Svolge compiti mortificanti, ha diritto a un maxi-risarcimento
Il lavoratore che subisce una «mortificazione
professionale» dall’azienda ha diritto ad essere risarcito. Lo ha
deciso la Cassazione, annullando con rinvio una decisione della Corte
d’appello di Bologna, che aveva disposto un risarcimento pari ad appena
quattromila euro nei confronti di un dipendente del ministero del
Lavoro.
L’uomo si era rivolto al giudice
perchè era stato trasferito, dopo aver retto per anni un ufficio come
«reggente ad interim», e di essere stato costretto ad una «quasi totale
inattività e al disimpegno di compiti mortificanti» tanto da essere
colpito da «vari disturbi di natura psico-somatica» tanto da spingerlo
ad andare in pensione. In primo grado, il tribunale aveva disposto un
risarcimento di 19mila euro, diventati 4mila in Corte d’appello. Poi il
ricorso in Cassazione. Secondo la Suprema Corte «la condotta datoriale
non poteva che essere valutata nel suo complesso, considerando, in
particolare, la persistenza del comportamento lesivo (sia pure in
mancanza di intenti di discriminazione o di persecuzione idonei a
qualificarlo come mobbing), la durata di reiterate situazioni di
disagio professionale e personale consistite, fra l’altro, nel dover
operare in un locale piccolo e fatiscente, privo di computer», nonchè
«l’inerzia dell’amministrazione rispetto alle accertate richieste del
dipendente intese a non compromettere il patrimonio di esperienza e
qualificazione professionale, che costituita un suo primario diritto a
prescindere dall’esistenza di specifiche aspettative di carriera».