È tempestiva la contestazione del datore che attende l’esito del processo penale prima di licenziare
Interpretazione elastica per il principio di immediatezza della
contestazione dell’addebito. Nel senso che se il fatto disciplinare
commesso dal dipendente ha pure rilevanza penale, il principio in esame
può essere soddisfatto anche da una contestazione intervenuta dopo che
il procedimento penale abbia consentito di raggiungere le necessarie
certezze. E ciò a maggior ragione, poi, se in detto intervallo di tempo
il datore abbia adottato misure cautelari nei confronti del lavoratore,
come la sospensione dal servizio, che dimostrano la sua permanente
volontà di irrogare la sanzione del licenziamento. È quanto emerge
dalla sentenza 24769/09 con cui la Cassazione ha confermato un verdetto
d’appello che aveva escluso l’intempestività di una contestazione
disciplinare perché non vi era stato alcun pregiudizio al diritto di
difesa del dipendente ed allo stesso tempo, esistevano comportamenti
univoci del datore diretti a manifestare il suo interesse all’esercizio
del potere disciplinare. La sezione lavoro del Palazzaccio, infatti, ha
ricordato il principio secondo il quale, ai fini dell’accertamento
della sussistenza del requisito della tempestività, in caso di
intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a
procedimento penale «la definitiva contestazione disciplinare ed il
licenziamento per i relativi fatti possono essere differiti in
relazione alla pendenza del procedimento penale stesso». In pratica, il
requisito in esame è pienamente compatibile con un intervallo di tempo
necessario all’accertamento della condotta del lavoratore ed alle
adeguate valutazioni della stessa. Per la Suprema corte, in sostanza,
non viola il principio dell’immediatezza quel datore che, per un
corretto accertamento del fatto, invece di procedere a proprie indagini
sceglie di attendere l’esito degli accertamenti svolti in sede penale.