Tasse sulla casa, come si pagano ?
Come si calcola l’Imu. Costa più della vecchia Ici?
La base di partenza è la rendita catastale, lo stesso valore da cui prendeva le mosse il calcolo dell’Ici; nella stragrande maggioranza dei comuni le rendite sono ancora quelle definite nel 1992, anche se i valori originari ovviamente vanno trasformati in euro (per chi non lo ricordasse, il rapporto è 1936,27 lire per 1 euro). Rispetto all’Ici però sono cambiati i moltiplicatori del valore base: infatti per l’imposta in vigore fino allo scorso anno la rendita catastale originaria per gli immobili residenziali e i box andava rivalutata del 5% e poi moltiplicata per 100; nell’Imu invece il coefficiente moltiplicatore, sempre per le case e per i box, è salito a 160. Tradotto in soldoni significa che a parità di aliquota l’Imu costa il 60% in più. La rendita si può desumere dal rogito, o anche dalla dichiarazione dei redditi, dal rigo B1 del 730 o dal rigo RB1 del modello Unico; bisogna fare però un pò di attenzione: nell’Unico si indica la rendita già rivalutata del 5%, nel 730 no. Infine rispetto all’Ici c’è una modifica davvero fondamentale: l’Imu si paga anche sulla prima casa.
2. Quali sono le aliquote per prime e seconde case?
Per la grande maggioranza degli immobili il decreto Salva Italia prevede due aliquote base: lo 0,4% sulla rendita catastale rivalutata come indicato nella risposta precedente per le abitazioni principali, lo 0,76% per le altre abitazioni e gli immobili urbani non residenziali, i cui proprietari però non dovranno più pagare l’Irpef fondiaria se dovuta. I comuni possono manovrare sulle aliquote per le abitazioni principali alzandole o abbassandole di due decimi di punto e di tre decimi per gli altri immobili. In pratica per la prima casa si potrà andare dallo 0,2 allo 0,6% mentre negli altri casi il range di oscillazione va dallo 0,46% allo 0,76%. Sull’abitazione principale è però riconosciuta una detrazione di 200 euro, più un ulteriore abbattimento di 50 euro per ogni figlio convivente (e non necessariamente a carico) di età inferiore ai 26 anni. Sulla carta le amministrazioni municipali hanno una grande libertà di manovra, in realtà le cose stanno ben diversamente.
3. Perché i comuni hanno le mani legate?
Perché dell’impianto originario dell’Imu, approvata dal Governo Berlusconi e prevista dal 2014, è rimasto poco e soprattutto molto poco di municipale: le risorse raccolte resteranno solo in parte alle amministrazioni locali, che potranno incassare per intero gli introiti dell’Imu sulle prime case mentre per gli altri immobili dovranno rinunciare, a prescindere dalle aliquote che decideranno di applicare, alla metà dell’aliquota standard prevista dalla legge. Per fare un esempio: l’aliquota per le seconde case è come abbiamo visto lo 0,76%. L’Erario vuole per sé lo 0,38%: è chiaro che i comuni si posizioneranno nei pressi del massimo. E oltretutto il comune non può nemmeno autonomamente decidere agevolazioni per particolari categorie di contribuenti se la possibilità non è esplicitamente contemplata dalla legge nazionale; o meglio lo può fare ma sue spese, perché non può manovrare al rialzo nessuna delle altre aliquote.
4. Che cosa si intende per abitazione principale?
L’appartamento in cui il contribuente ha la residenza fiscale e in cui dimora abitualmente, requisito quest’ultimo che per la verità è ben difficile da verificare soprattutto in una grande città. Nel caso di coniugi l’agevolazione spetta a un solo alloggio anche se il marito risiede in una casa e la moglie in un’altra. Non è più possibile ottenere l’aliquota agevolata se si concede un proprio appartamento in comodato a un parente stretto, mentre con l’Ici era possibile. Un emendamento perlomeno ha sanato una vistosa ingiustizia della legge: le abitazioni intestate ad anziani ricoverati in casa di riposo sono equiparate alle abitazioni principali, purché l’abitazione non risulti locata. I box pertinenziali pagano a loro volta gli importi della prima casa, ma l’agevolazione si può applicare a un solo box per famiglia.
5. Quando e come i comuni decideranno le aliquote?
Per mutuare un’espressione dal linguaggio matematico il Governo si sta muovendo in questo campo per approssimazioni successive. Ha messo a bilancio un gettito complessivo di 21,4 miliardi dall’operazione Imu ma si riserva di verificare la congruità dei calcoli iniziali. Per questo dopo la prima tornata di acconti di metà giugno tirerà le somme e si riserva il diritto di cambiare sia le aliquote base, sia le detrazioni sia i margini di oscillazione che i comuni possono applicare. E dovrà intervenire con due decreti: il primo a fine estate che riguarda gli immobili in generale: non potrà andare oltre inizio settembre perché i comuni hanno tempo fino al 30 di quel mese per definire i loro di bilanci, dove l’introito Imu è destinato a far la parte del leone. Siccome però gli immobili rurali vanno accatastati entro il 30 novembre l’Esecutivo emanerà un decreto ad hoc anche all’inizio di dicembre. Per cui le aliquote di cui parliamo in queste pagine rischiano tra qualche mese di essere superate dai fatti.
6. Ma la prima scadenza è a giugno: quanto si paga?
Entro il 18 giugno bisognerà versare il primo acconto. Per quanto riguarda l’abitazione principale il contribuente può scegliere se pagare in tre o in due rate l’Imu dovuta calcolando l’aliquota dello 0,4% ed effettuando le detrazioni (200 euro più 50 per ogni figlio). Su una casa con rendita 1000 euro e con proprietario senza figli se si opta per le tre rate si pagheranno 157,33 euro a giugno, entro il 17 settembre se ne pagheranno altri 157,33 ed entro il 17 dicembre il saldo sulla base delle regole definitive. Se si scelgono le due rate si pagano a giugno 236 euro e poi si va direttamente a dicembre. Per la seconda casa e gli immobili non residenziali invece si può pagare solo in due rate, la prima delle quali calcolata sulla base dello 0,76%, la seconda, a dicembre, a saldo sulle aliquote definitive. Si può pagare solo con il modello F24 e, ulteriore complicazione, per tutti gli immobili diversi dall’abitazione principale bisogna scorporare la quota di spettanza del comune da quella dell’Erario centrale. Si parla tanto di semplificazioni, ma il compito per le persone anziane o poco istruite è davvero arduo e costringerà molti contribuenti ad avvalersi di assistenza esterna, sobbarcandosi quindi il costo di un’ulteriore tassa, anche se occulta.
7. Novità per gli immobili affittati e i non residenziali?
Sugli immobili locati a canone libero i comuni possono scendere fino allo 0,4% ma temiamo che non lo farà nessuno per la semplice ragione che, come dicevamo sopra, lo 0,38% va comunque allo Stato. Sulle poche case locate a canone concordato le amministrazioni possono prevedere agevolazioni senza dover girare nulla allo Stato. Sugli immobili posseduti da persone giuridiche è possibile scendere fino allo 0,4% perché le società non pagano l’Irpef ma l’Ires, che non viene assorbita dall’Imu, ma anche qui è molto improbabile pensare ad aliquote di favore. Gli immobili non residenziali hanno un metodo di calcolo dell’imponibile diverso da quello delle case: si parte sempre dalla rendita catastale originaria rivalutata del 5% ma i coefficienti moltiplicatori sono diversi: ad esempio per gli uffici si moltiplica la rendita per 80, per i negozi per 55, per i laboratori invece il coefficiente è 140.
8. Il Governo vuole cambiare il Catasto. Cosa succede?
Il problema di fondo è ben noto: i valori catastali hanno poco a che spartire con la realtà del mercato. L’intenzione sarebbe quella di giungere a una tassazione più aderente ai valori dell’immobile e vi si dovrebbe arrivare innanzitutto cambiando i criteri di definizione della “consistenza” immobiliare. L’estimo di appartamenti e uffici oggi avviene partendo dai “vani catastali”, un criterio cervellotico di calcolo delle superfici (a Milano, per fare un solo esempio, un vano può misurare da 12 a 20 metri quadrati in media) che non ha nessuna attinenza con la realtà commerciale; si passerà pertanto ai metri quadrati. L’agenzia del Territorio pubblica ogni sei mesi un rapporto analitico sui prezzi di tutti i comuni italiani ed è in grado di fornire i valori medi degli immobili a metro quadrato: incrociando questi dati con le vecchie classificazioni catastali e applicano appositi algoritmi si ritiene di poter conseguire un’identificazione più congrua dei valori validi ai fini fiscali.
9. Il nuovo valore catastale varrà per tutte le imposte?
No, il sistema attuale si basa sulla rendita (cioè dalla possibilità teorica che un immobile ha di generare un reddito da locazione); il nuovo catasto si baserà su due distinti parametri: il valore (basato sul prezzo di mercato teorico dell’immobile) e che servirà da base per le imposte patrimoniali come l’Imu, mentre la rendita, definita a partire dai canoni di locazione rilevati sempre dall’Agenzia del Territorio, servirà per le altre imposte.
Finiremo per pagare più tasse sulla casa?
10 L’impegno è quello di non modificare il gettito fiscale complessivo abbassando le aliquote e soprattutto quello di non aumentare l’entità del prelievo alle compravendite, perché sarebbe un’operazione deleteria per il mercato. Ma ammesso che vi si riesca, e qualche dubbio a questo punto appare legittimo, chiaramente ci sarà una redistribuzione del carico e le case di maggior pregio verranno con tutta probabilità penalizzate. Però non sembra che sia ancora il caso di preoccuparsi, perché un sistema come quello prefigurato possa andare a regime serviranno, a detta degli esperti, almeno quattro o cinque anni.