Telefonisti dei “call center”: sono da considerarsi lavoratori subordinati
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 22 febbraio – 14 aprile 2008, n. 9812
(Presidente Ravagnani – Relatore D’Agostino)
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 10.3.1998 la società X. sas di A. M. & C, in persona del socio accomandatario, società esercente attività di prestazione di servizi per il settore pubblicitario, conveniva l’Inps avanti al Tribunale di Padova per sentire accertare la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso con 27 lavoratori, in maggior parte donne, con mansioni di telefonista o segretaria, di cui al verbale ispettivo n. 7314/97 dell’11.11.1997.
L’Inps si costituiva e in via riconvenzionale chiedeva che, previo accertamento della natura subordinata del lavoro svolto dalle dipendenti indicate nel rapporto ispettivo, la società venisse condannata al pagamento di L. 524.345.553 per contributi omessi, somme aggiuntive e accessori.
Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 19/2001, dichiarava che il lavoro intercorso con le lavoratrici aveva natura autonoma e che la società nulla doveva all’Istituto previdenziale.
La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della decisione del Tribunale, dichiarava che il lavoro svolto da n. 15 dipendenti, tra quelli indicati nel rapporto ispettivo, aveva natura subordinata e di conseguenza condannava la società al pagamento dei contributi, somme aggiuntive e accessori quantificati dall’Inps per dette dipendenti.
Per tutte dette dipendenti la Corte territoriale riteneva raggiunta la prova dello stabile inserimento nell’organizzazione produttiva dell’azienda e della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare é di controllo del datore di lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso sostenuto da tre motivi.
L’Inps resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ. e omessa motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver affermato la natura subordinata del rapporto di lavoro senza tener conto delle deposizioni testimoniali raccolte, dalle quali era possibile ricavare l’insussistenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione, quali la sottoposizione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, la mancanza di un orario di lavoro e le modalità della retribuzione. Tali obbiettive deficienze, ravvisabili per tutte le dipendenti, erano del tutto evidenti in particolare per le dipendenti Canton Cristina, Zago Lucia, Pietrobon Debora e Angi Fernanda.
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 2700 cod. civ. e omessa motivazione, la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia affermato che la sig.ra Ceravolo Silvia aveva svolto attività di lavoro subordinato per la X. sas, benché la predetta non avesse confermato in giudizio le dichiarazioni rese all’ispettore e quindi in mancanza di prova del lavoro subordinato, atteso che i verbali ispettivi non avevano efficacia probatoria piena con riferimento alle intrinseca veridicità delle dichiarazioni raccolte dall’ispettore. Al riguardo la motivazione della sentenza era anche contraddittoria perché la Corte per altre dipendenti aveva escluso il raggiungimento della prova del lavoro subordinato proprio perché le interessate non erano state sentite come testi.
Con il terzo motivo, denunciando omessa e contraddittoria motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che da parte della X. sas non vi era stata alcuna contestazione degli importi dei contributi dovuti per ciascun dipendente precisati nel verbale ispettivo. Rileva invece la ricorrente che nella memoria di costituzione avverso la domanda riconvenzionale dell’Inps la società aveva espressamente contestato i conteggi e che l’istituto, a fronte di tale tempestiva contestazione, non aveva formulato in primo grado alcuna istanza istruttoria per provare la fondatezza della propria pretesa.
Il ricorso nel suo complesso non è meritevole di accoglimento. Il primo motivo è infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione aziendale. Costituiscono poi indici sintomatici della subordinazione, valutabili dal giudice del merito sia singolarmente che complessivamente, l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro (vedi tra le tante Cass. n. 21028/2006, n. 4171/2006, n. 20669/2004). Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infine, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto e che siano idonei a ricondurre la prestazione al suo modello, costituisce un apprezzamento di fatto delle risultanze processuali che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. tra le tante Cass. n. 4171/2006, n. 15275/2004, n. 8006/2004).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, per cui le censure che la ricorrente muove alla sentenza impugnata per violazione di legge si rivelano prive di fondamento.
Altrettanto infondate sono le censure di omessa ed insufficiente motivazione. Il giudice del gravame ha preso in esame le numerose testimonianze raccolte ed i verbali ispettivi ed ha ritenuto elementi qualificanti della subordinazione delle dipendenti con mansioni di telefoniste le circostanze che seguivano le direttive impartite dall’azienda in relazione ad ogni telefonata da svolgere prendendo nota dell’esito e del numero di telefonate, che avevano un preciso orario di lavoro e che utilizzavano attrezzature e materiali di proprietà della società. Per quanto riguarda le dipendenti Nardo, Semeraro, Conselvan e Baggio, che non svolgevano il lavoro di telefoniste, la Corte ha ritenuto sussistente la subordinazione per il fatto che erano tenute ad osservare un orario, che dovevano giustificare le assenze, che si avvalevano di attrezzature e materiali forniti dalla società e che si dovevano attenere alle direttive del datore di lavoro. Tutte le predette circostanze sono state ritenute dalla Corte, con un apprezzamento in fatto congruamente motivato e non suscettibile di riesame in sede di legittimità, sintomatiche dello stabile inserimento delle lavorataci nell’organizzazione aziendale e prova della natura subordinata del rapporto di lavoro.
Le conclusioni cui è giunta la Corte per tutti i ventisette dipendenti non è censurabile neppure per le telefoniste Canton, Zago, Pietrobon e Angi, atteso che le circostanze evidenziate dalla ricorrente nell’impugnazione non sono tali da escludere il rapporto di lavoro subordinato. La società, infatti, si duole che il giudice di appello non abbia riportato in sentenza e non abbia tenuto conto di alcune circostanze affermate dalle dipendenti in sede testimoniale; la ricorrente però ha omesso di trascrivere in ricorso il testo integrale delle testimonianze, come era suo preciso onere per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, per cui le doglianze si rivelano del tutto irrilevanti. Per la Angi, inoltre, la Corte ha dato ampia giustificazione della propria decisione (pag. 16 della sent.).
Infondato è anche il secondo motivo. La mancata deposizione testimoniale di Ceravolo Silvia non è motivo sufficiente per escludere la prova della natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto con la società. La giurisprudenza di questa Corte è pacifica nell’affermare che i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali o dagli ispettori del lavoro possono costituire prova sufficiente delle circostanze riferite dai lavoratori al pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori (cfr. Cass. n. 3525/2005, n. 15702/2004, n. 9827/2000). La Corte territoriale, pertanto, ha fatto buon governo delle prove fondando il proprio convincimento sul verbale ispettivo e sulle dichiarazioni rese dalla dipendente al pubblico ufficiale. D’altro canto non si può dimenticare che la società, la quale ha agito in giudizio per l’accertamento della natura autonoma del rapporto di lavoro, non ha fornito alcuna prova al riguardo.
Infondato, infine, è anche il terzo motivo di ricorso. La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver affermato che la società non ha contestato i conteggi indicati dall’Inps nel verbale ispettivo. Al riguardo la ricorrente sostiene che nella memoria di costituzione avverso la domanda riconvenzionale dell’Inps ha affermato: “si contestano inoltre i conteggi e le cifre oggetto della domanda riconvenzionale, in quanto – del tutto privi di riscontro e di fondamento”.
Al riguardo va osservato che il principio di non contestazione dei fatti costituitivi della domanda opera in ogni caso in cui i fatti medesimi non siano contestati in modo preciso e dettagliato dal convenuto. A fronte di una precisa indicazione dei fatti costitutivi della pretesa (nominativo dei singoli lavoratori, orario di lavoro, retribuzione, contributi dovuti) non può reputarsi sufficiente ad escludere la pacifica ammissione una contestazione del convenuto del tutto generica, come quella contenuta nello scritto difensivo invocato dalla società.
Per tutte le considerazioni sopra svolte il ricorso, dunque, deve essere respinto. Avuto riguardo all’esito finale della controversia ed al parziale riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti della società, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.