di conto
corrente bancario predisposti dall’A.B.I. prima dell’entrata in vigore
della legge sulla trasparenza (1. 154/92). La giurisprudenza di
legittimità – pur predendo atto del carattere non retroattivo della
nuova normativa – ha, tuttavia, sottolineato che il giudice può e deve
compiere il controllo sulla validità dell’atto secondo la disciplina
del tempo ovvero sulla base della norma generale di cui all’art. 1284
ce. e leggendo la clausola n. 7 sopra riportata ha ritenuto evidente
la nullità della stessa a causa della eccessiva genericità ed
indeterminatezza che impedisce al correntista di stabilire con
immediatezza il tasso d’interesse applicato nei suoi confronti
gravandolo, di contro, di un onere di informazione certamente di non
facile assolvimento. Partitamente la Suprema Corte sostiene che la
clausola de qua (art. 7 N.U.B.) non è sufficientemente univoca e non
può, così, giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura
superiore a quella legale.
E non soddisfa il requisito
dell’univocità neppure l’eventuale riferimento generico al tasso
interbancario in quanto se il riferimento riguarda tassi particolari su
scala locale gli stessi non consentono per la loro genericità di
stabilire a quale previsione le parti abbiano concretamente voluto fare
riferimento; né il riferimento ad accordi su scala nazionale se gli
stessi contengono diverse tipologie di tassi perché in tal modo non è
fornito un parametro vincolante; né ancora il riferimento alle
rilevazioni A.B.I. e della Banca d’Italia dal momento che le stesse si
limitano a recepire i tassi mediamente applicati dagli istituti di
credito in virtù di una disciplina liberamente adottata (cfr. cass.
22.2.2005 n. 3589); né, infine, soddisfa il requisito dell’univocità il
riferimento ad accordi di cartello che determinano in modo vincolante
il tasso dal momento tali accordi, se esistenti, violerebbero la 1.
287/1990 sulla tutela della concorrenza e del mercato (cfr. cass.
4490/2002 e successivamente cass. 12222/2003).
La
nullità in esame, poi, non può essere sanata dalle successive
comunicazioni delle variazioni del tasso periodicamente inviate dalla
banca al cliente; in tal caso, infatti, gli interessi vanno considerati
come pattuiti senza la forma scritta essendo irrilevante che il
contratto sia stato sottoscritto in epoca anteriore all’entrata in
vigore della 1. n. 154/1992 (cfr. cass. 1.2.2002 n. 1287,28.3.2002 n.
4490 e cas. 18.4.2001 n. 5675).
La nullità della clausola in
questione riguarda tutti i contratti sia quelli stipulati in data
successiva al 9 luglio 1992 (data di entrata in vigore della 1.
154/1992) sia quelli stipulati in data anteriore in quanto in
quest’ultimo caso trattasi di nullità ex art. 1284 ce. rilevabile ex
officio (cass. 4093/2005). Per taluni arresti della corte di
cassazione, però, con riguardo ai contratti stipulati in data
anteriore al 9 luglio 1992 si osserva che lo ius superveniens, pur non
influendo sulla validità delle clausole inserite in tali negozi,
tuttavia impedisce la produzione di ulteriori effetti con essi
contrastanti sicché il divieto di rinvio agli usi di cui alla 1.
17.2.1992 n. 154 ancorché non comporti la sopravvenuta nullità della
clausola interessi uso piazza impedisce la produzione di ulteriori
effetti giuridici nel senso che dalla sua entrata in vigere potrà
essere pretesa ex art. 1284 ce. la sola applicazione del tasso legale
di interesse.
Ne consegue che, in ogni caso, la conclusione è unica: nullità della clausole in esame per tutti i contratti che le prevedono.
La
conseguenza di tale nullità, come sopra visto, è l’applicazione degli
interessi legali ex art. 1284 ce ult. comma in quanto la non debenza
di alcun interesse è prevista solo dall’art. 1815 ce in caso di
interessi usurari.
La mancata contestazione degli estratti
conto, il termine prescrizionale e la decorrenza del dies a quo della
prescrizione nel rapporto di conto corrente bancario
Per
quanto attiene alla mancata contestazione degli estratti conto da parte
del cliente la giusprudenza – sia di merito che di legittimità – ha
stabilito, con motivazione convincente e condivisa da questo
Tribunale, che essa rileva solo ai fini del riconoscimento dei
movimenti ivi documentati senza comportare alcun riconoscimento in
ordine alla validità dei rapporti sostanziali a fondamento delle
operazioni compiute. Più preciamente la mancata contestazione
dell’estratto conto trasmesso dalla banca al cliente rende
inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti unicamente sotto il profilo
contabile restando impregiudicata la facoltà del correntista di
contestare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori
sottostanti che hanno dato luogo agli addebiti ed agli accrediti (cass.
sez. I civ. 14.5.1998 n. 4846, cass. 11.9.1997 n. 8989 e da ultimo cas.
4490/2002).
Per quanto, invece, riguarda la prescrizione
dell’azione di ripetizione la giurisprudenza di legittimità ha
affermato che si applica il termine decennale di cui all’art. 2946 ce.
e non quello quinquennale di cui all’art. 2948 n. 4 ce. (che riguarda
gli interessi dovuti e non già quelli non dovuti): l’operatività della
prescrizione quinquennale sarebbe, comunque, esclusa dalla stessa
natura del conto corrente bancario – quale contratto di durata – ove il
saldo a chiusura di ogni trimestre non comporta il frazionamento del
debito in distinti rapporti obbligatori trattandosi di obbligazioni
unitarie con riferimento alle quali opera conseguentemente l’ordinaria
prescrizione decennale (efr tra tante cass. 29.1.1999 n. 802 e cass.
3.2.1999 n. 1110).
E’ stato, inoltre, precisato che la
particolare natura del rapporto di conto corrente bancario incide sul
dies a quo del termine prescrizionale che comincia a decorrere dalla
chiusura del rapporto perché solo il saldo finale – quale frutto di
tutte le movimentazioni in dare ed avere – ha il carattere della
definitività: in altri termini il rapporto pur articolandosi in una
pluralità di atti esecutivi si atteggia come unico ed unitario per cui
è soltanto con quella chiusura che i crediti e i debiti diventano
definitivi (v. cass. 14.5.2005 n. 10.127 e cass. 23.3.2004 n. 5720).
La commissione di massimo (cm.s) scoperto e la decorrenza della valuta
La commissione di massimo scoperto (cm.s.) è una voce di costo capitalizzata trimestralmente al pari degli interessi passivi.
Taluni
autori sostengono che se il sistema di calcolo di detta commissione è
parametrato a quello degli interessi vi dovrebbe essere una
capitalizzazione della somma dovuta a tale titolo su base trimestrale a
chiusura del conto debitore, tuttavia trattandosi di posta che non
partecipa alla natura dell’interesse non sono appli cabili alla
medesima le conclusioni in tema di anatocismo: il riferimento al
calcolo trimestrale sarebbe soltanto un criterio di calcolo il quale
non ne snatura la fun zione che sarebbe quella di remunerare la banca
dell’obbligo di tenere a disposizione dei clienti una certa giacenza
liquida da erogare a semplice richiesta.
La giusprudenza della
suprema corte, però, va di contrario avviso precisando che, in caso di
previsione della capitalizzazione trimestrale deve ritenersi che la
commissione sia un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi e
quindi, la clausola anatocistica è nulla come gli interessi
anatocistici (cass 11722/2002).
In merito il Tribunale ritiene
che la commissione di massimo scoperto laddove il conto corrente sia
collegato ad un’apertura di credito non partecipa della natura degli
interessi – tanto che non a caso la Banca d’Italia, con circolare 1
ottobre 1996 intervenendo in merito alla rivelazione dei tassi di
interesse per l’individuazione della soglia usuraria ha chiarito che la
commissione di massimo scoperto nonentra nel calcolo del T.E.G. (tasso
effettivo globale) – sicché alla stessa non può applicarsi il divieto
anatocistico relativo ai soli interessi e dovrà calcolarsi solo alla
chiusura definitiva del conto sempre che sia stata determinata
specificamente e per iscritto. In caso di determinazione della medesima
con il rinvio alle condizioni usualmente praticate sul mercato la
stessa (v. art. 7 contratto conto corrente) deve ritenersi nulla per il
medesimo argomento utilizzato in ordine alla stessa clausola 7 del
contratto bancario relativamente alla determinazione degli interessi
“usopiazza”.
Laddove, invece, il conto corrente non sia abbinato
ad un’apertura di credito allora la commissione deve ritenersi abbia
natura di accessorio che si aggiunge agli interessi passivi e ripete
dai medesimi la natura cosicché la clausola che prevede la
capitalizzazione trimestrale della commissione deve considerarsi nulla
alla luce di quanto sopra detto.
Con riguardo, invece, alla
decorrenza delle valute va ricordato che l’art. 7 del contratto di
conto corrente prevede che “le operazioni di accredito e di addebito
vengono regolate secondo i criteri concordati con il correntista o
usualmente praticati dalle aziende di credito sulla piazza con le
valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto
“. Trattasi di clausola all’evidenza nulla ex art. 118 T.U.B, in quanto
applicandosi la valuta d’uso o quella che la banca applicherà negli
estratti conto emerge l’indeterminatezza dell’oggetto di tale clausola
la quale deve ritenersi nulla, anche se presente nei contratti
stipulati in epoca anteriore all’entrata in vigore del T.U.B., proprio
ex art. 1418 cc.
Il principio, allora, è quello per cui deve
applicarsi la valuta corrispondente al giorno in cui la banca
rispettivamente acquista o perde la disponibilità del danaro (Corte di
appello di Lecce S4/200Ì, Trib. Roma 5.3.1987, 22 giugno 1987, Trib.
Napoli 27.2.1987 e cass. 26.7.1989 n. 3507).
Disamina del merito
Passando,
ora, al merito della vicenda in primo luogo va rigettata l’eccezione di
prescrizione della pretesa fatta valere dalla convenuta dal momento che
il c/c in esame, aperto il 27.12.1983, è stato chiuso il 27.12.1995 e
la decorrenza della prescrizione è stata interrotta con lettera
10.12.2004 (doc. 6 att.) che costituiva in mora l’istituto ai sensi
dell’art. 2943 u.c. cc.
Sul conto corrente in esame, le cui
clausole facevano generico riferimento per la corresponsione di
interessi all’uso piazza, sono stati addebitati interessi passivi con
periodicità trimestrale ed attivi con periodicità annuale, oltre ad
addebiti per commissioni di massimo scoperto, illecitamente per quanto
sopra spiegato.
Nel corso del rapporto, la società correntista
ha concluso un accordo in forma scritta con la banca (doc. 4 conv.) ove
si prevedeva che il tasso di interesse debitore fosse del 16.50 ed il
tasso di mora del 18,50 mentre per la commissione di massimo scoperto
era previsto il solo indice di 1/8.
Mentre quindi la
determinazione del tasso di interesse convenzionale è i-done a
soddifare i requisiti di forma, non altrettanto può dirsi della
pattuzione della commissione di massimo scoperto, che è indeterminata
e quindi nulla.
Vanno quindi accolte le esatte doglianze attoree
ed il Tribuíale reputa che la clausola n. 7 vada depurata sia
dell’anatocismo trimestrale degli interessi passivi e della
commissione di massimo scoperto applicati illegittimamente dalla banca
per quanto sopra spiegato.
Andranno, pertanto, applicati i soli
interessi legali senza alcuna capitalizzazione sino alla data del
3.4.1994 e da tale data in poi con gli interesis convenzionali, ( come
soepgto dal CTu il calcolo non muta poiché dal 1994 il conto corrente
è stato positivo), inteso per interesi legali quelli pari al rendimento
minimo per gli interessi passivi per il correntista e massimo per
quelli attivi dei BOT.
Le spese processuali,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; sussistono
giusti motivi per compensare le spese della CTU.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando;
ogni contraria istanza eccezione e deduzione,
previo rigetto della riconvenzionale;
condanna
la Banca Popolare di Bergamo spa in persona del legale rappresentante
pro tempore al pagamento in favore di F. D. sas di F. B. e c in persona
del legale rappresentante pro tempore della somma di euro 35.838,40 con
interessi al tasso legale dal 27.12.2005 al saldo, ed al pagamento
delle spese processuali liquidate in euro 2990 per diritti, euro 17,50
per spese, euro 374,30 per anticipazioni ed euro 5000 per onorari,
oltre a rimborso forfetario spese generali, iva e Cpa come per legge.
Brescia li 31.12.2009.
Il Tribunale di Brescia, con la sentenza 18
gennaio 2010, delinea l’indirizzo del Tribunale nelle cause relative
alle condizioni economiche dei contratti di conto corrente bancario.
Dedica
tutta una premessa a delineare come il Tribunale ha risolto i problemi
relativi a dies a quo per la decorrenza della prescrizione decennale,
della decadenza relativa alla prescrizione degli e/c, della nullità
dell’uso piazza e della sostituzione del tasso legale ex art. 1284
c.c.; della nullità dell’anatocismo trimestrale e della non
sostituibilità con quello annuale; della invalidità delle CMS e delle
valute ove non siano specificatamente determinate.