Sull’intervento dei nonni nel giudizio di separazione (sentenza completa)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 1 luglio – 16 ottobre 2009, n. 22081
(Presidente Luccioli – Relatore Dogliotti)
Svolgimento del processo
Nel
corso del processo di separazione personale tra i coniugi A. I. B. M. e
C. B. pendente dinanzi al Tribunale di Perugia intervenivano in
giudizio M. I. B. M. e C. D. M. T., genitori del ricorrente e nonni dei
due figli minori della coppia, deducendo che nonostante in sede
presidenziale si fosse disposto l’affidamento condiviso la madre di
detti minori impediva di fatto che essi mantenessero i rapporti con i
nonni e con i cuginetti.
A seguito dell’eccezione di inammissibilità
dell’intervento sollevata dalla resistente B. il Tribunale in data 8-15
marzo 2007 emetteva sentenza parziale dichiarando inammissibile
l’intervento stesso.
L’appello proposto dai soccombenti era accolto
dalla Corte di Appello di Perugia con sentenza del 27 settembre – 13
novembre 2007, che negava l’esistenza di un diritto proprio dei nonni
tale da legittimare un intervento autonomo o litisconsortile, ma
affermava la sussistenza di un interesse giuridicamente protetto dei
medesimi che consentiva un loro ruolo attivo nel giudizio nelle forme
dell’intervento ad adiuvandum ai sensi dell’art. 105, comma 2, c.p.c..
Avverso
tale sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di
due motivi illustrati con memoria. M. I. B. M. e C. D. M. T. hanno
resistito con controricorso. A. I. B. M. non ha svolto attività
difensiva.
Motivi della decisione
Con
il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 105, comma 2, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., la B. censura la
sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile l’intervento spiegato
dai nonni paterni nel giudizio di separazione dei coniugi. Rileva al
riguardo che l’intervento adesivo presuppone la dipendenza del rapporto
fatto valere dall’interveniente dalla posizione sostanziale e
processuale di una delle parti e l’esistenza di un interesse proprio
del terzo e che non è ravvisabile un interesse dei nonni dipendente da
quello dell’uno o dell’altro genitore.
Con il secondo motivo,
denunciando violazione degli artt. 155, primo comma, e 155 ter c.c., la
ricorrente deduce che la sentenza impugnata non ha considerato che
quest’ultima norma, così come l’art. 710 c.p.c., attribuisce solo ai
genitori il potere di chiedere la modifica delle condizioni della
separazione e che tale disposizione non è contraddetta dalla previsione
contenuta nel primo comma riformato dell’art. 155 c.c., che attribuisce
soltanto al minore, nel suo esclusivo interesse, il diritto di
conservare rapporti significativi con i prossimi congiunti, mentre
questi ultimi hanno solo un interesse a che le condizioni della
separazione siano fissate in modo da consentire loro di avere rapporti
significativi con la prole dei coniugi separandi.
I due motivi così sintetizzati vanno esaminati congiuntamente, in quanto attengono alla medesima questione di diritto.
Il
problema della ammissibilità dell’intervento dei nonni o di altri
familiari nel giudizio di separazione dei coniugi è già stato
affrontato e risolto negativamente da questa Suprema Corte nella
sentenza n. 364 del 1996, nella quale si è osservato che oggetto del
giudizio di separazione è l’accertamento delle condizioni per
l’autorizzazione ai coniugi a cessare la convivenza e la determinazione
degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e
patrimoniali tra gli stessi coniugi e nei confronti dei figli: coerente
con tale delimitazione dell’oggetto del giudizio è l’attribuzione della
legittimazione ad agire esclusivamente ai coniugi, ai sensi dell’art.
150 c.c., e quindi la non ravvisabilità di diritti relativi all’oggetto
o dipendenti dal titolo dedotto nel processo che possano legittimare un
intervento di terzi, ai sensi del primo comma dell’art. 105 c.c., o di
un interesse di terzi a sostenere le ragioni di una delle parti sul
quale fondare un intervento ad adiuvandum ai sensi dell’art. 105, comma
secondo, c.p.c..
Si è aggiunto in detta decisione che il nostro
ordinamento non garantisce in via immediata e diretta l’aspirazione dei
nonni alla frequentazione dei nipoti, ma offre una tutela soltanto
indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori,
mediante il riconoscimento della loro legittimazione a sollecitare il
controllo giurisdizionale, ai sensi dell’art. 336 c.c., sull’esercizio
della potestà dei genitori, i quali non possono senza un motivo
plausibile impedire i rapporti dei figli con detti congiunti.
Si
è ancora osservato che la stessa tutela degli interessi dei figli
minori nel processo di separazione, così come in quello di divorzio,
che pure costituisce la finalità esclusiva dei provvedimenti che li
riguardano, non impone il riconoscimento della loro qualità di parti
processuali, essendo rimessa al legislatore, secondo una valutazione
ritenuta costituzionalmente corretta dal giudice delle leggi, la scelta
degli strumenti di tutela.
Ed invero la Corte Costituzionale,
nel dichiarare con la sentenza n. 185 del 1986 non fondata, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 30 Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, in relazione all’art. 6 della legge n. 898
del 1970, e dell’art. 708 c.p.c., nella parte in cui non prevedono
nelle cause di scioglimento del matrimonio la nomina di un curatore
speciale al figlio minore delle parti, in ordine alla pronunzia
sull’affidamento e ad ogni altro provvedimento che lo riguardi, ha
chiarito che nelle leggi impugnate e nel sistema vigente gli interessi
dei figli minori non rimangono senza tutela, ma sono garantiti da una
serie di misure che il legislatore ha ritenuto idonee e sufficienti. In
particolare, l’intervento obbligatorio in giudizio del pubblico
ministero, tenuto ad aver cura degli interessi dei minori esercitando
tutte le facoltà a lui consentite, gli amplissimi poteri istruttori del
giudice, il potere del Collegio di pronunziare prescindendo dalle
richieste delle parti, costituiscono strumenti di tutela degli
interessi in discorso la cui adeguatezza resta riservata alla
valutazione del legislatore.
Il giudice delle leggi ha altresì
osservato che la libera scelta del legislatore di non prevedere che il
titolare di detti interessi assuma la qualità di parte del processo con
la nomina di un proprio rappresentante appare da un lato del tutto
coerente con la natura e l’oggetto dei giudizi di divorzio (così come
di quelli di separazione), che non attengono né si riflettono sullo
stato dei figli, dall’altro lato non irrazionale, nel raffronto con le
diverse ipotesi relative ai giudizi che attengono allo status del
minore, in cui è prevista la nomina di un rappresentante del medesimo,
e tenuto anche conto che l’attribuzione al minore della qualità di
parte del processo varrebbe ad istituzionalizzare il conflitto tra
genitori e figli all’interno di quello già esistente tra i genitori.
Come
è noto, la legge 8 febbraio 2006 n. 64 ha riconosciuto e valorizzato il
ruolo degli ascendenti e degli altri parenti di ciascun ramo
genitoriale, affermando all’art. 155, comma primo, c.c. il diritto del
figlio minore di conservare, nel regime di separazione personale (o di
divorzio) dei genitori, rapporti significativi con i medesimi. È al
riguardo opportuno ricordare che la rilevanza ed il valore affettivo ed
educativo del vincolo che lega i nonni ai nipoti erano stati da tempo
riconosciuti nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che aveva
avuto occasione di affermare che l’interruzione dei rapporti fondati su
tale legame familiare può trovare giustificazione soltanto in presenza
di gravi e comprovate ragioni (v., tra le altre, Cass. 1998 n. 9606).
La
disciplina introdotta dalla novella richiamata non vale tuttavia ad
incidere sulla natura e sull’oggetto dei giudizi di separazione e di
divorzio e sulle posizioni e sui diritti delle parti in essi coinvolti.
Va rilevato al riguardo che il secondo comma dello stesso art. 155 c.c.
riformato demanda al giudice l’adozione dei provvedimenti relativi alla
prole, per realizzare la finalità indicata dal primo comma, assumendo
come esclusivo parametro di riferimento l’interesse morale e materiale
della prole. Come è evidente, l’affermazione del diritto del minore a
conservare rapporti significativi con i nonni e gli altri congiunti
affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione
nella scelta e nella articolazione dei provvedimenti da adottare, nella
prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena
ed equilibrata, ma tale elemento attiene pur sempre all’oggetto e
all’essenza dell’apprezzamento demandato allo stesso giudice, da
svolgere – come già ricordato – sulla base non solo delle deduzioni
delle parti, ma anche dell’apporto fornito dal pubblico ministero e
degli altri elementi acquisiti di ufficio.
L’avere il
legislatore del 2006 sancito la titolarità da parte del minore del
diritto alla conservazione delle relazioni affettive con i nuclei di
provenienza genitoriale non è dunque sufficiente, in mancanza di una
previsione normativa – come quella introdotta con la legge n. 149 del
2001, che ha previsto che nei procedimenti in materia di adottabilità
ed in quelli di cui all’art. 336 c.c. il minore sia presente in
giudizio assistito da un difensore – a ritenere che altri soggetti
diversi dai coniugi siano legittimati ad essere parti.
Del tutto
coerentemente l’art. 155 ter c.c., introdotto dalla legge di riforma,
attribuisce ai soli genitori il diritto di chiedere in ogni tempo la
revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli,
l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle
eventuali disposizioni economiche che li riguardano, così come l’art.
709 ter c.p.c. fa riferimento, nel disciplinare la soluzione delle
controversie in sede di separazione o di divorzio in ordine
all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità
dell’affidamento, alle controversie insorte tra i genitori, i quali
pertanto restano gli unici soggetti cui è affidata la legittimazione
sostitutiva all’esercizio dei diritti dei minori.
In questa
prospettiva vanno all’evidenza negate le condizioni richieste dalla
legge per l’intervento ad adiuvandum coltivato dagli attuali
resistenti, tenuto conto che, come è noto, la legittimazione a detto
intervento presuppone la titolarità nel terzo di una situazione
giuridica in relazione di connessione – da individuarsi in termini di
pregiudizialità dipendenza – con il rapporto dedotto in giudizio tale
da esporlo ai c.d. effetti riflessi del giudicato, e che non è
configurabile un interesse proprio all’attuazione di un diritto del
minore, che nel giudizio non è parte.
Il ricorso deve essere in
conclusione accolto e la sentenza cassata e poiché non sono necessari
ulteriori accertamenti in fatto può decidersi la causa nel merito,
rigettando l’appello proposto dai nonni dei minori.
La natura della causa giustifica la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La
Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
decidendo nel merito rigetta l’appello. Compensa le spese dell’intero
giudizio.