Tenta il suicidio col gas a casa, ma non ci riesce: non può rispondere del delitto di crollo di costruzione
Non risponde di crollo di costruzioni chi ha tentato di togliersi la
vita, saturando col gas il bagno del proprio appartamento condominiale,
anche se poteva immaginare le conseguenze eventualmente disastrose del
proprio gesto. Tecnicamente, infatti, la norma incriminatrice di cui
all’articolo 434 del Codice penale (“Crollo di costruzioni o altri
disastri dolosi”) richiede per la sussistenza del reato che l’agente
commetta «un fatto diretto a cagionare un crollo di una costruzione o
di una parte di esso ovvero un altro disastro». In sostanza, se il
fatto consumato è stato posto in essere non per conseguire questo
risultato (cioè un crollo o altro disastro), ma per raggiungere altra
finalità (cioè il suicidio), l’ipotesi delittuosa in esame non può
configurarsi perché sono venuti a mancare sia l’elemento oggettivo che
soggettivo del reato: il fatto diretto a cagionare il crollo e la
volontà diretta a cagionarlo. Insomma, per tale fattispecie penale non
è ipotizzabile il dolo eventuale.
È quanto emerge dalla sentenza
41306/09 con cui la Cassazione ha annullato un verdetto di condanna per
il reato di cui all’articolo 434 del Codice penale nei confronti di un
uomo che aveva tentato il suicidio col gas Gpl nella propria
abitazione. In particolare, per Suprema corte il fatto non costituisce
reato, perché l’elemento psicologico di cui all’articolo 434 Cp
richiede una volontà diretta a cagionare un crollo od altro evento
disastroso, escludendo così la possibilità di ipotesi concrete
incriminabili a titolo di dolo eventuale.